stato

  1. Definizione e funzioni
  2. La comparsa del termine
  3. Diritto razionale, legalità e legittimità nello “stato di diritto”
  4. La formazione dello stato moderno e lo stato assoluto
  5. Lo stato costituzionale e liberale rappresentativo
  6. Lo stato democratico parlamentare e quello presidenziale
  7. Lo stato socialista
  8. Lo stato autoritario
  9. Lo stato fascista
  10. Lo stato nazionalsocialista
  11. Lo stato federale
  12. Lo stato sociale
  13. La crisi dello Stato
1. Definizione e funzioni

Per stato si intende l’organizzazione giuridica di una comunità politica il cui potere sovrano e quindi coercitivo viene esercitato entro un determinato territorio. Esso può configurarsi come unitario-centralistico, federale o confederale, a seconda dei rapporti stabiliti tra le proprie componenti territoriali; assolutistico, quando tutti i poteri sono concentrati esclusivamente nella persona del monarca; costituzionale, quando l’ordinamento istituzionale sia definito da una carta o legge fondamentale (la costituzione) che fissi in maniera vincolante i rapporti tra i poteri, le modalità, i limiti del loro esercizio e la loro distribuzione tra diversi organi (separazione dei poteri); rappresentativo o non rappresentativo, a seconda dell’esistenza o meno di un parlamento mono o bicamerale a fondamento in tutto o in parte elettivo; parlamentare, quando il governo o potere esecutivo dipenda dalla fiducia del parlamento; presidenziale, quando il potere esecutivo è guidato da un presidente non dipendente dalla fiducia del parlamento; teocratico, dove vi sia un connubio organico tra politica e religione; confessionale, quando a una confessione religiosa sia riconosciuto lo status di religione dello stato; laico, allorché lo stato non solo assicuri la libertà religiosa, ma riconosca, in una posizione di separazione tra lo stato e la chiesa o le chiese, la parità di tutte le confessioni; autoritario, nel caso in cui non vengano assicurati il pluralismo politico e partitico e l’insieme delle libertà politiche e civili; liberale, quando la sovranità popolare si esprima attraverso istituzioni pluralistiche, atte ad assicurare la libertà dei partiti e le libertà politiche e civili in regime di suffragio ristretto; liberaldemocratico quando l’esercizio della sovranità popolare nel quadro delle istituzioni liberali poggi sul suffragio universale maschile o maschile-femminile; democratico, quando esso sia fondato sul principio esteso della sovranità popolare; totalitario, qualora un solo partito concentri nelle proprie mani il monopolio politico, distruggendo le istituzioni rappresentative parlamentari e stabilendo un regime di sistematica repressione verso tutte le opposizioni; capitalistico o borghese, quando in età moderna sia riconosciuta la libera iniziativa dei soggetti economici nel rispetto della proprietà privata; corporativo, laddove con l’intento di superare il carattere liberistico del capitalismo, di combattere il socialismo e la lotta di classe in nome della collaborazione organica tra le classi sociali, si costituiscano le corporazioni quali organi di cooperazione tra organizzazioni professionali e settori imprenditoriali; proletario o socialista, nel caso in cui la classe operaia si costituisca in classe dominante al fine di procedere alla soppressione della proprietà privata e alla collettivizzazione dei mezzi di produzione; assistenziale o del benessere (welfare state), quando lo stato metta in atto una legislazione organica e permanente finalizzata ad assicurare ai cittadini, oltre ai diritti politici e civili, quelli sociali, mediante una rete di servizi sociali a carico della collettività; monarchico o repubblicano, a seconda che il capo dello stato sia un monarca oppure un presidente. Il termine stato indica inoltre una specifica unità territoriale distinta dalle altre unità egualmente dotate di potere sovrano entro i propri confini (ad es. lo stato italiano, francese, ecc.). Infine, all’interno di un’entità territoriale autonomamente costituita, lo stato sta a indicare l’unità per un verso dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario – cui spetta di attuare l’indirizzo di governo, di legiferare e di provvedere all’esercizio della giustizia – per l’altro degli apparati amministrativi (burocrazia), repressivi (polizia) e militari. Il che è dire che lo stato costituisce l’insieme dell’ordinamento istituzionale e giuridico preposto a governare una società secondo le regole da esso prefissate, a renderne possibile l’applicazione, a reprimere le violazioni, a provvedere alla difesa del territorio dai nemici esterni. Per poter far ciò lo stato, sulla base dei poteri delegati dal titolare della sovranità (che può essere un monarca assoluto, una minoranza, una maggioranza o, al limite, la totalità della popolazione), deve possedere il monopolio dell’uso della forza materiale e quindi un potere coercitivo incontrastabile. Ne deriva la distinzione tra lo stato, che dà le regole e le impone, e la società che è regolata da esse. Le funzioni dello stato moderno sono essenzialmente le seguenti: l’imposizione fiscale; l’omogeneizzazione e l’integrazione, anche mediante il riconoscimento di statuti particolari, delle diverse componenti regionali, etniche, linguistiche, religiose; l’ordine interno, atto a garantire secondo quanto stabilito dalla legge a ciascuna componente collettiva o a ciascun individuo l’esercizio dei diritti riconosciuti; le regole e i limiti dell’azione politica ed economica; la determinazione dei modi e dei livelli dell’istruzione pubblica; la creazione delle istituzioni preposte allo sviluppo della cultura e della scienza e alla tutela della sanità pubblica; la fissazione della moneta, della politica monetaria, delle tecniche delle transazioni economiche entro lo stato e con gli altri stati; l’esercizio della giustizia e la repressione del crimine; la difesa verso l’esterno. Lo stato, insomma, è l’istituzione politico-amministrativa che, mediante un progetto e un tipo di ordine politico, provvede ad assicurare un determinato ordine sociale. L’origine da cui lo stato deriva la propria forma giuridica è il potere sovrano.

