bizantino, impero

Termine con cui si suole designare l’impero romano d’Oriente a partire dal IV secolo d.C., da quando cioè nel 330 l’imperatore Costantino I, Flavio Valerio il Grande trasferì da Roma a Bisanzio, città sul Bosforo, il centro politico-amministrativo dell’impero, dando così vita a una nuova capitale che da lui prese il nome: Costantinopoli (oggi Istanbul). Da allora, sino al giorno in cui nel 1453 i turchi se ne impadronirono, lo stato bizantino durò più di un millennio, custode consapevole di un’eredità culturale e spirituale da difendere sia verso gli aggressori esterni sia al cospetto dell’Occidente, con cui contese il primato della continuità politica e religiosa dell’impero romano. La costituzione ufficiale di una “nuova Roma” e la decisione successiva di insediarvi un secondo Senato evidenziarono il dualismo economico, sociale e culturale, presente del resto già da tempo, fra pars Orientis e pars Occidentis dell’ormai immenso territorio compreso nei confini dell’impero romano, rendendo concreto lo spostamento del baricentro dell’impero verso l’Oriente, più ricco di risorse e inizialmente meno esposto agli attacchi dei popoli che avanzavano sulle frontiere occidentali. In seguito a questi attacchi, infatti, nel 476 l’impero d’Occidente cadde sotto il controllo dei germani.

  1. Caratteri generali dell’impero d’Oriente
  2. Controversie religiose e difesa dei territori
  3. L’apogeo dell’impero
  4. L’impero fra le crociate e l’avanzata turca
  5. TABELLA: Imperatori d’Oriente (395-1453)
1. Caratteri generali dell’impero d’Oriente

Al momento del trasferimento della capitale a Costantinopoli la pars Orientis, che solo con termine moderno fu chiamata impero bizantino giacché i suoi abitanti si considerarono e si autodefinirono sempre romani, conteneva nei suoi confini l’intera penisola balcanica (esclusa la Dalmazia che spettò all’Occidente), il Chersoneso sul Mar Nero, l’Asia minore, l’Armenia occidentale, la Mesopotamia, la Siria, la Palestina e, in Africa, l’Egitto e le zone costiere della Libia e della Cirenaica. Insieme allo spazio geografico e alla struttura politico-amministrativa, Bisanzio ereditò da Roma anche alcune difficoltà connesse alla difesa di questi territori. Due erano in particolare le aree più difficilmente difendibili: la danubiana, luogo di massicce penetrazioni delle popolazioni slave già dalla fine del VI secolo, e l’orientale, dove Bisanzio si trovò a dover fronteggiare le ambizioni dell’impero persiano sui territori siriaci e armeni. Posta ai confini euro-asiatici, punto di raccordo geografico e centro di mediazione culturale tra il mondo greco e quello romano, Bisanzio si propose come centro dell’oikouméne, vale a dire di quel mondo cristiano la cui unità religiosa, indispensabile per la coesione di popolazioni etnicamente e linguisticamente diverse, era attivamente sorvegliata da coloro che di questa unità incarnavano il simbolo: l’imperatore e la Chiesa. Fin dalle origini l’impero bizantino trovò la sua giustificazione ideologica nella dottrina secondo cui il sovrano è legittimato a governare in quanto immagine vivente del Cristo. Tale pensiero, formulato in epoca costantiniana da Eusebio di Cesarea, si realizzò in modo compiuto con l’imperatore Teodosio il Grande (379-95), che definì il cristianesimo come religione ufficiale dello stato. Una delle conseguenze di tale dottrina, unitamente all’antica norma ereditata da Roma della trasmissione del potere per consenso di popolo, fu quella di ritardare l’affermazione di una regola per la successione al trono secondo la linea dinastica, che avrebbe garantito una maggiore stabilità governativa evitando pericolosi vuoti politico-istituzionali e, con essi, il rischio che il senato o l’esercito assumessero un’autorità tale da conferire l’assenso a un proprio candidato. Di qui una serie innumerevole di lotte di palazzo e di scontri di forza tra i vari gruppi egemonici che caratterizzarono di volta in volta la successione al trono in assenza, almeno fino al X secolo, di una legge organica che disciplinasse la trasmissione del potere. Solo più tardi, con i sovrani macedoni e successivamente con i Comneni, il principio dinastico si affermò completamente soppiantando il principio di elettività alla suprema carica dello stato bizantino. I lunghi periodi di instabilità politica che a intermittenza turbarono la gestione dell’impero furono però bilanciati da un’altra eredità romana che a Bisanzio trovò continuità e rafforzamento: un apparato burocratico capillare, sia centrale sia periferico, articolato in una gerarchia di funzionari civili e militari, ricollegati tutti al potere centrale; un sistema amministrativo, dunque, efficiente ed evoluto che assicurò il funzionamento statale salvaguardandolo dalla disgregazione nei periodi di maggiore difficoltà. Tale sistema, basato essenzialmente su una netta separazione tra incarichi militari e funzioni civili e su una gerarchica ripartizione dei compiti, mirava, attraverso la specifica competenza dei funzionari e la dislocazione stabile delle unità militari nelle zone minacciate, a evitare l’accentramento di poteri di natura diversa nelle mani di uno solo. Determinante era il ruolo di dignitari di alto rango (magistres), rappresentanti massimi dell’autorità imperiale, figure di raccordo tra il potere locale e il potere centrale, dal quale emanava ogni decisione. Già nel IV secolo i territori dell’impero furono suddivisi in province, riunite a loro volta in quattro grandi prefetture: Oriente, Illirico, Italia e Gallie. Le modifiche operate successivamente dagli imperatori, almeno fino al IX secolo, intervennero sempre sulla base di questa organizzazione.

