antisemitismo

Atteggiamento di ostilità e di intolleranza nei confronti degli ebrei, che ne ha accompagnato la storia dall’epoca della diaspora fino ai nostri giorni (ebraismo). Esso è stato alimentato dal profondo senso dell’identità ebraica, vista dagli antisemiti come colpevole “estraneità” nazionale e religiosa. Di qui l’accusa, ricorrente fin dall’età classica (Tacito), di “odio” degli ebrei per chiunque non appartenesse alla loro chiesa. Dopo la seconda distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.) e la dispersione degli ebrei nel mondo, numerosi imperatori romani contribuirono ad alimentare l’antisemitismo, che fu giustificato col pretesto del carattere monoteistico della religione giudaica. Con l’affermazione del cristianesimo come religione dell’impero (IV secolo), mutarono le motivazioni dell’ostilità contro gli ebrei: l’accusa divenne quella di deicidio, poiché gli ebrei avevano consegnato Gesù ai romani affinché lo condannassero. Lo stretto legame dei barbari con la Chiesa in seguito alla conversione dei loro re (Clodoveo, Recaredo, ecc.) consentì all’antisemitismo di sopravvivere e rafforzarsi, dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente, nei regni romano-barbarici, dove si ebbero numerose conversioni forzate, discriminazioni, persecuzioni. Nell’impero d’Oriente Giustiniano conservò e rafforzò la legislazione antiebraica. Nella respublica christiana medievale agli ebrei furono impediti l’acquisto di terre e l’iscrizione alle corporazioni: le uniche attività economiche loro consentite rimasero il commercio e, soprattutto, l’usura, il mestiere “maledetto” vietato ai cristiani. Ciò consentì di aggiungere alla motivazione religiosa dell’ostilità antigiudaica quella economica: gli ebrei furono additati come immorali usurai, affamatori del popolo. La “crociata popolare” del 1096 si risolse in un massacro di ebrei, evidenziando l’ostilità antigiudaica degli strati disperati della società medievale. Nel concilio Lateranense del 1215 papa Innocenzo III impose agli ebrei di cucire sui propri abiti una “rotella” gialla come segno di riconoscimento (uso ripreso nei campi di concentramento nazisti, con la cucitura della stella di David invece della rotella). Per secoli gli ebrei furono costretti a vivere in ghetti isolati da cinta murarie, disprezzati, sospettati di praticare culti abominevoli (ad esempio assassini rituali) e indicati come responsabili di ogni peste, guerra, carestia. Numerosi stati (l’Inghilterra nel 1290, la Francia nel 1181, nel 1306 e nel 1394, la Spagna nel 1492, il Portogallo nel 1498) li espulsero dal proprio territorio (spesso con grave danno economico), alimentando l’immagine dell’“ebreo errante”, uomo senza patria. Solo la Rivoluzione francese (costituzione del 1791) e i movimenti liberali ottocenteschi riconobbero agli ebrei piena parità di diritti, consentendo loro di affermarsi nella vita economica, culturale e politica (spesso alla guida di movimenti di opposizione e rivoluzionari). Una critica all’ebraismo, nel contesto più ampio della critica alla religione, si trova in numerosi filosofi illuministi (tra cui Voltaire) e, nel XIX secolo, della sinistra hegeliana (Feuerbach, Bauer). Marx ne La questione ebraica (1843) vide nell’ebraismo l’espressione del culto del denaro e della pratica dell’usura tipici della società borghese ed associò l’emancipazione religiosa alla più generale emancipazione umana. L’antisemitismo, mai del tutto scomparso (J.G. Fichte propose l’espulsione degli ebrei dal suolo tedesco), si manifestò nuovamente e in modo violento nella seconda metà del XIX secolo, con la diffusione delle teorie razziste, in particolare di J.A. de Gobineau e di H.S. Chamberlain. Lo stesso termine “antisemitismo” nacque nel XIX secolo per la convinzione che gli ebrei, di stirpe semitica, fossero nemici giurati della razza ariana (razzismo). Discriminazioni antiebraiche non mancarono in Europa occidentale – celebre in questo senso l’affaire Dreyfus (1894) in Francia – e in America, ma in Europa orientale l’antisemitismo, radicato da secoli, assunse proporzioni ancora maggiori, con massacri di massa (i pogrom), stimolati e coperti dalle autorità politiche. Nel 1905 circolò un falso documento, i Protocolli degli anziani di Sion, prodotto dalla polizia russa per accusare gli ebrei di complottare per la conquista del mondo. All’antisemitismo religioso, economico e razziale si aggiunse così quello politico, fondato su una presunta congiura ebraica mondiale. Dopo la prima guerra mondiale l’antisemitismo si diffuse in proporzione diretta alla crisi e al malcontento sociale postbellici, con la complicità di politici e intellettuali che cercarono di