Illuminismo

Per Illuminismo si intende il movimento di idee, diffusosi nel corso del Settecento, nel quale si riconobbero quegli intellettuali che sottoposero a critica, in nome della ragione, ogni forma di opinione e conoscenza ricevuta dalla tradizione. Il termine “Illuminismo” si è affermato in Italia all’inizio del XX secolo (i contemporanei parlarono piuttosto di una “età dei lumi”), mentre l’equivalente francese âge o siècle des lumières, così come il tedesco Aufklärung, sono concetti settecenteschi. L’estensione del significato di “Illuminismo” al XVIII secolo nel suo complesso è ingiustificata in quanto l’Illuminismo non esaurì il patrimonio intellettuale del Settecento europeo, pur costituendone l’espressione storicamente più rilevante. L’Illuminismo non fu un movimento filosofico unitario e internamente coerente, nel quale identificare uno sviluppo sistematico di princìpi speculativi, ma espresse, al contrario, uno stile di pensiero che accomunò scienziati, giuristi, teologi, eruditi, funzionari e uomini politici. Al di là delle differenze su questioni specifiche, comuni furono agli illuministi la rinuncia alla metafisica, alla teologia, alla ricerca delle cause trascendenti e la volontà di applicare la capacità di comprensione razionale ai fenomeni del mondo umano, sociale e naturale. La discussione delle idee e delle scoperte si basava sulla tolleranza reciproca e sul rifiuto dei dogmi; si affermarono istituzioni culturali preposte alla verifica comune delle nuove conoscenze; il dibattito pubblico, nutrito da un numero crescente di periodici, sostituì in linea di principio l’imposizione di credenze in nome dell’autorità. Lo stile intellettuale degli illuministi fu dominato dall’interesse per il mondo terreno, del quale si studiò il funzionamento perché l’umanità potesse migliorare le condizioni della propria esistenza. La cultura illuminista ebbe una forte componente pragmatica e utilitaristica: la critica alla tradizione in ogni campo del sapere non doveva esaurirsi in se stessa, ma predisporre piuttosto l’intervento dell’uomo nel mondo naturale, sociale e politico. La felicità terrena dell’umanità doveva essere l’obiettivo finale di ogni attività conoscitiva fondata sulla libera ricerca della verità.

  1. Le origini
  2. L’Illuminismo in Francia
  3. L’Illuminismo in Europa
  4. L’Illuminismo e la storia
  5. L’Illuminismo e la rivoluzione
1. Le origini

L’Illuminismo fu un movimento di ambito europeo. La Francia ne costituì il centro organizzativo e intellettuale e il francese assunse il rango di lingua comune degli illuministi. La società e la cultura inglesi ebbero nondimeno un ruolo fondamentale alle origini dell’Illuminismo. La filosofia naturale di I. Newton rappresentò un modello di conoscenza radicalmente nuovo, basata sulla ricerca di leggi la cui formulazione matematica è sottoposta al controllo sempre rinnovato dell’esperienza sensibile e dell’osservazione. Con Newton le leggi naturali non sono più dotate di realtà metafisica e rompono con il modello deduttivistico di R. Cartesio basato sulle ipotesi. La separazione tra conoscenze del mondo naturale e problema teologico, connaturata alla scienza newtoniana, fu un risultato acquisito per gli illuministi. Dall’opera di J. Locke confluì nell’Illuminismo un atteggiamento epistemologico improntato al sensismo, che procedeva con estrema cautela dal particolare al generale. Da Locke gli illuministi trassero inoltre tanto argomenti a favore della trasformazione della religione cristiana in dottrina morale pienamente compatibile con la ragione umana in una direzione che tendeva al deismo, quanto indicazioni in favore di un governo basato sul consenso e sulla libertà. Sull’aspetto religioso della riflessione di Locke insistettero free-thinkers come M. Tindal, A. Collins e J. Toland, che elaborarono nei primi trent’anni del Settecento il modello di una società libera e giusta, nella quale la ragione giudica la religione sulla base dell’evidenza morale e ne espunge quanto si rivela prodotto di mera superstizione. Più in generale, nella prima metà del secolo la società inglese offrì al resto d’Europa l’esempio di una società fondamentalmente egualitaria, tollerante, aperta al merito individuale e capace di generare e distribuire ricchezza e benessere. Con l’opera di B. Mandeville – autore della celebre Favola delle api (1714) – si ebbe una paradossale e fortunata analisi dei meccanismi di questa società moderna, in cui i vizi privati diventano pubbliche virtù e fonti di ricchezze. I motivi di critica religiosa e politica provenienti della cultura inglese si innestarono sull’atteggiamento di scetticismo nei confronti sia delle religioni positive in genere e di quella cattolica in particolare sia delle convenzioni sociali che da M. de Montaigne agli esponenti del libertinismo erudito fino a P. Bayle si era sviluppato in ristretti circoli intellettuali francesi. In questi gruppi la discussione di temi religiosi come la mortalità dell’anima, l’ispirazione umana delle Scritture, l’irrazionalità dei riti si saldò con l’elaborazione di temi antiassolutisti – così ad esempio nell’opera di Henri de Boulainvillers. Nel loro complesso tali discussioni costituirono le articolazioni di una “crisi della coscienza europea” (P. Hazard) nella quale, a cavallo tra Seicento e Settecento, le certezze incondizionate della politica, della religione, della storia, della scienza furono poste radicalmente in dubbio. In coincidenza con una grave crisi della società e dello stato francese negli ultimi anni del regno di Luigi XIV, l’atteggiamento illuminista iniziò a diffondersi nel pubblico colto francese, affrontando l’opposizione talvolta furibonda dei gruppi privilegiati intrecciati al potere dello stato, clero e nobiltà in primo luogo, che dalla critica illuminista si ritenevano per motivi diversi messi in discussione.

