ebraismo

Termine dalle accezioni molteplici e complesse, indica l’insieme degli aspetti storici, religiosi e ideologici che riguardano il popolo ebraico nel corso della sua lunga storia.

  1. La periodizzazione
  2. La storia
  3. La religione e la cultura
1. La periodizzazione

Sul piano cronologico si distingue l’“ebraismo” in senso stretto, che riguarda la storia e la cultura ebraica dalle origini fino all’esilio babilonese (VI secolo a.C.), dal “giudaismo”, che viene diviso in antico (fino all’inizio dell’ellenismo) e medio (fino al II secolo d.C.). Quest’ultimo comprende anche il cristianesimo delle origini. Segue il giudaismo rabbinico che arriva fino ai nostri giorni con numerosi movimenti spesso in contrasto tra loro. Oltre al cristianesimo, la cui matrice giudaica è stata fortemente influenzata dal pensiero occidentale antico nella strutturazione dei suoi princìpi, devono essere ricordati altri due movimenti derivati dal giudaismo: il “samaritanesimo”, sorto nel V secolo a.C. e tuttora esistente con una piccola comunità, che ha però ancora a capo un sommo sacerdote discendente diretto dei sommi sacerdoti legittimi ebraici, e il “caraismo”, sorto verso l’VIII secolo d.C. in opposizione al giudaismo rabbinico e oggi quasi scomparso.

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2. La storia

La storia del popolo ebraico ha coinciso per un lungo tempo con la storia del regno di Israele il quale – dopo un periodo iniziale, anteriore al 1000 a.C., di cui abbiamo scarse notizie – fu governato monarchicamente. Il regno fu unito durante il X secolo a.C. sotto i tre re Saul, David e Salomone; poi si divise in due, il regno di Israele al nord con capitale Samaria e il regno di Giuda al sud con capitale Gerusalemme. Dopo la scomparsa del regno del nord nel 721 a.C., la tradizione giudaica restò viva soprattutto al sud. Il regno di Giuda rimase più o meno indipendente fino al 587, anno in cui Giuda fu conquistato da Nabucodonosor, re di Babilonia, di cui restò vassallo, ma sempre governato dalla dinastia iniziata da David. Questa scomparve solo nel 515 a.C. circa per un movimento interno del giudaismo, che mise il potere nelle mani del Sommo Sacerdozio, che fu ereditario e tenne il potere fino al 173 a.C. Dopo la conquista babilonese lo stato ebraico non fu quasi mai indipendente. Il dominio passò dai babilonesi ai persiani (Ciro conquistò Gerusalemme nel 538 a.C.) e poi ai greci (Alessandro Magno conquistò Gerusalemme nel 332). Sottomessi prima ai Lagidi d’Egitto e poi ai Seleucidi di Siria, gli ebrei ebbero di nuovo un periodo di indipendenza sotto la dinastia asmonaica dal 141 al 63 a.C., quando Gerusalemme fu conquistata da Pompeo e cadde sotto il dominio di Roma. La storia del popolo ebraico si è, perciò, svolta quasi tutta in una situazione di dipendenza politica, culminata nel 135 d.C. con la perdita del territorio stesso dello stato. Da questo evento trasse un ulteriore impulso il fenomeno della diaspora, vale a dire la sopravvivenza, fuori dai territori nazionali, di comunità ebraiche che restavano fortemente legate al loro patrimonio tradizionale. In tal modo gli ebrei hanno potuto mantenere la propria identità nazionale, pur vivendo sempre come ospiti, accolti talora bene, talora perseguitati e addirittura cacciati per motivi religiosi, politici ed economici in un groviglio di cause che è difficile interpretare con un cliché unico (antisemitismo). L’ultima persecuzione fu quella scatenata da Hitler e culminata nell’olocausto. Nel 1948, infine, gli ebrei hanno ottenuto di riavere un proprio stato indipendente: lo stato di Israele.

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3. La religione e la cultura