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2. La comparsa del termine

Il termine stato nell’accezione sopra indicata fa la sua comparsa – nel quadro ancora di un’ambiguità di significati (buona o cattiva condizione di un paese, tipo di costituzione, forma di governo) – nel linguaggio politico del Cinque-Seicento. Niccolò Machiavelli parlò già dello stato per indicare un modo di organizzazione della comunità politica, e del nascere e del morire degli stati in quanto singoli territori costituiti in unità politica (“Tutti li stati, tutti i dominii che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini sono stati e sono o repubbliche o principati”). Claude de Seyssel fece riferimento alle “materie” e agli “affari di stato”. Charles Loyseau affermò che “la sovranità è la forma che dà fondamento allo stato”. Jean Bodin per indicare lo stato usava ancora il termine “repubblica”, ma intendeva quest’ultima già nel senso sostanziale di stato, espressione cui per altro egli già ricorre (“la salute e la conservazione di uno stato”). Giovanni Botero intitolò un suo libro La ragion di stato. E un sovrano come Enrico IV di Francia a cavallo tra Cinque e Seicento coniugava il re al suo “stato”, auspicava il “bene dello stato”, definiva necessaria “la difesa dello stato” contro lo straniero. Per avere la prima grande teorizzazione dello stato moderno e delle sue funzioni fu necessario attendere Thomas Hobbes, il quale però usò il termine latino “civitas” o quello inglese “Commonwealth”. Il termine si affermò infine definitivamente a opera della filosofia e della scienza politica tedesca e in primo luogo di Hegel, il quale fece diventare corrente l’espressione “scienza dello stato”.

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3. Diritto razionale, legalità e legittimità nello “stato di diritto”

Nello stato moderno è essenziale la questione del fondamento del potere e della sua legittimazione. È proprio dello stato moderno che il potere si presenti come legale, vale a dire come un potere la cui legittimità deriva dall’essere esercitato in base a norme fissate dall’ordinamento giuridico, applicate da organi amministrativi, basati sull’organizzazione gerarchica e sulla competenza professionale (burocrazia e burocratizzazione), che le mettono in applicazione seguendo procedure non arbitrarie sotto il controllo dell’ordine giudiziario. Regola dello stato moderno fondato su un “diritto razionale” è che nessuno sia sottomesso ad altri o altro che alla legge, garanzia dei diritti riconosciuti e statuiti. In questo senso lo stato moderno si qualifica come “stato di diritto”. Le costituzioni sono le “leggi fondamentali” che stabiliscono il quadro normativo generale ai cui principi e criteri devono attenersi le leggi ordinarie laddove i codici, che rappresentano tipiche forme della tecnicizzazione del diritto, hanno il compito di regolare i rapporti intersoggettivi fornendo un corpo giuridico definito e coerente. Lo stato moderno sopra delineato ha trovato la sua più compiuta attuazione nell’Europa continentale con le costituzioni scritte e il processo di codificazione. Per aspetti sostanziali si differenziano da tale modello il sistema britannico e quello statunitense. Essi sono a loro volta a pieno titolo “stati di diritto”, e anzi ne hanno costituito le prime incarnazioni. Se non che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, in conseguenza di una diversa evoluzione storica che non ha conosciuto il processo di accentramento amministrativo, l’ordinamento giuridico si basa su un compromesso tra il diritto comune consuetudinario (Common Law) e il diritto positivo, cioè statuito dallo stato. Il corpo della Common Law è formato da decisioni giudiziarie prese da organi non derivanti da un potere centrale, i quali agiscono per molti aspetti sostanziali non in base a codici ma a orientamenti sanciti da decisioni precedenti (diritto consuetudinario), la cui evoluzione è affidata alla pratica giudiziaria sensibile all’evoluzione dell’etica pubblica, del costume e dei rapporti sociali. Da ciò deriva il fatto che la costituzione inglese (a differenza anche di quella degli Stati Uniti) non è scritta e si presenta come un insieme di principi e disposizioni prodotto in primo luogo dal parlamento mediante le sue leggi, da una successione di atti che accomunano leggi ordinarie, pratiche e abitudini non espresse in alcuna codificazione organica formale. Ne discende, ancora, che nella tradizione giuridica inglese non si fa riferimento allo stato come a un ordinamento giuridico formalizzato. Lo stato di diritto è divenuto sempre più sinonimo di stato liberale e democratico, avente il suo presupposto nelle libertà politiche e civili. Esso è stato sovvertito dagli stati autoritari e negato alla radice dai regimi totalitari, che hanno reso l’ordinamento giuridico arbitrario, quindi non “razionale” e non “legale”.