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2. L’Illuminismo in Francia

Protagonisti della prima fase dell’Illuminismo in Francia, sino agli anni Quaranta, furono Voltaire e Montesquieu. Il primo si concentrò sulla divulgazione delle idee di Locke e di Newton e della realtà inglese con le Lettere sugli inglesi e sulla polemica contro la concezione tragica e ascetica della condizione umana; il secondo diede un corrosivo ritratto della società e della cultura francese attraverso le Lettere persiane. Alla diffusione di modelli di comportamento più razionali e liberi dal peso del passato si affiancò l’elaborazione di un modello di uomo nuovo, il philosophe, nel quale si doveva affermare la trasformazione della ragione in principio di orientamento della vita in tutti i suoi aspetti. Nel saggio intitolato appunto Le philosophe, scritto verosimilmente da Dumarsais intorno al 1730 e pubblicato e parafrasato ripetutamente dal 1743, si proponeva un modello di uomo rivolto al mondo terreno (“la società civile è per lui [...] una divinità sulla terra”), autonomo e attivo; il philosophe si è liberato dai pregiudizi dell’educazione religiosa; la religione è per lui passione umana nata dallo stupore e dal terrore. Il philosophe guarda alla realtà libero dai lacci della tradizione; si affida ai sensi ed è guidato solo dalla ragione; è impegnato a realizzare la giustizia e il bene generale perché obbedisce alla ragione. Di fatto gli illuministi ebbero una forte dimensione cosmopolita: l’analisi doveva riguardare non solo la società europea settecentesca, ma anche il mondo in gran parte ancora da scoprire dei popoli extraeuropei, per individuare all’interno di un progetto comparativo la verità sul bene dell’umanità. Una volta negato il valore assoluto delle differenze confessionali, l’umanità nel suo complesso appariva ugualmente degna di considerazione. L’esito più importante di questa volontà di costituire una scienza della società universalmente valida si espresse ne Lo spirito delle leggi (1748) di Montesquieu, testo fondamentale dell’Illuminismo europeo, nel quale la logica umana e naturale delle forme di convivenza era ricercata e affermata contro ogni volontà di postulare interventi divini. Al centro del decennio di massima creatività intellettuale dell’Illuminismo, dal 1749 al 1759, si collocò una delle sue realizzazioni fondamentali: l’Encyclopédie (1751-65). Con tenacia i curatori d’Alembert e soprattutto Diderot (dal 1759 unico responsabile dell’opera) vi organizzarono secondo le regole della ragione l’intero patrimonio delle conoscenze sino ad allora acquisite. Intorno all’Encyclopédie si raccolse un gruppo di collaboratori più o meno illustri, che condividevano il progetto illuministico formando il nucleo di un partito dei philosophes (parti philosophique), il cui obiettivo era di “cambiare il modo di pensare comune” (Diderot). Oltre a fornire la più ampia e completa raccolta di informazioni sullo scibile umano del tempo, i collaboratori dell’Encyclopédie offrirono un panorama delle nuove idee illuministe e di proposte di riforma in funzione della felicità umana, esprimendo una profonda fiducia nelle arti utili. L’opposizione della chiesa cattolica e di settori del governo francese all’Encyclopédie ne frenò a varie riprese la pubblicazione senza impedirne il completamento e la diffusione in tutta Europa. Intorno all’Encyclopédie furono formulate alcune delle tesi più caratteristiche dell’Illuminismo francese: Condillac presentò una versione dell’empirismo nel Trattato delle sensazioni (1754); Helvétius in Dello spirito (1758) riprese in termini radicali il sensismo di Locke, esaltò l’importanza dell’educazione, argomentò una concezione sociale della virtù, per cui è giusto chi rivolge le sue passioni al bene pubblico; Buffon iniziò nel 1749 a pubblicare i volumi della sua Storia naturale, nella quale si espresse la volontà illuminista di creare una nuova tassonomia fondata sull’inclusione dell’uomo nella natura. Dalle discussioni intorno all’Encyclopédie si svilupparono interessi e questioni specifiche che allargarono lo spettro delle posizioni illuministe. Alcune meritano di essere poste in rilievo. Dalla volontà di ridefinire la natura del potere politico emerse nel 1762 la teoria di J.