La nota fondamentale dell’ebraismo è la sua fede in un Dio unico. Ma non fu così fin dalle origini. L’ebraismo preesilico non fu monoteista. In Israele esistette anche il culto di altri dei. Il Dio nazionale, Yahweh, godeva solo di un culto particolare, per cui per certi ambienti si può parlare di monolatria. Ancora nel V secolo a.C. la colonia militare ebraica di Elefantina (vicino all’odierna Assuan) riconosceva altre divinità oltre a Yahweh. Caratteristiche figure della storia ebraica furono i profeti. Da un lato vi erano regolari consorterie profetiche, che potevano essere consultate dai sovrani in caso di particolari pericoli, dall’altro sono passati alla storia col nome di profeti alcuni uomini che espressero le loro idee riguardanti sia Dio e la religione, sia contingenti situazioni politiche. In Giuda i profeti ebbero facile accesso al Palazzo, ma non ne furono succubi. È da questo rapporto Palazzo-profeti, in ogni caso, che si formò la dottrina messianica, destinata ad avere importanza fondamentale nel giudaismo medio. La parola “messianismo” deriva dall’ebraico mashìakh, “unto”, che era il titolo fondamentale del re. Unto era colui che agiva a nome di un altro e il re agiva in nome di Dio. La dottrina messianica affermava che sarebbe giunto un tempo felice, in cui un re di Israele, dotato da Dio di particolari carismi, avrebbe portato al suo popolo e a tutta la terra uno stato di felicità. Il monoteismo rigido si affermò solo dopo l’esilio, probabilmente sotto l’influsso della religione iranica e, in un certo senso, per reazione a questa. Nello zoroastrismo accanto al dio principale e buono, Ahura Mazdah, vi era una seconda divinità malvagia, Ahrimane. Il profeta Isaia Secondo (o Deuteroisaia), vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C., affermò che Yahweh era l’unico Dio, creatore della luce e della tenebra, del bene e del male (Isaia 45, 7). Affermando il monoteismo in termini così rigidi, Isaia Secondo aprì al giudaismo successivo molti problemi per il rapporto che poneva tra Dio e il male. Fin dai primi profeti di cui ci siano pervenuti gli scritti (Amos e Osea: fine dell’VIII secolo a.C.), l’ebraismo ebbe fortissimi accenti morali: l’ira di Yahweh, a differenza di quella di altri dei, poteva essere mossa solo da ciò che oggi potremmo definire “male etico”. Le più antiche norme legali sono raccolte in quella sezione della Bibbia, che i cristiani chiamano “Pentateuco” e gli ebrei torah, termine che viene tradotto normalmente con “Legge”, anche se altri preferiscono tradurre “insegnamento”. Infatti la torah non è una raccolta omogenea di leggi, ma costituisce il punto di riferimento fondamentale dell’etica ebraica. Durante il periodo antico e soprattutto medio il giudaismo si divise in varie sette, che già Giuseppe Flavio raggruppò secondo il punto di vista che tenevano riguardo al problema del male. Da un lato i “farisei” (gruppo sorto intorno alla fine del II secolo a.C.) difendevano la piena responsabilità dell’uomo nella trasgressione; dall’altro gruppi quali gli esseni attenuavano questa responsabilità in varie misure, pensando che l’origine del male nel mondo fosse dovuta a una contaminazione della natura umana derivata da un peccato commesso prima della storia o da esseri angelici o dal primo uomo. Il sacrificio di Gesù di Nazaret, e quindi il cristianesimo, hanno un senso solo alla luce di questa seconda teologia. Durante il medioevo gli ebrei furono parte attiva della cultura araba soprattutto nel campo scientifico. Notevoli i centri ebraici di Baghdad (VIII-IX secolo d.C.) e dell’Andalusia (X-XI secolo d.C.). Nella filosofia deve essere ricordato Maimonide (XII secolo d.C.). A partire dal XII secolo, abbandonata la Spagna islamica, gli ebrei ebbero un ruolo importante nello sviluppo della cultura latina, facendo conoscere in traduzioni latine e romanze opere arabe. Mentre nel mondo arabo gli ebrei usavano scrivere nella lingua di questo, nel mondo latino ripresero l’uso della lingua ebraica. Il giudaismo odierno ha le sue radici nei maestri o dottori della mishnàh (raccolta di tradizioni in massima parte farisaiche formatasi in lingua ebraica agli inizi del III secolo a.C.), detti tanna’ìm. L’opera dei tanna’ìm fu continuata in Babilonia e in Palestina da maestri detti amora’ìm, che commentarono la mishnàh, dando vita ai due talmudìm, quello babilonese e quello palestinese. Il talmùd per eccellenza è restato quello babilonese. A differenza del cristianesimo che si è sviluppato come religione che aspira a inserirsi nella cultura di ogni popolo, l’ebraismo ha mantenuto i caratteri originari di religione espressione di un solo popolo. Durante il secolo XIX nacquero alcuni movimenti ebraici, indicati come riformisti o progressisti, che ebbero la loro radice in Germania e miravano all’assimilazione nazionale e quindi a fare dell’ebraismo solo una religione accanto alle altre. Essi furono, perciò, contrari al movimento fondato da Herzl nel 1897, il sionismo, che propugnava la riunificazione degli ebrei in un loro territorio. [Paolo Sacchi]

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