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4. La formazione dello stato moderno e lo stato assoluto

In quanto organizzazione politica assunta da un popolo (o comunità) entro un territorio delimitato dall’efficacia di uno specifico ordinamento giuridico e quindi in quanto “persona giuridica” che incarna questo stesso ordinamento di fronte alla società civile e lo fa valere mediante norme impersonali, criteri di legalità e di razionalità procedurale e su un fondamento di legittimità, lo stato moderno si è formato in Europa tra il XV e il XVIII secolo, nel corso della dissoluzione dei poteri particolaristici della società feudale. La risposta a questi poteri fu la monarchia assoluta (assolutismo), che ebbe la sua matrice nel sorgere delle grandi monarchie nazionali in Francia, Spagna e Inghilterra. Gli elementi costitutivi essenziali del sistema assolutistico di dominio furono l’assunzione sempre più esclusiva nelle mani del monarca dei poteri e delle funzioni pubbliche precedentemente da questo condivisi con i diversi “ceti” e in primo luogo con l’aristocrazia feudale; la costituzione di un esercito regio; la costituzione di un apparato amministrativo centralizzato (burocrazia); la formazione di un fisco in grado di finanziare il sistema statale; la formazione di un sistema giudiziario professionalizzato. Nello stato assoluto l’ordinamento giuridico divenne una creazione del principe, detentore dei poteri sovrani e, in quanto fonte del diritto e non soggetto ad esso, legibus solutus. Il costante processo di centralizzazione fece sì che i ceti e le assemblee dei tre “ordini” o “stati” – clero, nobiltà, Terzo Stato – andassero via via perdendo i loro poteri e che le cariche pubbliche, anziché acquistabili, venissero conferite per concorso e retribuite dallo stato. Di fronte al monarca assoluto, tutti gli altri erano sudditi. Nella monarchia assoluta la legge del sovrano aveva valore su tutti, ma i sudditi non godevano di uno stato di eguaglianza giuridica, in quanto in essa sopravvivevano una miriade di privilegi di ceto e di esenzioni di vario tipo, corrispondenti a un concetto ancora dominante di diseguaglianza inglobato nell’ordinamento giuridico. Il potere sovrano, sebbene non vincolato da costituzioni, poggiava nondimeno la propria legittimità sul rispetto di alcune “leggi fondamentali”, quali l’inalienabilità del territorio dello stato e il rispetto delle regole di successione al trono. Nello stato assoluto il monarca governava attraverso gli organi di governo (consigli, ministri, ecc.) da lui creati e direttamente dipendenti e quindi revocabili a suo arbitrio. Le istituzioni rappresentative dei ceti, ordini o “stati”, quali ad esempio gli Stati generali, persero progressivamente le loro funzioni e vennero convocati sempre più raramente. Con particolare riferimento alla Prussia settecentesca, lo stato assolutistico è stato successivamente definito come “stato di polizia”, dove “polizia” è da intendersi come sinonimo di politica orientata a far valere le istituzioni preposte al benessere e all’ordine secondo gli intendimenti del sovrano.