-J. Rousseau per cui un corpo sociale fondato sul contratto giusto tra i suoi membri esprime una volontà generale conforme a ragione. Se il radicalismo democratico di Rousseau e la messa sotto accusa della cultura del tempo come manifestazione di una tragica corruzione morale certo non rappresentarono l’orientamento generale di un gruppo illuminista dal quale Rousseau si distaccò assai presto, è evidente che si fece più profondo e generalizzato il dissenso dalla cultura tradizionale in direzione del deismo e dell’ateismo, della separazione di principio tra stato e chiesa, e dell’allargamento della base popolare del governo con il riconoscimento dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge, dell’abolizione dei privilegi di nascita, della responsabilità dei governanti di fronte alla società civile e all’opinione pubblica che se ne faceva interprete. Diderot, Helvétius, d’Holbach, Mably e lo stesso Voltaire divennero i protagonisti di questa fase dell’Illuminismo. La critica all’operato del governo e delle istituzioni giudiziarie e la richiesta di riforme non si trasformarono in un progetto politico unitario. Gli illuministi percorsero strade diverse nei loro rapporti con il potere politico, cercandone ovunque possibile l’appoggio per poterlo riformare in nome della ragione. Dal dispotismo legale dei fisiocratici al repubblicanesimo classicheggiante fino al progetto di una monarchia temperata dalla presenza di assemblee elettive, i progetti di riforma istituzionale si susseguirono e si accavallarono a testimonianza di un’irriducibile creatività intellettuale. A un estremo dello spettro delle posizioni possibili si collocarono coloro che, contrari al compromesso con le forme di potere tradizionali, affidarono i loro progetti di trasformazione all’utopia, a modelli di società perfetta al di fuori dello spazio e del tempo, basati sull’abolizione della proprietà privata in una società comunista severamente disciplinata – così ad esempio Morelly nel Codice della natura (1755). Talvolta l’utopia rappresentò una dimensione soltanto di un più complesso atteggiamento intellettuale: Diderot trasfigurò Tahiti nel luogo della felicità adeguata ai veri bisogni dell’uomo; L.S. Mercier proiettò nella Parigi del 2440 la sua immagine della città perfetta. Forte rilevanza pratica immediata, calati com’erano nella discussione sulle incongruenze sociali ed economiche più stridenti della società francese, ebbero i tentativi di costruire una nuova scienza dell’economia, la fisiocrazia, secondo la quale la produzione della ricchezza doveva essere conseguita in accordo con l’ordine naturale della società fondato sulla libertà del commercio e sulla preminenza dell’agricoltura. A una delle dimensioni fondamentali dell’Illuminismo sono riconducibili gli scritti – tra cui numerosissimi e di grande incisività quelli di Voltaire – che perorarono la causa di una riforma radicale del sistema giudiziario, in vista di una razionale e umana distribuzione delle pene fondata sulla secolarizzazione del diritto. La richiesta di riforme incisive nel campo dell’istruzione, prevalentemente affidata al clero, era nutrita dalla volontà di offrire a tutti gli strumenti per cogliere le verità di ragione, emanciparsi dalle autorità religiose e civili ingiustificate, e trasformarsi per ciò stesso in buoni e utili cittadini, le cui potenzialità di perfezionamento avrebbero potuto liberamente dispiegarsi a vantaggio dei singoli e della società.

