Riforma

  1. I movimenti di riforma della chiesa nel Medioevo
  2. Gli eventi decisivi
  3. La chiesa divisa
  4. Il problema delle “opere”
  5. Le riforme in atto
  6. Crisi e fratture
  7. L’espansione della Riforma in Europa
1. I movimenti di riforma della chiesa nel Medioevo

Il verbo reformare e i sostantivi reformator e reformatio compaiono già nel latino classico e indicano un’azione di trasformazione e di innovazione ma anche di ristabilimento della forma originaria. Il verbo ricorre nella traduzione latina del Nuovo Testamento, nel passo della Lettera di Paolo ai Romani (12, 2) in cui l’apostolo invita i fedeli a essere trasformati mediante il rinnovamento della mente. Nella letteratura cristiana l’idea della riforma prese piena consistenza in base al disegno fondamentale della narrazione biblica: il patto tra Dio e Israele viene ristabilito e rinnovato attraverso la storia dell’infedeltà e cattività del popolo, della liberazione dall’esilio e della ricostruzione di Gerusalemme (cristianesimo). Negli ultimi secoli del medioevo la nozione e il termine di riforma della chiesa e della società cristiana compaiono con crescente frequenza, in particolare negli scritti dell’abate Gioacchino da Fiore e poi dei francescani; nell’epistolario di Cola di Rienzo si associano all’idea della rinascita politica di Roma. Gli avvenimenti del secolo XVI che vengono abitualmente designati come “Riforma protestante” fanno dunque parte di una vicenda ecclesiastica e culturale di lunga durata. Tuttavia, nei secoli precedenti, i movimenti riformatori ebbero esiti diversi. Furono spesso reinquadrati nell’ordinamento tradizionale della chiesa mediante la fondazione di nuovi ordini religiosi (cattolicesimo); oppure furono emarginati e repressi come eresie (valdesi, lollardi, hussiti). Nei primi decenni del Cinquecento, invece, la diffusione e la forza del dissenso religioso, l’irrigidimento della gerarchia romana e, di contro, la frequente adesione delle autorità civili al movimento di riforma, produssero una divisione irreversibile nella cristianità occidentale. Le comunità riformate, che non riconoscevano più l’autorità di Roma, diedero vita a diversi raggruppamenti e denominazioni e, pur mantenendo alcune basilari affinità dottrinali, si organizzarono in forme divergenti sia nell’ordinamento interno (di tipo episcopale, presbiteriano, congregazionalista, ecc.) sia nei rapporti con lo stato (chiese nazionali, chiese indipendenti, gruppi dissidenti).