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5. Lo stato costituzionale e liberale rappresentativo

Mentre nei grandi stati dell’Europa continentale imperava l’assolutismo, in Gran Bretagna, in conseguenza delle rivoluzioni del Seicento, era andata affermandosi la monarchia limitata. Il che significava che la sovranità veniva esercitata secondo procedure cui il monarca era tenuto ad attenersi: la struttura dello stato e del potere, insomma, non dipendeva più dalla volontà esclusiva del re. La natura della monarchia limitata inglese era divenuta tale per cui essa fondava la propria legittimità su un sistema giuridico determinato da leggi non scritte legate alla consuetudine e leggi e atti scritti come la Petizione dei diritti del 1628, l’Habeas Corpus Act del 1679, il Bill of Rights del 1689, l’Act of Settlement del 1701. Ciò che può chiamarsi la costituzione inglese fu l’insieme di queste leggi fondamentali, mai a tutt’oggi riunite in un testo unitario scritto. Il potere si trovò a essere distribuito tra il monarca e il parlamento, diviso in una Camera dei Lord ereditaria e una Camera dei Comuni eletta a suffragio ristretto e censitario. La limitazione dei poteri monarchici si fece via via più marcata col deciso sopravvento del parlamento in relazione all’atto supremo della sovranità, vale a dire l’approvazione delle leggi, solo sanzionate dal re. Inoltre nel corso del Settecento divenne prassi costante che il re nominasse primo ministro il capo della maggioranza parlamentare e che i ministri fossero resi responsabili di fronte al parlamento. L’avvento del sistema costituzionale e parlamentare fu in Gran Bretagna il risultato di una lunga evoluzione storica. Per contro negli Stati Uniti e nell’Europa continentale lo stato costituzionale e rappresentativo fu il prodotto della rivoluzione americana e di quella francese, rispettivamente con la costituzione del 1787, che fu la prima costituzione scritta dell’epoca moderna, e la costituzione francese del 1791. Queste costituzioni poggiavano sull’idea che il potere dovesse rispettare nel suo modo di essere e di operare dei diritti inviolabili di natura (a partire da quello di proprietà), precedenti l’ordine politico, che questi diritti fondassero la sovranità del popolo, che l’obbedienza alle leggi coincidesse con l’obbedienza alla volontà del corpo sovrano dei cittadini e non più con l’obbedienza a un monarca di fronte al quale tutti erano sudditi. Diritti, libertà, rappresentanza, divisione dei poteri costituirono il nucleo di tutte le costituzioni liberali. Le quali mentre proclamarono il principio della sovranità popolare come nuovo fondamento della legittimazione dello stato di origine rivoluzionaria, ne limitarono però l’esercizio in campo elettorale in base a criteri anzitutto di censo. Importante è anche il fatto che la costituzione americana diede vita a uno stato federale, quella francese a uno stato nazionale centralistico. Le costituzioni furono o di origine rivoluzionaria, come quelle del 1787 e del 1791, o di concessione regia come quelle seguite alla Restaurazione del 1814-15, a partire dalla “Carta” concessa nel 1814 da Luigi XVIII in Francia, nelle quali venne combinato il principio della volontà popolare con la grazia divina per dare fondamento alla legittimazione dell’ordine politico e statale.

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6. Lo stato democratico parlamentare e quello presidenziale

Il passaggio dallo stato liberale a quello democratico ha avuto luogo nel mondo occidentale tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Esso è l’espressione delle trasformazioni subite dallo stato costituzionale puro ovvero dallo stato liberale conservatore. Questo era fondato su un corpo elettorale ristretto, con partiti di notabili; vedeva la volontà degli elettori manifestarsi unicamente nella formazione di una delle due Camere (essendo la Camera alta per lo più di nomina regia); il governo era responsabile dinanzi al re e non al parlamento. Lo stato democratico parlamentare si fonda sui seguenti elementi: elezione a suffragio universale dei rappresentanti; partiti di massa; formazione del potere esecutivo sulla base della maggioranza parlamentare e sua durata in carica fino a che perduri la fiducia del parlamento; piena libertà per le minoranze e i suoi diritti da parte della maggioranza. Un tipo di stato democratico che non può essere definito parlamentare è la repubblica presidenziale, quale quella degli Stati Uniti. In essa, secondo una più accentuata distribuzione dei poteri, il parlamento non ha la centralità che riveste nel sistema precedente, in quanto il potere esecutivo non dipende dalla sua fiducia; il presidente, eletto a sua volta dal popolo come i rappresentanti, è insieme capo dello stato e del potere esecutivo, non è responsabile di fronte al parlamento e dura in carica fino alle successive elezioni.