scaricare su un comodo capro espiatorio le responsabilità della difficile situazione. Esso raggiunse proporzioni estreme nel nazismo, il quale unì le motivazioni razziste, economiche e politiche in un’ideologia che predicava lo sterminio degli ebrei, poi organizzato e attuato dal regime di Hitler in Germania e nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale con la soppressione di circa sei milioni di ebrei. Hitler considerava gli ebrei una “lebbra sociale” responsabile di tutti i “mali” del mondo moderno (le idee liberali, democratiche e socialiste) e autori di una congiura internazionale contro il popolo tedesco. Sia lo strangolamento finanziario della Germania con i trattati di Versailles (1919) al termine della prima guerra mondiale, sia la disgregazione interna della società tedesca, opera dei marxisti al servizio dei bolscevichi, erano attribuiti da Hitler a un unico complotto, finalizzato al dominio ebraico sulla Germania e sul mondo intero. L’indicazione degli ebrei come nemico da eliminare divenne così un aspetto centrale della cultura nazista (Hitler, Mein Kampf, 1925-27; Alfred Rosenberg, Il mito del XX secolo, 1930) e del programma politico hitleriano. Fin dall’avvento del nazismo (1933) iniziarono le discriminazioni economiche nei confronti degli ebrei, il boicottaggio dei loro negozi (segnati con la stella gialla di riconoscimento) e l’allontanamento dalle università e dalle cariche pubbliche. Nel 1935, le leggi di Norimberga negarono agli ebrei la piena cittadinanza tedesca e proibirono i matrimoni misti tra ebrei e cittadini di “pura razza ariana”. Nel 1938, l’uccisione a Parigi di un diplomatico tedesco per mano di un ebreo fu il pretesto per scatenare in Germania la “notte dei cristalli” (tra l’8 e il 9 novembre), con omicidi, arresti, confische di beni, devastazioni di sinagoghe e negozi e violenze di ogni genere nei confronti degli ebrei. I beni di centinaia di migliaia di ebrei che emigravano all’estero per cercare scampo furono confiscati dallo stato. Nel 1943 ci fu l’eroico tentativo di rivolta antinazista degli ebrei del ghetto di Varsavia, guidati da Mordechai Anielewicz. La repressione, ordinata da Himmler e diretta da Jürgen Stroop, fu spietata e si risolse nel massacro di 56.000 abitanti del ghetto, che fu totalmente distrutto. Nel 1938 anche l’Italia fascista aderì alla politica razzista dell’alleato tedesco, emanando leggi razziali antiebraiche e, successivamente, contribuendo alle persecuzioni con le deportazioni nei campi di concentramento (uno dei quali ebbe sede in Italia, alla risiera di San Sabba presso Trieste). Nel 1948 l’ONU cercò di rimarginare la ferita dell’olocausto istituendo in Palestina lo stato di Israele, per consentire agli ebrei il ritorno alla terra promessa, secondo l’ideale da tempo promosso dal movimento sionista (sionismo). Nonostante la tardiva riabilitazione degli ebrei da parte della Chiesa nel Concilio Vaticano II (1964), che escluse l’accusa di deicidio, nei confronti dei numerosi ebrei che scelsero di non tornare in Israele si continuarono tuttavia a esercitare varie forme di discriminazione. Nella seconda metà del Novecento, in reazione al sionismo e alla politica discriminatoria dello stato di Israele nei confronti dei palestinesi, si sviluppò una nuova forma di antisemitismo negli ambienti dell’integralismo islamico e anche in alcune correnti della cultura occidentale, che raggiunse punte di estrema intensità in occasione della prima e della seconda intifada. Sapore dichiaratamente antisemitico ebbe anche la volgarizzazione di certi “revisionismi” e “negazionismi” storiografici – si pensi in particolare alle posizioni di Robert Faurisson, Ernst Zündel e David Irving – tendenti a minimizzare la portata o il significato dell’olocausto. Nel corso degli anni Novanta si verificarono in gran parte dell’Europa atti preoccupanti come la profanazione di cimiteri ebraici (Carpentras, Francia, 1990) e di sinagoghe. Sul piano interpretativo, si è sviluppato nel XX secolo un ampio filone di ricerche sulle motivazioni psicologiche, sociologiche, politiche ed economiche dell’antisemitismo. Sono celebri in questo quadro le analisi di T.W. Adorno sulla personalità autoritaria e repressa, particolarmente predisposta alla propaganda razzista e alla ricerca di un capro espiatorio per lo sfogo del malcontento, e di J.P. Sartre sull’uomo inautentico, razzista perché bisognoso di certezze assolute sul bene e sul male (personificato nell’uomo inferiore). La sociologia ha identificato nel sottoproletariato e nella piccola borghesia della moderna società di massa le fasce sociali più sensibili alla propaganda antisemitica e razzista. [Sergio Parmentola]