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2. Gli eventi decisivi

La storiografia protestante pone abitualmente la data iniziale della Riforma nella vigilia della festa di Ognissanti del 1517, quando Martin Lutero, monaco dell’ordine agostiniano e docente di teologia nella nuova Università di Wittenberg, affisse, in vista di una discussione pubblica, 95 tesi col titolo De indulgentiarum virtute. Sollecitato dallo scandalo della vendita delle indulgenze, Lutero denunciò la deviazione dottrinale che stava alla base di quel commercio: le “pene canoniche”, che la disciplina ecclesiastica imponeva ai peccatori ravveduti, e la loro remissione indulgenziale erano state proiettate nella vicenda delle anime nel Purgatorio, stabilendo il potere ecclesiastico anche nell’aldilà; il riscatto di quelle pene veniva poi confuso con l’assoluzione dalle colpe, che è invece manifestazione della grazia divina e non può essere acquisita con le opere umane. Intervenendo in un caso di palese corruzione, il monaco sassone non aveva in mente un disegno di riforma e tanto meno di rottura dell’unità della chiesa. Ma le dispute universitarie che si svilupparono sulla questione delle indulgenze nei due anni successivi misero in evidenza un contrasto molto più radicale. Nel suo ruolo di teologo, Lutero infatti incominciò a sottoporre al vaglio della “sola Scrittura” non soltanto gli abusi ma l’intero edificio giuridico e dottrinale del potere ecclesiastico, mettendo in discussione persino l’autorità del papa e dei concili. La gerarchia romana reagì aprendo a carico di Lutero un processo per eresia che, dopo alterne vicende, si concluse nel 1520 con la condanna pronunciata nella bolla papale Exsurge domine. Ma la controversia teologica si era nel frattempo trasformata in evento pubblico. Tra l’estate e l’autunno dello stesso anno Lutero diede alle stampe una serie di scritti dirompenti: Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sull’emendamento della società cristiana, La cattività babilonese della chiesa e, infine, La libertà del cristiano. Nel primo scritto il teologo di Wittenberg affidava ai laici e alle autorità civili il compito di riforma che la gerarchia ecclesiastica non pareva disposta ad accogliere. Il 10 dicembre 1520 Lutero diede alle fiamme, sulla piazza di Wittenberg, i libri del diritto canonico e la bolla papale. Egli era ormai convinto che l’Anticristo si fosse insediato al vertice della chiesa, nella figura sacra e regale del papa. Con questa convinzione, nell’aprile del 1521 si recò alla dieta imperiale di Worms, che doveva concludere il processo in sede civile e rendere esecutiva la sua condanna. Di fronte all’imperatore Carlo V, Lutero si dichiarò “prigioniero della Parola di Dio” e rifiutò di ritrattare “perché non è giusto né salutare andare contro coscienza”. Posto al bando dell’impero, egli era pronto ad affrontare il martirio. Ma fu tratto in salvo da quelle stesse autorità civili alle quali, pochi mesi prima, era stato indirizzato l’appello della riforma. Sulla via del ritorno da Worms gli uomini del duca di Sassonia Federico il Savio inscenarono un rapimento e diedero asilo al teologo ribelle nella rocca di Wartburg, in Turingia. Qui Lutero indossò abiti di cavaliere e iniziò a tradurre la Bibbia in tedesco, contribuendo così in maniera decisiva alla formazione della lingua letteraria e della coscienza nazionale tedesca. Quando, dopo diversi mesi, lasciò il rifugio e ritornò a Wittenberg, la riforma era già in atto: i monaci e le monache lasciavano i conventi, i preti si sposavano, le forme del culto erano innovate.