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7. Lo stato socialista

Stati socialisti sono gli ordinamenti fondati sulla dottrina marxista e sul monopolio politico (dittatura) del partito comunista e aventi quale scopo primario la trasformazione della società dal capitalismo al socialismo ovvero a un ordine socioeconomico collettivistico. Essi respingono in via di principio la separazione dei poteri in nome della loro unità. In passato l’esempio più rilevante dello stato socialista lo ha offerto l’Unione Sovietica, nel presente la Cina comunista. L’ordinamento sovietico fu il frutto di un’evoluzione espressa dalle costituzioni del 1918, 1924, 1936, 1977. La prima ispirazione ideologica dello stato sovietico era orientata verso la democrazia diretta ovvero l’autogoverno delle sole masse lavoratrici (democrazia proletaria o dei soviet, i consigli dei soldati, degli operai e dei contadini). Se non che questo progetto si esaurì rapidamente e, cedendo a un irreversibile processo di centralizzazione politica e amministrativa, lasciò luogo alla dittatura in teoria del proletariato e in pratica dei vertici del Partito comunista. Fino al 1936 il suffragio, non segreto, venne limitato agli operai e ai contadini, con un peso maggiore attribuito a primi. Il suffragio universale e segreto fu introdotto solo nel 1936; ma, in assenza della libertà politica e del pluralismo partitico, esso ebbe un carattere plebiscitario. Sino al 1977, nel quadro della lotta di classe, lo stato fu definito “degli operai e dei contadini”; dopo di allora “di tutto il popolo”, considerandosi finita la fase del conflitto tra le classi sociali. Dal punto di vista istituzionale, l’Unione Sovietica si assestò su questo tipo di struttura. Alla base vi erano due camere elettive: il Soviet dell’Unione federale e il Soviet delle nazionalità ovvero delle repubbliche e dei territori. Le due camere esprimevano il Presidium del Soviet supremo, che esercitava la sostanza del potere legislativo ed esecutivo. Al Consiglio dei ministri spettava di mettere in esecuzione i deliberati del Soviet supremo, formato dalla due camere riunite. L’ordine giudiziario era privo di ogni autonomia e al diretto servizio del potere politico. Un’enorme importanza rivestivano gli ordini di sicurezza (Ceka, GPU, KGB), addetti al controllo politico, alla repressione legale ed extralegale e alla sorveglianza dei campi di concentramento, nei quali vennero inviati milioni di prigionieri politici e non politici. L’economia, quasi completamente collettivizzata a partire dalla fine degli anni Trenta, era diretta dalla burocrazia centrale e pianificata secondo le direttive del Gosplan. Massimo organo del potere sovietico era in effetti non già il governo ma l’Ufficio politico del partito (Politburo), a sua volta sottomesso prima a Stalin e poi ai suoi successori ai vertici del partito stesso. Il partito comunista costituiva l’aristocrazia del regime. I giovani erano irregimentati nelle organizzazioni della Gioventù comunista (Komsomol). I sindacati diventarono un mero strumento dello stato e del partito. Del pari le istituzioni culturali si trovarono a essere sotto l’assoluto dominio comunista. Il regime sovietico, accentrando tutto il potere economico e politico e sottoponendo l’intera società al controllo dello stato-partito, ha costituito non solo la prima ma anche la più organica forma di ciò che è stato definito totalitarismo. Lo stato sovietico diventò il modello di tutti i regimi comunisti sorti in altri paesi dopo il 1945. L’unico paese comunista con istituzioni in parte diverse fu la Iugoslavia, che, dopo la rottura con l’Unione Sovietica nel 1948, seguì un proprio modello. Per un verso la Lega dei comunisti, il partito, mantenne il monopolio politico; per l’altro in campo economico, si cercò di attuare un sistema di autogestione delle imprese. Infine, data la diversità tra le componenti regionali dello stato federale, fu messo in atto con la Costituzione del 1974 un quanto mai difficile compromesso tra le parti che, dopo la morte di Tito nel 1980, andò incontro a crescenti tensioni fino alla dissoluzione della Iugoslavia nel 1991-92.

