Economia e popolazione nell’Europa occidentale nel 1620 circa

Europa L’età moderna

Nel XVI secolo l’Europa, che nel medioevo era stata un continente economicamente e culturalmente tutto sommato marginale rispetto a civiltà ricche, colte e potenti come quella islamica, conquistò progressivamente l’egemonia sul resto del mondo. Già nel corso del XV secolo una serie sistematica di viaggi aveva consentito di conoscere nuove terre e nuove rotte, fino alla scoperta del continente americano da parte di Cristoforo Colombo (1492) e alla circumnavigazione dell’Africa ad opera di Vasco de Gama (1497). Nel Cinquecento spagnoli e portoghesi si impegnarono nello sfruttamento delle nuove possibilità economiche offerte dalle scoperte geografiche, tramite la conquista di ampie fette del continente americano e un nuovo rapporto con i mercati asiatici, non più mediato dai mercanti arabi e veneziani. La principale conseguenza in Europa di questi processi fu la cosiddetta rivoluzione atlantica. L’economia mediterranea, soprattutto italiana, entrò in declino, mentre emersero progressivamente le nazioni proiettate sull’Atlantico o sul mare del Nord: dapprima spagnoli e portoghesi, poi, nel XVII secolo, olandesi, inglesi e francesi. Si aprì così la stagione del colonialismo europeo. La conquista del continente americano, sfociata in un vero e proprio genocidio delle popolazioni locali, mise gli europei in contatto con usi e costumi totalmente differenti dai propri. Questo incontro stimolò la riflessione sull’identità europea: da un lato la presunta arretratezza civile degli amerindi generò in molti osservatori un senso di una superiorità culturale e perfino razziale; dall’altro ci fu chi trasse dall’esperienza della diversità argomenti a sostegno di tesi relativistiche o, addirittura, motivi di autocritica. Il panorama delle posizioni fu ampio: si svilupparono tesi razziste come quella di Sepulveda, che negò agli amerindi la piena appartenenza alla specie umana, definendoli “homunculi”; posizioni moderate, come quella di Montaigne, che criticò il concetto di barbarie, frutto dall’abitudine di ogni popolo a valutare i costumi in relazione alla propria tradizione, elevata a criterio di verità; affermazioni filoindiane come quella di Bartolomeo de Las Casas sulla virtù dei popoli del nuovo mondo, non ancora corrotti dall’avidità, dall’ambizione e dalla crudeltà degli europei; convinzioni radicali come quella di Tommaso Campanella, secondo il quale la civiltà del vecchio mondo, ormai in fase di irreversibile decadenza, poteva far sopravvivere i propri valori solo nel continente americano con l’evangelizzazione delle popolazioni locali. L’esaltazione della bontà e dell’intelligenza naturale degli indios fu un tema classico della riflessione seicentesca e nella cultura dell’Illuminismo produsse poi il mito del buon selvaggio. Un’altra area di civiltà extraeuropea, l’oriente asiatico, ormai conosciuto in modo diretto dai mercanti europei grazie alla circumnavigazione dell’Africa, apparve a molti patria di una civiltà antica e saggia, prospera e felice, meritevole di ammirazione e rispetto. Nella letteratura occidentale si diffuse, parallelamente al mito del buon selvaggio, il culto esotico dell’oriente, spesso utilizzato per criticare i difetti della civiltà europea, come nelle celebri Lettere persiane di Montesquieu. L’apertura culturale e letteraria ai “diversi” non escluse comunque che l’Europa si sentisse legittimata a conquistare e a sfruttare territori e popoli degli altri continenti. Nacque dunque il sentimento della missione universale dell’Occidente, destinato a civilizzare e a unificare economicamente il mondo. Nel frattempo, nel XVI secolo la Riforma protestante produsse una frattura definitiva nella christianitas medievale, strappando alla chiesa cattolica numerose regioni europee che da allora seguirono la confessione luterana (mondo tedesco, Danimarca, Svezia) o calvinista (Svizzera, Olanda, Inghilterra). L’Europa conobbe la nuova divisione tra il nord, prevalentemente protestante e riformato, e il sud cattolico. Se nell’antichità il sud aveva rappresentato la civiltà, contrapposta alla barbarie del nord, ora il giudizio si invertì: il settentrione divenne l’area della purezza e della possibile rigenerazione dell’Europa, mentre il meridione fu considerato il luogo della corruzione e della decadenza degli autentici valori cristiani. Jean Bodin riprese l’antica teoria dei climi per sostenere la nuova convinzione, collegando il freddo nordico con la virtù e il caldo meridionale con la corruzione. La Riforma protestante ebbe relazioni, ancora discusse dagli storici, con l’evoluzione politica ed economica del continente: la confessione luterana contribuì all’affermazione del principio politico dell’assolutismo, mentre quella calvinista promosse l’ideale della partecipazione della società alla vita politica. In campo economico vi fu un nesso, secondo Max Weber, tra l’etica