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3. La chiesa divisa

La personalità di Lutero, la chiarezza e il vigore concettuale della sua visione teologica dominarono senza dubbio il conflitto religioso del Cinquecento. Ma la rapida diffusione di quelle idee in Germania e in tutta Europa si svolse nel quadro di un ben più vasto movimento culturale, che ricollocava i testi originali delle Sacre Scritture e gli studi biblici al centro della vita religiosa. Nel 1516, un anno prima dell’affissione delle Tesi di Lutero sulle indulgenze, l’umanista Erasmo da Rotterdam pubblicò la prima edizione critica del Nuovo Testamento greco e la sua nuova traduzione latina, che ebbe trecento edizioni in pochi anni. Il lavoro filologico e le opere di critica morale di Erasmo ebbero un’influenza decisiva nella formazione dei giovani intellettuali (chierici e laici) che, a partire dal 1520, si schierarono dalla parte di Lutero e ben presto, con iniziative del tutto indipendenti, diedero avvio alla riforma nelle principali città libere dell’area svizzera e renana: Zwingli a Zurigo, Butzer (o Bucero) a Strasburgo, Ecolampadio a Basilea e infine, alcuni anni più tardi, Calvino a Ginevra. Ma l’espansione, talora tumultuosa, del movimento riformatore produsse divergenze tra i suoi stessi promotori. L’ansia per la discordia crescente nella chiesa indusse Erasmo a dissociarsi dalle posizioni di Lutero. Il riformatore tedesco rispose ad Erasmo (nel trattato De servo arbitrio, 1525) che la discordia e il conflitto erano inevitabili: la Parola di Dio, infatti, vuole mutare e rinnovare il mondo e perciò il mondo non vuole sopportarla. La crisi religiosa del secolo XVI si focalizzò dunque sulla questione dell’autorità nella chiesa: alla tradizione ecclesiastica, al diritto canonico e al magistero dei vescovi e del papa, i riformatori opposero l’autorità della sola Scrittura. Da questo principio trassero la diagnosi che la costituzione gerarchica non garantiva l’unità della chiesa ma, al contrario, produceva divisione. Poiché la conoscenza, l’interpretazione e la predicazione della Parola di Dio erano riservate al clero, e per di più il testo della Sacra Scrittura era vincolato a una lingua ecclesiastica (il latino) ormai incomprensibile al volgo, il popolo cristiano era dunque espropriato dell’Evangelo. All’unica mediazione tra Dio e l’uomo, che è l’opera del Cristo attestata dalla Scrittura, si era sostituita la mediazione autoritaria del ceto sacerdotale. All’inizio del Cinquecento, il consolidamento del potere papale, nella corte e nella burocrazia romana, aveva esasperato le disparità e le tensioni tra il centro del governo ecclesiastico e la periferia. Vi era infine un’altra divisione tradizionale: quella tra i fedeli, laici o chierici, che vivevano nel mondo e, dall’altra parte, i fedeli che ricercavano la perfezione della vita cristiana per mezzo dei voti monastici e nell’isolamento conventuale. La metafora delle muraglie, dietro alle quali si arrocca il potere papale, apre l’appello di Lutero Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca (agosto 1520). La prima e principale muraglia che il riformatore si proponeva di espugnare e abbattere era per l’appunto quella che divide il clero dai laici: “Essi hanno inventato – scrive Lutero – che il papa, i vescovi, i preti e i frati siano chiamati: lo stato spirituale; e i prìncipi, signori, artigiani e contadini: lo stato mondano [...]. Ma tutti i cristiani sono veramente lo stato spirituale, e non vi è in essi nessuna differenza, se non nella funzione”. Questa dichiarazione dava piena legittimità all’intervento dei laici nell’opera della riforma. Ma, quel che più conta, sconvolgeva la dottrina e la prassi del sacerdozio, sulle quali era fondato l’intero potere della chiesa medioevale.

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4. Il problema delle “opere”

Lutero elaborò la sua dottrina della salvezza e della fede nell’esperienza monastica e nello studio dei testi biblici (in particolare delle Lettere di Paolo ai Romani e ai Galati, che nel 1515 e nel 1517 furono oggetto dei suoi corsi nell’Università di Wittenberg). La salvezza è il dono divino, gratuito e incondizionato, offerto ai peccatori mediante l’abbassamento e la morte del Figlio di Dio. La fede è l’accettazione del paradosso della croce, la convinzione interiore dell’unione con Cristo e della liberazione dal peccato e dalla morte. Svincolate dall’angoscia del peccato e dalla preoccupazione per la salvezza, che è data per sola grazia e non per merito, le opere della vita cristiana sono interamente poste al servizio del prossimo. La polemica luterana contro le opere non concerne dunque l’attività dei credenti ma la pretesa dell’uomo di giustificarsi davanti a Dio e di cooperare alla salvezza. Questa pretesa si manifestava nei due principali settori della prassi religiosa del tempo di Lutero: nell’ascesi monastica e nella amministrazione sacerdotale della grazia per mezzo dei sacramenti. La critica dell’isolamento e dell’ozio monastico era assai diffusa nei circoli umanistici del Cinquecento. Erasmo aveva dichiarato che il monachesimo non è vera devozione cristiana. Per parte sua Lutero, praticando con pieno impegno la vita monastica, si era convinto che essa non fosse una via di perfezione e che, al contrario, accrescesse non tanto le tentazioni della carne quanto piuttosto quelle dello spirito. Eppure, anche negli anni cruciali della protesta, egli rimase fedele ai voti e abbandonò il saio e il celibato solo quando la riforma divenne un fatto pubblico. La critica delle opere religiose doveva colpire ancor più drasticamente il potere sacramentale della chiesa. Lutero mantenne soltanto i sacramenti attestati dal Nuovo Testamento e, soprattutto, ne contestò il carattere di opera contemporaneamente divina e umana, riservata al sacerdote consacrato. L’eucaristia – il sacramento che sta al centro della Messa – non è dunque (come affermava la chiesa cattolica in base al dogma della transustanziazione) la ripetizione sull’altare del sacrificio di Cristo, ma l’annuncio della grazia e della presenza di Cristo nella chiesa. Questa presenza, per Lutero, è reale ma non dipende dalle parole e dagli atti rituali del prete. Allo stesso modo la confessione dei peccati e l’assoluzione non implicano alcun potere sacerdotale di legare e sciogliere: Cristo infatti ha dato a ogni fedele la facoltà di assolvere. Enunciate negli scritti di Lutero del 1520, e in particolare ne La cattività babilonese della chiesa, queste idee rendevano inevitabile la rottura con la chiesa romana.

