governo, forme di

  1. Forme di stato e forme di governo
  2. Le forme di governo contemporanee
1. Forme di stato e forme di governo

Se nell’età moderna e soprattutto in quella contemporanea si è gradualmente imposta la distinzione concettuale tra forme di stato (o di regime) e forme di governo, viceversa, nell’antichità e nel medioevo essa veniva del tutto ignorata o non vi si dava significativa importanza. In effetti, nelle prime epoche della storia occidentale greco-romana la teoria delle forme di governo comprendeva aspetti concernenti le caratteristiche essenziali delle costituzioni di quelle aggregazioni politiche specifiche che corrispondono grosso modo agli stati moderni. La sua formulazione classica, preannunciata in Erodoto, fu elaborata soprattutto (pur con notevoli differenziazioni) dai due massimi filosofi greci, Platone e Aristotele, e ricevette infine compiuta enunciazione nell’opera di Polibio. I caratteri fondamentali della teoria delle forme di governo erano due: da un lato la titolarità soggettiva del potere di governo, spettante all’uno, ai pochi o ai molti; dall’altro la ciclicità all’interno di un processo sostanzialmente degenerativo (debitrice verso la concezione platonica della corruzione delle cose rispetto alla pura perfezione delle idee) e quindi l’alternanza di forme buone e cattive a seconda della gestione virtuosa o corrotta del potere. Nella versione polibiana, che riprendeva quella aristotelica, si affermava allora che le forme di governo variano a seconda che il potere sia di uno, di pochi o di molti. Nel primo caso – il governo di uno solo – si aveva la monarchia che poteva degenerare in tirannia; nel secondo caso l’aristocrazia, il governo dei migliori, la cui forma corrotta era l’oligarchia; nel terzo caso, la democrazia (detta politia o ancor più anticamente isonomia), che aveva nell’oclocrazia (detta anche demagogia) il suo corrispettivo termine di degenerazione. Nella visione ciclica polibiana delle forme di governo, detta anaciclosi, una forma seguiva all’altra e infine rimandava al punto iniziale. Tuttavia in Polibio, che riprendeva la tradizione del pensiero greco, compare l’ipotesi dello stato misto, ossia dello stato che riunisce in sé gli elementi migliori delle tre forme sane – monarchia, aristocrazia e democrazia – e che si mostra capace, contemperando gli aspetti migliori dei tre tipi, di evitare a lungo la corruzione e di conseguenza il necessario divenire circolare. Il massimo esempio storico coevo era indicato nella repubblica romana, in cui i consoli rappresentavano l’elemento regio, il senato quello aristocratico, i comizi del popolo quello democratico. La tripartizione classica fu modificata in età moderna a partire da Machiavelli, per il quale vi sono solo due forme, il principato e la repubblica. Nel Settecento Montesquieu reintrodusse una tripartizione impostata sulla suddivisione in monarchia, repubblica e dispotismo. Nell’epoca della formazione dello stato moderno, a partire da Bodin (1530-96), sia nel contesto dell’assolutismo sia in quello del costituzionalismo liberale, divenne sempre più importante la distinzione tra forme di stato e forme di governo: le prime dipendenti soprattutto dalla collocazione della sovranità nei soggetti della società politica (nell’uno, nei pochi, nei molti o in tutti i cittadini); le seconde relative ai modi e alle finalità dell’esercizio e dell’organizzazione del potere statale stesso e quindi alla conformazione del potere esecutivo, ovvero del governo in senso stretto. In età contemporanea, essendo invalsa – salvo eccezioni, anche rilevanti – la forma statale democratica nei paesi di civiltà euroamericana, la tematica delle forme di governo ha trovato una sua più stabile e autonoma sistematizzazione nelle seguenti tre categorie principali, capaci di riassumere le pur grandi diversità dei singoli casi concreti: il governo parlamentare, il governo presidenziale e il governo direttoriale.

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2. Le forme di governo contemporanee

a) Il governo parlamentare. Deriva dall’esperienza costituzionale britannica – dunque da un contesto monarchico – ma ha trovato larga accoglienza, sebbene con notevoli variazioni, anche sul continente europeo e in contesti repubblicani, come per esempio nell’Italia del secondo dopoguerra. Il suo tratto distintivo consiste nel fatto che il governo è eletto dal parlamento ed è responsabile di fronte ad esso. È il parlamento che, con una mozione di sfiducia, può far cadere il governo. Nel sistema parlamentare il governo può però, a sua volta, provocare lo scioglimento del parlamento. Naturalmente la stabilità e l’efficienza di un governo parlamentare sono strettamente correlate al sistema partitico e quindi al sistema elettorale vigente. Un sistema capace di garantire la formazione di maggioranze forti genererà di conseguenza governi parlamentari altrettanto forti. Viceversa, un frazionamento eccessivo delle forze politiche e la difficoltà di determinare maggioranze certe è all’origine di governi parlamentari deboli e inefficienti. b) Il governo presidenziale. È la forma di governo scaturita dall’esperienza federale statunitense ed è la più diffusa, per altro con caratteristiche diverse, nell’America latina. In Europa si segnala, pur nella sua atipicità, il caso della Quinta Repubblica in Francia. L’aspetto caratterizzante del governo presidenziale – possibile solo in uno stato repubblicano – consiste nella centralità politica e amministrativa del presidente eletto direttamente dal popolo, che è capo dello stato e forma il governo di cui è responsabile (o, quanto meno, ispira il governo che, in primo luogo, risponde a lui). Non a caso la figura del presidente viene paragonata, per l’ampiezza dei suoi poteri e delle sue competenze, a quella di un monarca repubblicano. Al parlamento restano poteri di conferma dell’esecutivo e di controllo generale che possono arrivare fino alla messa in stato d’accusa del presidente. c) Il governo direttoriale. È la forma che caratterizza per esempio il governo della Confederazione elvetica, dove il consiglio federale (o “direttorio”) è un organo collegiale designato dal potere legislativo (l’Assemblea federale) e ha limitati poteri esecutivi a livello sovracantonale. Esso non può promuovere lo scioglimento del legislativo, è formato sulla base proporzionale della rappresentanza dei partiti ed è guidato da un presidente che viene eletto a rotazione tra i suoi componenti. La prevalenza dell’Assemblea legislativa sull’esecutivo fa per molti aspetti rassomigliare questa forma di governo a quella del “governo assembleare”, che si qualifica appunto per il fatto che il governo è un mero esecutore, privo di autonomia politica, delle decisioni dell’assemblea. Accanto a questa classificazione delle forme di governo contemporanee, nella scienza e nella teoria politica novecentesca ha assunto un peso sempre più rilevante la riflessione – a essa in parte intrecciata – sulle forme del potere. Decisiva in questo senso è l’opera di Max Weber (1864-1920) e, in particolare, la celebre tripartizione da lui introdotta tra il potere carismatico, il potere tradizionale e il potere razionale-legale. [Corrado Malandrino]

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