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8. Lo stato autoritario

Per stato autoritario si intende in senso lato ogni forma di stato non liberale e non democratico. E quindi, nell’età contemporanea, soprattutto lo stato totalitario. Ma è opportuno distinguere tra gli stati autoritari che non sono totalitari e questi ultimi. Negli stati totalitari il pluralismo partitico è soppresso, e con esso il parlamentarismo; un solo partito esercita il monopolio politico e dirige l’intera società, dominando interamente lo stato; il partito unico inquadra e mobilita le masse nelle sue organizzazioni o in quelle da esso controllate; è consentita una sola ideologia politica. Negli stati che possiamo definire autoritari ma non totalitari in genere il parlamento e il pluralismo partitico non sono soppressi o non ancora soppressi; i partiti di opposizione mantengono una loro agibilità, ma vengono sottoposti a forti controlli, limitazioni, spesso a violenze fisiche dirette; l’eventualità di un loro accesso al governo è non solo combattuta ma esclusa di fatto, seppure non sempre formalmente; il governo può essere espressione non di un solo partito, ma di una coalizione di partiti seppure dominati per lo più da un partito e dal suo leader, con l’appoggio di centri di potere come le élite economiche, sociali e religiose; in molti casi la guida è l’esercito, specie nei paesi dove questo è l’unica forza organizzata in grado di assumere compiti insieme di controllo politico e di repressione sistematica; le masse – il che capita per lo più nei paesi arretrati a prevalenza agraria – non vengono attivamente mobilitate ma mantenute ai margini, controllate e represse quando necessario. Un esempio tipico di stato autoritario può essere considerato lo stato italiano tra il 1922 e il 1926, vale a dire dopo l’avvento del fascismo al potere e prima che quest’ultimo sopprimesse le istituzioni parlamentari e soffocasse interamente le libertà politiche e civili.

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9. Lo stato fascista

Le istituzioni dell’Italia fascista sono risultate dallo svuotamento di quelle ereditate dall’Italia liberale e sancite dallo Statuto albertino, che non venne formalmente abrogato. In base alle leggi “fascistissime” del 1925-26 il presidente del Consiglio divenne “capo del governo”, i ministri non furono più responsabili di fronte al parlamento, il capo del governo ebbe l’iniziativa legislativa, tutti i partiti all’infuori del Partito nazionale fascista vennero sciolti e proibiti. Esautorata la Camera, a un Gran Consiglio del Fascismo, formato dai notabili del regime, venne demandata la formazione di una lista unica nazionale di 400 candidati, da votare o respingere in blocco. Sicché le elezioni acquistarono un carattere meramente plebiscitario. Allo stesso Gran Consiglio spettava il compito formale di indicare al re il capo del governo e i ministri. Nel quadro della dittatura, Mussolini assunse il ruolo ufficiale di “duce” del fascismo. A capo delle amministrazioni locali furono posti dei funzionari di nomina governativa. I podestà sostituirono i sindaci eletti dai cittadini. Un Tribunale speciale per la difesa dello stato e la polizia politica (OVRA) provvidero all’opera di repressione degli oppositori del regime. Il codice redatto da Alfredo Rocco ed entrato in vigore nel 1931, reintrodusse la pena di morte già stabilita nel 1926 per i reati politici. Dopo che fin dal 1926 era venuta meno ogni libertà di informazione, nel 1937 il sistema della propaganda fu riorganizzato con la costituzione del Ministero della Cultura Popolare (Minculpop). Gli adolescenti e i giovani furono inquadrati in varie organizzazioni, che nel 1937 fecero capo alla Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Soppressi i sindacati liberi nel 1925, vietato lo sciopero, le controversie di lavoro furono affidate a una Magistratura del lavoro. Una legge del 1926 istituì un ministero delle Corporazioni, associazioni dei diversi rami della produzione, istituzionalizzate nel 1934 in numero di ventidue. Nel 1939 la Camera dei Deputati venne definitivamente soppressa e sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Nel febbraio del 1929 stato e chiesa sancirono la loro “conciliazione”, dopo la rottura sopravvenuta alla distruzione dello Stato della Chiesa, con i Patti del Laterano, i quali riconobbero il cattolicesimo come sola religione dello stato, che così acquistò un carattere confessionale. L’ideologia fascista era statalistica e nazionalistica, militaristica ed espansionistica. Il motto di Mussolini divenne: “Tutto nello stato, niente fuori dello stato”. Nel 1938, per affermare il primato dei bianchi nelle colonie e soprattutto per l’influenza del nazismo, il regime si diede un carattere razzistico e antisemita. In seguito alla crisi del 1929, lo stato fascista intervenne profondamente nell’economia, assumendo la proprietà di importanti settori dell’industria e il diretto controllo della maggior parte del sistema creditizio, dando così vita a un sistema misto pubblico-privato senza riscontri in altri paesi capitalistici. Il regime aveva quale fine la creazione di uno stato totalitario, vale a dire totalmente soggetto al partito e da esso controllato (totalitarismo). Se non che il progetto totalitario rimase incompiuto, poiché il fascismo rimase fondato su un compromesso con altri centri di potere come la monarchia, la chiesa, i grandi potentati economici.