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5. Le riforme in atto

Nelle controversie del Cinquecento e dei secoli seguenti, gli avversari di Lutero e del protestantesimo hanno costantemente sostenuto la tesi che il coinvolgimento dei laici nelle questioni della riforma ebbe l’effetto di scatenare un gioco incontrollabile di interessi mondani, producendo non soltanto lo smembramento della chiesa e la sua sottomissione ai poteri politici ma anche crescenti conflitti sociali, insurrezioni e guerre civili. Questo giudizio, che è presente anche in molte opere di storia, sottovaluta il fatto che, nel secolo XVI, la società civile e quella ecclesiastica erano connesse in modo inestricabile. Le giornate erano scandite dalla liturgia e dal suono delle campane. Dalla nascita alla morte l’arco della vita era segnato dai riti e dai sacramenti. Le parole e le immagini religiose dominavano la cultura popolare e anche quella dei dotti. Le scuole e le università, l’assistenza ai malati e ai poveri erano per lo più gestite dai chierici e dagli ordini monastici o da confraternite religiose. Istituzione centrale del controllo sociale, la chiesa era anche una delle principali agenzie economiche, in base ai possessi e alle rendite terriere, al prelievo fiscale (decime), alle donazioni e ai lasciti dei fedeli. Le esigenze di riforma della chiesa sorsero da domande che concernevano la salvezza personale, la fede e la vita cristiana. I promotori della riforma erano per lo più chierici e monaci dotati di solida formazione teologica o, in minor misura, laici colti e devoti. La diffusione delle loro idee avvenne in un ambiente europeo in cui la stampa e la crescente alfabetizzazione avevano enormemente potenziato la comunicazione pubblica. Il travaglio personale e le conversioni si tradussero rapidamente in appelli e progetti di cambiamento istituzionale. A quel punto l’intero assetto sociale entrò in sommovimento e fu inevitabile l’intervento delle varie associazioni e autorità che organizzavano la vita cittadina sul piano professionale e su quello politico. Ma qui si aprivano questioni di grande rilievo. Chi doveva ratificare e rendere esecutive le innovazioni del culto e dell’ordinamento ecclesiastico proposte dai riformatori? In che modo dovevano essere scelti e insediati i pastori? Da chi e con quali finalità dovevano essere amministrate le tasse ecclesiastiche e i beni degli ordini religiosi dopo la chiusura dei conventi? Nella società del Cinquecento le articolazioni e le competenze dell’autorità civile erano complesse e sovente mal definite. I principi territoriali cercavano di consolidare il loro potere ma le autonomie locali erano vigorose. Nel 1522, quando Lutero era ancora rifugiato nella rocca di Wartburg, i suoi collaboratori ottennero dal consiglio municipale di Wittenberg le prime ordinanze di riforma. Questa prassi ebbe largo seguito e assicurò la vittoria del partito riformatore in alcune città dell’impero e in molti cantoni della libera confederazione elvetica. La Messa fu abolita, per decreto dei Consigli, nel 1525 a Zurigo e a Basilea, nel 1528 nel potente cantone di Berna, nel 1529 a Strasburgo; e, alcuni anni dopo, nel 1536, a Ginevra, una piccola città di lingua francese che aveva appena conquistato la propria indipendenza politica.