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3. L’Illuminismo in Europa

Se in Francia l’Illuminismo ebbe i suoi protagonisti più noti e influenti, l’approccio razionale e critico trovò interpreti anche nel resto d’Europa. Le specifiche situazioni politiche e culturali condizionarono i modi di indagine e di riflessione senza peraltro offuscare l’evidenza di un comune stile intellettuale. In Italia la presenza delle istituzioni ecclesiastiche orientò le energie illuministe verso le rivendicazioni tipiche del giurisdizionalismo (così in P. Giannone e in A. Radicati di Passerano), in vista di un’affermazione della statualità secolarizzata e di una purificazione della pratica religiosa che cercava, spesso dall’interno stesso dell’istituzione ecclesiastica, motivi di dialogo con le istanze illuministe sia scientifiche (Celestino Galiani) sia politiche ed economiche (L.A. Muratori). La presenza di governi ispirati ai princìpi del dispotismo illuminato in Toscana e in Lombardia favorì nella seconda metà del secolo l’incontro tra illuministi italiani e governanti: ne emersero progetti di riforma dell’organizzazione della vita economica per renderla più libera e produttiva (P. Verri a Milano, A. Genovesi a Napoli), articolati atti di accusa del sistema feudale e dei suoi aspetti più oppressivi e disumani (G. Filangieri), taglienti discussioni sulle usurpazioni ecclesiastiche a danno dell’integrità statale (C. A. Pilati, C. Amidei). L’Illuminismo italiano toccò il suo apice di popolarità in Italia e in Europa e di capacità di influenzare le decisioni dei sovrani con l’opera di C. Beccaria Dei delitti e delle pene, pubblicata nel 1764. In Germania, dove la Riforma protestante aveva eliminato uno dei problemi centrali della polemica illuminista, vale a dire l’invadenza della chiesa nella vita sociale e politica, il razionalismo si impose già dall’inizio del secolo attraverso l’insegnamento di C. Wolff e guidò le campagne di C. Thomasius a favore della tolleranza religiosa e della separazione tra filosofia e teologia. Altrettanto determinante fu l’influenza di G.W. Leibniz, della sua nozione di armonia prestabilita e del suo ottimismo filosofico. I governi tedeschi, e in particolare quello prussiano di Federico II, favorirono la diffusione del razionalismo illuministico, contenendone le potenzialità critiche e facendone uno strumento della politica statale. Diffondendosi capillarmente nelle università, l’Illuminismo tedesco diede un impulso rilevante alla ricerca scientifica, al razionalismo teologico, alla creazione di modelli culturali neoumanistici. L’Inghilterra, dove si erano sviluppate alcune tematiche originarie dell’Illuminismo europeo, non vide un movimento di critica ampio come in Francia, mentre in Scozia, dove più gravi erano i problemi sociali ed economici, il ceto intellettuale osservò con acutezza e spregiudicatezza i fenomeni della società, dando un contributo decisivo alla nascita della sociologia (in particolare con A. Ferguson, J. Millar e D. Hume).