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10. Lo stato nazionalsocialista

Al pari del fascismo, anche il nazionalsocialismo non abrogò formalmente la costituzione precedente ma la vanificò di fatto. Nel 1919 la Germania aveva adottato una costituzione liberale molto avanzata, che stabiliva un compromesso tra i poteri del parlamento e quelli del presidente. Giunto al potere nel 1933, il nazismo pose il paese sotto l’autorità assoluta del Führer. Il parlamento (Reichstag) venne svuotato di tutti i suoi poteri, essendo stato attribuito al governo lo stesso potere legislativo. La struttura federale dello stato fu annullata e i Länder persero ogni autonomia. Un Tribunale speciale, poi divenuto Corte del Popolo, provvide a esercitare la giustizia nazista contro i nemici del regime. La polizia segreta di stato (Gestapo), la milizia di partito (SA) e le Squadre di protezione (SS) furono gli strumenti principali del terrorismo di stato, nel cui ambito un peso crescente acquistarono i campi di concentramento, dove vennero avviati oppositori politici ed ebrei. La Gioventù hitleriana inquadrò i giovani. La Camera per la Cultura del Reich fu lo strumento di controllo sulle istituzioni culturali, sulla stampa, sulla radio, sul cinema. Il Fronte del lavoro unì, secondo una rigida gerarchia, le varie categorie produttive. L’organizzazione Forza attraverso la Gioia (Kraft durch Freude) provvide alla ricreazione e al tempo libero dei lavoratori. La Camera del Reich realizzò l’ordinamento corporativo del mondo della produzione. Lo stato nazista fu dominato dall’ideologia razzistica. Perciò un ruolo fondamentale acquistò la legislazione diretta a tutelare la “purezza della razza ariana”. Nel 1935 le leggi di Norimberga privarono gli ebrei, già messi in precedenza ai margini della vita pubblica fin dal 1933, della cittadinanza. Essi furono ridotti alla condizione di “soggetti”, isolati, perseguitati e infine, nel corso della seconda guerra mondiale, annientati fisicamente nella grande maggioranza. La violenza razziale venne diretta anche contro altre minoranze, etniche e non. Una legislazione medico-sanitaria sancì la sterilizzazione e persino la soppressione delle persone affette da tare ereditarie e dei malati di mente inguaribili. A differenza dello stato fascista italiano, quello nazista non dilatò la proprietà pubblica, bensì il controllo sull’economia privata. Il regime nazista, dato il suo carattere razziale, considerava lo stato tedesco mezzo della riunificazione di tutti gli ariani in un’unica entità politica; e quindi il suo nucleo ideologico non era il nazionalismo tradizionale bensì l’espansionismo razzistico sovrastatale. Il partito nazista distrusse completamente l’autonomia della burocrazia, ogni residuo dello stato di diritto, e diede vita a una forma di totalitarismo organico analogo, per ampiezza e profondità, a quello sovietico, sebbene diverso nei suoi presupposti sociali e ideologici e nei suoi fini.

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11. Lo stato federale

Lo stato federale è una forma che si differenzia nettamente dallo stato unitario accentrato. Esso si fonda su un doppio sistema funzionalmente coordinato: gli stati o membri dell’unione federale e gli organi centrali dell’unione stessa. Sicché la sovranità opera a due diversi livelli: per un verso vi è la sovranità degli stati membri che formano l’unione politica, per l’altro i poteri da questi delegati al governo centrale comune, i quali tendono ad assumere o hanno infine assunto una propria sovranità (sistema della doppia sovranità), come avvenuto negli Stati Uniti dopo la guerra civile del 1861-65. A differenza di una confederazione, che opera per accordi tra stati, la federazione dà vita a un sovrasoggetto unitario che, seppure entro certi limiti, esercita un potere diretto su tutti i cittadini, i quali mediante procedure democratiche concorrono alla formazione del governo e gli danno una legittimazione propria. Al governo federale sono attribuiti i poteri in politica estera, nel commercio internazionale, in materia monetaria, in parte nell’ambito fiscale e della sicurezza interna, negli affari militari. Tutti gli altri poteri restano nelle mani degli stati membri. Esempi di stati federali sono stati e sono gli Stati Uniti d’America, la Confederazione svizzera, l’impero germanico sorto nel 1871, l’Unione Sovietica, il Messico, il Sud Africa, l’Australia, l’India, il Brasile. In effetti però, l’impero germanico vide il predominio assoluto della Prussia e l’Unione Sovietica un sostanziale accentramento che vanificava le istituzioni federali. Un importante processo di ispirazione federale è anche in atto in Europa, con la trasformazione ancora in corso della Comunità Europea istituita nel 1957 in Unione Europea, nata formalmente nel 1992 con il trattato di Maastricht. La forma principale di stato federale nell’età contemporanea è rappresentata dagli Stati Uniti, la cui costituzione venne approvata nel 1787 ed entrò in vigore nel 1789. L’ordinamento statunitense si caratterizza per il ruolo preminente che ha il presidente, capo dello stato e titolare del potere esecutivo, eletto e legittimato dal voto popolare. In generale, può dirsi che lo stato federale esprime una più ampia concezione della divisione e degli equilibri tra i poteri, poiché alla tradizionale divisione tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, aggiunge quella tra l’unione e gli stati membri.