protestante, soprattutto calvinista, e la nascita del moderno spirito del capitalismo. La chiesa reagì alla Riforma in modo articolato: operò un ampio rinnovamento interno (sostenuto dalla nascita di nuovi ordini come quello dei gesuiti), reagì con fermezza alle tesi riformate e controllò con severità e spirito repressivo la vita spirituale e culturale nei paesi cattolici. Con il concilio di Trento (1545-63) si aprì il periodo della Controriforma, che condizionò lo sviluppo culturale, scientifico, morale, civile e politico degli stati cattolici nei secoli successivi. La frattura della cristianità provocò un lungo periodo di tensioni e guerre di religione in tutta l’Europa e particolarmente nel mondo tedesco, in Francia e nei Paesi Bassi. I conflitti religiosi si intrecciarono con le guerre per la conquista dell’egemonia in Europa, che accompagnarono l’affermazione delle monarchie nazionali. L’imperatore Carlo V, il re di Spagna Filippo II, l’imperatore asburgico Ferdinando II, il re di Francia Luigi XIV, nello sforzo di imporre la propria egemonia, gettarono il continente in lunghi e logoranti periodi di guerra. Nello stesso tempo la diplomazia tentò a più riprese di attivare i principi dell’equilibrio tra le potenze, sperimentati in Italia con la pace di Lodi (1454), ma affermatisi a livello europeo con le paci di Vestfalia (1648) e di Utrecht (1713), che conclusero rispettivamente la guerra dei Trent’Anni e la guerra di Successione spagnola. Nel Seicento si diffuse anche l’ideale del federalismo. Il nuovo Cinea (1623) di Crucè e il Gran Disegno di Sully anticiparono temi sviluppati nei secoli successivi (europeismo). Sotto il profilo politico, nel corso del Seicento i grandi stati nazionali superarono la frantumazione del potere tipica delle monarchie feudali in direzione della centralizzazione assolutistica, realizzata nel modo più celebre dal re di Francia Luigi XIV. In Inghilterra, dopo un secolo travagliato da alterne fasi di rivoluzione e di restaurazione, si realizzò per la prima volta una monarchia costituzionale, rispettosa dei diritti dei cittadini (sanciti definitivamente nel Bill of rights del 1689) e fondata sui princìpi della rappresentanza e della divisione dei poteri. Nel Cinquecento e nel Seicento si produsse in Europa una profonda rivoluzione culturale, di cui furono espressione la rivoluzione copernicana, il metodo di Galilei, il sistema di Newton, e la nascita delle filosofie razionalistiche ed empiristiche. Il XVIII secolo fu l’età dell’Illuminismo, che dalla Francia diffuse in tutta l’Europa una rinnovata fiducia nella capacità della ragione di risolvere i problemi dell’uomo e di guidarlo verso la conquista della felicità. Il male che aveva finora impedito all’umanità di realizzare la libertà individuale e la giustizia sociale fu individuato dai philosophes nell’oscurantismo, alimentato dai privilegi dei potenti e delle chiese. La nuova mentalità giustificò l’aspirazione della borghesia al superamento dell’ancien règime e sostenne lo sforzo dei sovrani impegnati nella modernizzazione delle strutture politiche e socioeconomiche dei propri stati. Tra il 1760 e il 1780 si generalizzò l’esperienza del dispotismo illuminato, che vide convergere gli interessi dei sovrani e della borghesia. Furono significativi in tal senso i regni di Federico II in Prussia, di Maria Teresa e Giuseppe II nell’impero asburgico, di Caterina II in Russia, e il governo del granduca Pietro Leopoldo in Toscana. L’Illuminismo fece poi propri l’ideale dell’uguaglianza di tutti gli uomini in quanto soggetti razionali e il cosmopolitismo. Da qui una rinnovata attenzione alle altre civiltà, con l’ammirazione per la saggezza della Cina, la tolleranza religiosa dei musulmani e la positiva semplicità del “buon selvaggio”. L’Europa rifletté anche su se stessa, talvolta autocriticamente, più spesso nella certezza di essere il continente della libertà e del progresso. Così Montesquieu oppose la libertà degli stati europei al dispotismo degli imperi asiatici e Voltaire esaltò il dinamismo della civiltà europea, culturalmente unita nonostante la frantumazione politica, che non trovava l’analogo nel resto del mondo. Il cosmopolitismo, poi, alimentò nuove teorie federalistiche. Rousseau sostenne un ideale federalistico che non soffocasse le specificità nazionali, ma configurasse l’Europa come unità nella diversità. Kant auspicò la nascita di organismi confederali mondiali per garantire la stabilità della pace. Evento fondamentale per la realizzazione e diffusione europea degli ideali illuministici fu la Rivoluzione francese, che smantellò in Francia i residui dell’ancien régime e promosse esperimenti politici liberali e democratici. La nascita di movimenti giacobini in altri stati e, soprattutto, la diffusione dei nuovi codici dell’età napoleonica attivarono un processo di trasformazione politica e sociale di portata europea, che la Restaurazione non riuscì a cancellare.