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6. Crisi e fratture

Gli attori laici della riforma facevano parte di comunità politiche e di ceti sociali molto diversi. I principi tedeschi e i dirigenti delle repubbliche elvetiche non avevano la stessa concezione della vita pubblica. Peraltro, nella Svizzera come nei territori dell’impero, l’autogoverno cittadino era campo di lotta tra il patriziato urbano e la parte popolare. Infine, le leghe e i patti comunali si stavano espandendo nelle campagne, in conflitto con il dominio signorile. Nella primavera del 1525 i contadini della Svevia pubblicarono il loro programma. Il primo articolo affermava che l’intera comunità deve avere la facoltà di eleggere il proprio parroco e di deporlo. Il secondo affermava che le decime devono essere amministrate dalla comunità per il mantenimento del parroco e per l’assistenza ai poveri. Queste richieste configuravano un autogoverno unitario della comunità civile ed ecclesiastica. Ma ciò che si veniva attuando nelle città non fu concesso ai contadini. I signori territoriali non erano disposti a perdere il controllo delle campagne. Esso era assicurato anche dal patronato sulle parrocchie rurali, che riservava ai signori la nomina dei parroci e la gestione delle tasse ecclesiastiche. La sollevazione dei contadini tedeschi (la cosiddetta guerra dei contadini) fu presto schiacciata nel sangue e il pastore Thomas Müntzer, che si era schierato con gli insorti, fu decapitato. Lutero condannò Müntzer come falso profeta e i contadini come sovversivi. Da quel momento il consolidamento della Riforma in Germania e il governo della nuova chiesa (luteranesimo) furono affidati principalmente al potere dei principi territoriali. Nella libera città di Zurigo doveva prodursi una crisi non meno drammatica. A differenza di Lutero, il riformatore Zwingli, umanista e repubblicano, era convinto che la riforma dovesse investire non soltanto la chiesa ma l’intero ordinamento della città. Egli intraprese pertanto la lotta contro l’arruolamento mercenario delle milizie svizzere, che gli appariva come negazione della libertà cristiana, e ne ottenne l’abolizione nel cantone di Zurigo nel 1522. Avviò quindi la riforma ecclesiastica con una serie di dispute pubbliche di fronte al Consiglio cittadino, a partire dal 1523. Ma nel partito riformatore sorse il dissenso, principalmente a opera di Konrad Grebel e Felix Manz. Essi ritenevano che la riforma della chiesa non dovesse essere affidata alle autorità civili. I veri cristiani sono discepoli del Cristo e non possono avvalersi della spada, neppure di quella legale del magistrato. Per ben marcare l’autonomia della comunità santa e la sua separazione dagli apparati religiosi pubblici, essi affermarono che il sacramento del battesimo non doveva essere impartito ai neonati ma soltanto agli adulti, responsabili delle proprie decisioni. Venne così negata la compatta unità, nello stesso tempo ecclesiastica e politica, che aveva dominato la cristianità medievale e che i riformatori, pur nel conflitto con Roma, volevano mantenere sul piano locale. La reazione dei governanti di Zurigo fu durissima. Dopo aver accolto il programma riformatore di Zwingli, il Consiglio rese obbligatorio il battesimo dei neonati, proibì le riunioni dei dissidenti e infine, nel 1526, comminò la pena di morte agli anabattisti. Il dissenso battista si diffuse in tutta Europa e fu brutalmente represso dai governanti cattolici e da quelli protestanti. Da questo lungo travaglio sorsero le istanze moderne della libertà religiosa e della separazione della chiesa dallo stato. La protesta anabattista ebbe eco e sviluppo in altri gruppi minoritari e perseguitati, in particolare tra i riformatori italiani costretti all’esilio, tra cui Fausto e Lelio Socini.