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12. Lo stato sociale

Lo stato sociale, assistenziale o del benessere (welfare state) affonda le sue radici negli ultimi decenni dell’Ottocento. Esso è stato il prodotto per un verso della lotta dei lavoratori e per l’altro delle iniziative delle classi dirigenti per integrare le masse nello stato attenuando le radici dei conflitti politici e sociali. Un precedente particolarmente significativo e importante è stata la legislazione sociale messa in atto da Bismarck in Germania nel corso degli anni Ottanta del XIX secolo. Ma le origini vere e proprie dello stato sociale vanno ricondotte alle politiche di intervento messe in atto soprattutto dai governi socialdemocratici e laburisti dei paesi scandinavi e in Gran Bretagna negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, a partire dalla grande crisi economica del 1929. Misure organiche a favore dei lavoratori e degli strati più deboli vennero varate anche nell’Italia fascista, nella Germania nazista e nell’America rooseveltiana. Lo stato sociale ha trovato la sua più compiuta espressione a opera del governo laburista inglese dopo il 1945. Il principio generale ispiratore dello stato sociale è che tutti i cittadini hanno in quanto tali il diritto di godere di un sistema di protezioni e di servizi (pensioni, sanità, sussidi di disoccupazione, ecc.) a carico della comunità. Di qui il sorgere della “cittadinanza sociale”. Le istituzioni sociali sono andate progressivamente allargandosi in tutti gli stati sviluppati, trovando la loro più integrale applicazione in Svezia. Se non che a partire dagli anni Settanta il finanziamento delle istituzioni dello stato sociale, dati i costi crescenti, ha finito per provocare una diffusa e profonda “crisi fiscale” dello stato, che ha determinato anzitutto la reazione delle forze politiche conservatrici di ispirazione liberistica ostili all’interventismo statale. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta il ridimensionamento dello stato sociale e in molti casi il suo svuotamento sono diventati una tendenza generale.

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13. La crisi dello Stato

Come si è visto nei paragrafi precedenti, nel corso della sua vicenda plurisecolare lo Stato ha assunto forme e caratteri assai differenti. Un dato cruciale è tuttavia rimasto costante: la sua capacità di esercitare all’interno (nei confronti dei sudditi-cittadini) e verso l’esterno (nei confronti degli altri Stati) un controllo saldo sulle principali e decisive risorse – economiche, militari e culturali – della sovranità. Secondo molti studiosi, è proprio questo dato che oggi risulta messo in discussione dalle grandi trasformazioni prodotte dai processi di globalizzazione, soprattutto sul terreno dell’economia nazionale, che negli ultimi decenni appare sempre più dominata dalla forza anonima, impersonale e tipicamente sovrastatale dei mercati globali. In tale contesto si parla sempre più spesso di «crisi dello Stato» o addirittura di «fine dello Stato». In una forma così radicale questa tesi non è universalmente condivisa. È tuttavia indubbio – come dimostra anche la crisi economica mondiale iniziata nel 2008 – che siano in atto significativi processi di erosione della sovranità degli Stati, i quali, già indeboliti nella loro capacità di esercitare il potere sovrano nell’epoca del confronto bipolare tra USA e URSS, sono oggi apertamente minacciati dalle nuove e inedite dimensioni globali e transnazionali che la politica, l’economia, le società, le culture e gli stili di vita hanno assunto negli ultimi decenni. Uno degli effetti più caratteristici e nel complesso più paradossali di questo processo è stata la riattivazione, sempre negli ultimi decenni, di significativi processi di frammentazione politica, che si sono manifestati soprattutto nel revival planetario dei nazionalismi e degli etnonazionalismi. Per indicare questa simultanea presenza di tendenze alla globalizzazione e al localismo è stato coniato il termine «glocalizzazione», che esprime per l’appunto il contesto di fondo entro cui gli Stati contemporanei, con sempre maggiori difficoltà, si trovano a dover agire. [Massimo L. Salvadori]

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