razzismo

Orientamento culturale e politico che sostiene la centralità della razza (nel senso di collettività definita in base ad attributi naturali e culturali) come fondamentale criterio classificatorio dell’umanità, e stabilisce una gerarchia tra le razze spesso accompagnata da un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle razze “inferiori”.

  1. Il razzismo nella storia
  2. Il razzismo oggi
1. Il razzismo nella storia

Le idee di purezza razziale presenti in alcuni popoli dell’antichità scomparvero o si attenuarono nel corso del medioevo e dell’età moderna grazie soprattutto al messaggio universalistico del cristianesimo. Ma la concezione di un’umanità divisa in razze, in tipi biologicamente distinti, rinacque con le esigenze di analisi e di classificazione scientifica dell’Illuminismo di fronte alle scoperte geografiche e antropologiche dell’epoca. Mentre il fiorire della schiavitù nelle Americhe ribadiva anche agli europei (pur senza sviluppare esplicite teorie razziste) l’inferiorità della “razza” negra, nel corso dell’Ottocento diverse influenze contribuirono allo sviluppo di un’ideologia razzista in Europa, che tendeva a rendere permanente un’inferiorità temporanea. L’idea dei caratteri originari e immutabili dei vari popoli storici sostenuta dal Romanticismo, la nascita delle discipline orientalistiche e la scoperta della comune origine indoeuropea (da molti definita “indogermanica” o “ariana”) di alcune delle più grandi civiltà, insieme al colonialismo e al progresso della tecnica, diedero un grande impulso al senso di superiorità dei bianchi. L’idea della missione civilizzatrice mondiale della “razza” bianca fu inoltre notevolmente rafforzata dalla volgarizzazione delle teorie di Darwin, la cui indebita applicazione ai fenomeni sociali rese il concetto di sopravvivenza del più adatto un’arma efficacissima per i fautori della disuguaglianza sociale e razziale. Nella stessa temperie, grazie al crescente prestigio della scienza favorito dal positivismo, fiorirono discipline pseudoscientifiche come la frenologia e la fisiognomica (che studiavano i presunti rapporti tra aspetto fisico e caratteri psicologici e morali), mentre l’eugenetica (che si prefiggeva il controllo e il miglioramento del patrimonio genetico) ricevette una forte connotazione in senso razzista. L’elaborazione di vere e proprie teorie razziste ebbe inizio intorno alla metà del secolo. L’idea della razza come elemento centrale della civiltà e la visione della storia come lotta di razze comparve per prima in Gobineau, anche se in un’ottica pessimistica nella quale l’originaria razza ariana era ormai degenerata a causa dell’unione con popoli inferiori. Prospettive per una moderna politica razzista furono aperte da Vacher de Lapouge, che sostenne la possibilità di selezionare e purificare la razza ariana grazie all’eugenetica. Ma la vera culla del razzismo, più che la Francia, fu la Germania. Qui, insieme al nazionalismo (soprattutto al pangermanesimo) e all’antisemitismo, esso creò un clima culturale che, minoritario fino alla prima guerra mondiale, fu dopo il 1918 il principale terreno di coltura della destra eversiva. Tra i molti autori la cui produzione dimostra come in Germania il razzismo fosse penetrato nei settori più disparati – dalla psicologia alla storia, dalla religione all’antropologia sociale – il maggiore successo spettò a Houston S. Chamberlain, che assegnò alla razza ariana la missione politica del dominio del mondo. Dopo la guerra le idee di Chamberlain furono riprese dal nazionalsocialismo, il primo movimento politico che fece del razzismo un elemento centrale della propria ideologia. Qui fu determinante il contributo di Hitler e di Alfred Rosenberg, che individuarono negli ebrei la “razza nemica” per eccellenza, fonte di tutti i mali dell’umanità. Il nazismo costituisce fino a oggi il caso estremo di razzismo, con il tentativo, unico nella storia, di pervenire alla purezza razziale tramite la distruzione fisica di una “razza” nemica e di minoranze “devianti” (zingari, omosessuali, minorati fisici e mentali), oltre che con l’attuazione di programmi di selezione genetica.

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2. Il razzismo oggi

Dopo il 1945 le ricerche biologiche e genetiche hanno prodotto un consenso unanime nella comunità scientifica circa l’insostenibilità del concetto di razza (confermato dalle recenti ricerche sul genoma umano), che ha eliminato ogni credibilità del razzismo biologico. Ciò non significa che l’idea di differenza razziale non abbia continuato a ispirare forme di pesante discriminazione, come mostrano i casi di segregazione tuttora in atto negli Stati Uniti (benché in forme non ufficiali) e, fino a pochi anni fa, nella Repubblica Sudafricana (apartheid). Nelle società occidentali il pregiudizio biologico sopravvive in varie forme a livello di luogo comune, così come sono ampiamente diffusi tipi di razzismo culturale ed “etnico”. Sostenuto in particolare da ambienti politici conservatori, questo tipo di razzismo è pericoloso quanto l’ormai screditato razzismo biologico, poiché, pur negando una gerarchia tra le “razze”, sostiene l’esistenza di differenze al fine di impedire contatti e commistioni. La persistenza di queste ultime forme (spesso difficilmente distinguibili, sul piano concettuale, dall’etnocentrismo e dal nazionalismo) è rafforzata dal grado di disagio sociale provocato dalla presenza nelle società occidentali di un’intensa immigrazione dal Terzo Mondo. La varietà delle forme, storiche e attuali, del razzismo ne riflette il carattere di fenomeno complesso, non riducibile a spiegazioni univoche. La maggioranza delle interpretazioni tende così a sottolineare l’interazione tra cause economico-sociali (razzismo come valvola di sfogo di frustrazioni economiche e sociali, come nella Germania degli anni Venti e Trenta, nelle zone povere del Sud degli USA, o in alcune regioni europee attualmente in difficoltà economiche) e motivi di natura psicologica (razzismo come frutto dell’aggressività inconscia, che viene scaricata su un “altro” socialmente riconosciuto come tale).

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