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4. L’Illuminismo e la storia

Un campo del sapere nel quale l’Illuminismo lasciò tracce profonde fu quello della ricostruzione del passato. Gli illuministi videro se stessi come protagonisti originali di un processo storico di cui essi si sforzarono di considerare il carattere di globalità, introducendo il concetto di civiltà (civilisation): ripudiando il modello e la cronologia della Sacra Scrittura, gli illuministi concepirono una storia universale nella quale tutti i popoli, anche quelli extraeuropei non menzionati dalla Bibbia, avevano un posto significativo perché partecipi di una storia dell’umanità non più articolabile secondo lo schema che separava i popoli eletti dai popoli reietti. Gli illuministi progressivamente delegittimarono ogni spiegazione sovrannaturale degli avvenimenti storici; affinarono l’interpretazione dei documenti non solo testuali necessari alla ricostruzione del passato, nel quale la storia diplomatica, dinastica e bellica da una parte e la storia ecclesiastica dall’altra non avevano più la preminenza. Dall’interesse per la storia dell’umanità colta nella sua unità gli illuministi concepirono una filosofia della storia come modello di uno sviluppo dotato di senso delle forme economiche, politiche e culturali. Per Voltaire la storia mostrava un filo rosso nel valore della libertà attraverso le epoche e indicava la realtà di un progresso morale, difficile, incerto e sempre da conquistare contro le forze dell’intolleranza e dell’oscurantismo. A torto considerato nell’Ottocento movimento antistorico, l’Illuminismo rinnovò profondamente sia le basi documentarie sia le tecniche narrative sulle quali si fondavano le ricostruzioni storiche. Un vasto movimento europeo di storici antiquari ed eruditi allargò il campo delle conoscenze accertate e introdusse aggiornati criteri di controllo filologico nella ricostruzione delle fonti. Un mercato di lettori colti sollecitò la stesura di opere storiche di ampio respiro e di stile gradevole. Oltre a Voltaire, furono tra i più eminenti storici dell’Illuminismo Hume, Robertson, e Gibbon.

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5. L’Illuminismo e la rivoluzione

In tutta Europa gli illuministi, fiduciosi nella forza delle proprie idee, tentarono di guadagnare l’appoggio dei sovrani per realizzare i propri progetti di riforma. Federico II di Prussia, Caterina II di Russia, Pietro Leopoldo di Toscana, tra gli altri, si mostrarono desiderosi di accogliere idee e suggerimenti, mantenendo contemporaneamente ben ferme le esigenze di una politica di potenza che alla lunga deluse le speranze degli illuministi. All’amarezza per i modesti risultati delle riforme, dove queste erano state tentate, si mescolarono moti di ammirazione per i rivoluzionari americani, che dal 1776 al 1783 difesero con le armi la loro indipendenza contro la monarchia inglese. Lo spettacolo della prima spartizione della Polonia nel 1772 tra Prussia, Austria e Russia incrinò profondamente la fiducia dei philosophes nelle possibilità di collaborazione con i sovrani assoluti. Negli anni Settanta e Ottanta si fece forte la sensazione che le riforme parziali non avrebbero potuto comunque produrre, per semplice accumulazione, una razionalizzazione del sistema sociale e politico. La nuova generazione degli illuministi in particolare, ma anche lo stesso Diderot, diede voce all’insofferenza profonda per condizioni di vita lontane dal modello di un mondo razionale. Esclusi e respinti dalle istituzioni culturali, giovani intellettuali e scrittori come J.-P. Marat e J.-P. Brissot si aprirono a progetti di palingenesi sociale e politica, incompatibili con l’orientamento riformatore, talvolta energico ma sempre prudente, dei loro maestri philosophes. Il successo della Storia delle due Indie (1780) di Raynal e Diderot con le sue accuse al disumano colonialismo europeo e allo schiavismo e la proclamazione del diritto di resistenza, la ripresa degli scritti e della figura di Rousseau, la fortuna stessa del mesmerismo (Mesmer, Franz Anton), la diffusione dei misteri massonici sono indizi del diffondersi di una forma nuova di Illuminismo nella quale andava maturando – alla vigilia della Rivoluzione francese – uno spirito rivoluzionario sconosciuto alla generazione precedente. Mentre Kant definiva l’Illuminismo come l’uscita dell’uomo dalla minorità intellettuale di cui è egli stesso responsabile (1784), il movimento illuminista stava per affrontare la crisi decisiva del sistema politico e intellettuale dell’Europa moderna. [Edoardo Tortarolo]

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