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7. L’espansione della Riforma in Europa

Nel cruciale decennio 1520-30 l’imperatore Carlo V, che aveva ratificato la condanna di Lutero a Worms nel 1521, dovette far fronte all’offensiva dei turchi e alle guerre con la Francia (che produssero tra l’altro il sacco della Roma papale da parte dell’armata imperiale nel 1527) e dedicò scarsa attenzione al conflitto religioso tedesco. Nel 1529 la dieta di Spira stabilì il divieto di propaganda luterana nei territori dell’impero che erano rimasti fedeli a Roma. Ma i principi e i rappresentanti delle città imperiali che avevano aderito alla Riforma rivendicarono la libertà di predicazione in una “protesta”, da cui trasse origine la denominazione di “protestanti” (protestantesimo). L’anno seguente, in occasione della dieta di Augusta, lo schieramento luterano definì pubblicamente i propri articoli di fede nella Confessione Augustana, redatta dal teologo e umanista Filippo Melantone, principale collaboratore di Lutero. Per far fronte alla minaccia di repressione i protestanti organizzarono la lega di Smalcalda (1531), diretta dal langravio Filippo d’Assia. Ma la crisi politico-religiosa si stava espandendo anche in altre zone dell’Europa. La propensione dei monarchi ad assumere il controllo diretto delle chiese locali, senza incorrere nei pericoli della rivoluzione protestante, si manifestò nel regno d’Inghilterra. Nel 1534 Enrico VIII Tudor attuò lo scisma da Roma, ponendosi a capo di una chiesa nazionale che mantenne intatta la propria struttura gerarchica e sacramentale (anglicanesimo). Ma, sotto il breve regno del suo successore Edoardo VI (1547-53), la chiesa d’Inghilterra diede spazio alla nuova teologia, avvalendosi dell’insegnamento di Martin Bucero e dei riformatori italiani Pietro Martire Vermigli, Bernardino Ochino ed Emanuele Tremellio. Non fu invece un semplice scisma l’adesione al luteranesimo dei regni nordici di Svezia (negli anni dal 1527 al 1531) e Danimarca (nel 1536), avvenuta grazie alla collaborazione tra prelati di elevata cultura e monarchi intenti a costruire la compagine unitaria dei loro stati. Il 1541 può essere considerato un anno di svolta nella vicenda religiosa del Cinquecento. In quell’anno i tentativi di conciliazione dottrinale, sostenuti dall’imperatore Carlo V, diedero luogo al colloquio di Ratisbona, a cui prese parte, in qualità di legato pontificio, il cardinale Gaspare Contarini, discepolo di Erasmo e aperto agli intenti di riforma, mentre la parte protestante era rappresentata da Bucero e da Melantone. Il colloquio non ebbe esito favorevole e iniziarono a prevalere, nella chiesa cattolica, le correnti più intransigenti, che dovevano dare avvio alla Controriforma. Nell’autunno dello stesso anno l’esule francese Giovanni Calvino si insediò stabilmente a Ginevra e ottenne l’approvazione di un nuovo ordinamento ecclesiastico. Avverso alla scelta separatista degli anabattisti, Calvino modificò tuttavia il modello riformatore di Zurigo e Berna, che affidava l’amministrazione della chiesa alle autorità cantonali. Al governo della chiesa ginevrina fu preposto il Concistoro, un organismo collegiale e autonomo, composto di pastori e di laici (diaconi e anziani) mentre l’autorità dottrinale e i compiti della predicazione furono assicurati dalla Venerabile Compagnia dei pastori. Ginevra aprì le sue porte e la sua cittadinanza ai riformati esuli dalla Francia e dall’Italia e diventò il centro strategico del protestantesimo nell’età delle guerre di religione. La vita personale e collettiva fu regolata dai comandamenti del Decalogo e dalla dottrina della vocazione, che impegnava ogni fedele ad agire nel mondo, privilegiando i ruoli di governo, del padre di famiglia e del magistrato. Ma nello stesso tempo il teocentrismo calvinista, riassunto nell’imperativo Soli Deo Gloria (a Dio solo la gloria), reprimeva l’orgoglio dei potenti e creava una mentalità ostile all’assolutismo dei monarchi, laici o ecclesiastici (calvinismo). Nel secolo XVII queste idee, associate alla prassi collegiale nella chiesa e nello stato, ebbero un’influenza decisiva nelle vicende religiose e politiche del mondo anglosassone, nella rivoluzione puritana e nella fondazione delle colonie americane della Nuova Inghilterra (puritanesimo). [Mario Miegge]

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