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2. Controversie religiose e difesa dei territori

Nel secolo V si aprì per Bisanzio un periodo molto travagliato sotto il profilo religioso e sociale. Le controversie religiose nell’impero bizantino non potrebbero fino in fondo comprendersi senza considerare il loro ruolo più intrinseco di manifestazioni di disagio sociale e di dissidenza politica soprattutto in aree periferiche ma fertili culturalmente ed economicamente come la Siria e l’Egitto. Così le dispute dottrinarie sui dogmi della fede cristiana, dapprima di carattere trinitario, spostatesi ben presto sul rapporto tra la divinità e l’umanità in Cristo, si trasformarono nel secolo V in aperto dissidio tra le scuole teologiche di Alessandria e di Antiochia, l’una attenta a sottolineare nel Cristo soprattutto la divinità, l’altra una dualità di nature, congiunte tuttavia in un’unica persona. In seguito al concilio di Efeso, indetto nel 431 dall’imperatore Teodosio II, gli alessandrini ebbero il sopravvento sugli antiocheni – detti nestoriani dal vescovo Nestorio che li guidava – che furono condannati e perseguitati. Più tardi, nel concilio di Calcedonia (451), un’altra dottrina teologica, il monofisismo, che tendeva a privilegiare la dimensione divina del Cristo così da attribuirgli una sola natura, fu condannata a favore di una soluzione (detta diofisita e tuttora riconosciuta come ortodossa nella cristianità intera) che affermava in Cristo due nature, umana e divina, inseparabili e inconfuse, ma formanti una sola persona. Nel secolo V l’impero bizantino dovette misurarsi con la prospettiva di perdere il proprio potere sui territori occidentali dove si stavano formando autonomi regni romano-germanici. Nei confronti dei germani si scontrarono a Bisanzio due opposte posizioni politiche: l’una realista, volta a concentrare gli sforzi sull’organizzazione e la difesa della parte orientale dell’impero, quella cioè propriamente bizantina; l’altra idealista, che aspirava all’universalità e alla riunificazione della cristianità e dell’Occidente sotto un unico imperium. Questa seconda tendenza predominò nel corso del secolo VI con l’imperatore Giustiniano (527-65), sotto il cui regno l’impero bizantino raggiunse la massima espansione territoriale. Grazie alle vittoriose campagne condotte dai suoi generali, che sottrassero l’Africa ai vandali (534), l’Italia agli ostrogoti (553) e il sud della Spagna ai visigoti (554), Giustiniano ricostituì su tali aree l’amministrazione provinciale romana rendendo reale il sogno della renovatio imperii, una renovatio in cui le vittorie politico-territoriali dovevano configurarsi al contempo come vittorie dell’ortodossia religiosa. Con Giustiniano l’impero bizantino non fu soltanto l’erede di Roma, fu l’impero romano stesso vivente nella grandezza cristiana: lo splendore dei monumenti e l’irradiamento della cultura ne furono testimonianza, il prestigio militare la prova. Un impero che però gravitava ormai tutto intorno a Costantinopoli: l’Italia, ridotta a semplice provincia e privata degli antichi privilegi, perse infatti per sempre il suo ruolo di centralità e di riferimento ideologico. L’allontanamento tra romanità e grecità si realizzò compiutamente proprio con Giustiniano, definito a buon diritto “l’ultimo imperatore romano sul trono di Bisanzio” (Ostrogorsky). Della sua opera restauratrice rimase tuttavia ben poco – ad eccezione del settore giuridico, dove la volontà riformatrice dell’imperatore si manifestò nella compilazione del Corpus iuris civilis – a seguito degli sconvolgimenti radicali che nel secolo VII turbarono il tradizionale assetto mediterraneo. Un insieme di fattori concorsero a sgretolare rapidamente l’opera di Giustiniano: la gravissima situazione finanziaria ed economica, l’allentamento della disciplina militare e la comparsa sui confini di nuove dirompenti forze fra cui i longobardi in Italia e gli arabi in Oriente. I successori di Giustiniano, pur mantenendo l’integrità territoriale dell’impero, dovettero così rinunciare a gran parte dell’Italia, invasa sin dal 568 dai longobardi, e ai territori spagnoli, variamente attaccati dagli arabi. Nel secolo VII l’impero dovette assistere anche alla formazione, nei suoi stessi confini, di due potenti stati nemici: il regno bulgaro nei Balcani e il califfato arabo in Asia e in Africa, potente istituzione islamica che vanificò i brillanti successi ottenuti dall’imperatore Eraclio (610-41) contro i persiani. Nel 638 lo stesso Eraclio emanò una disposizione per imporre una nuova formula di fede: il monotelismo, in cui si affermava l’esistenza in Cristo di due nature mosse però da una sola volontà. Fu un compromesso che, seppur presto abbandonato, aggravò i rapporti con la chiesa d’Occidente senza riuscire a restaurare l’unità in quella d’Oriente. L’espansione araba ne fu inizialmente facilitata, sicché fin dai primi decenni del secolo VIII poté costituire un impero – esteso dalla Siria alla Catalogna, lungo l’arco meridionale del Mediterraneo – che per dimensioni e struttura, fu pari a Bisanzio, a cui costantemente contese il dominio dei mari senza però rinunciare a instaurare solidi rapporti commerciali e culturali. Ai bulgari, invece, sovrappostisi agli slavi nella regione tra il Danubio e i Balcani, Bisanzio fu costretta a concedere il diritto di sovranità, formalmente sancito nel 681. Nel secolo di Eraclio nei territori imperiali si avviò un cambiamento destinato a mutare sensibilmente l’economia e lo stile di vita degli abitanti: una progressiva decadenza delle città insieme a una graduale ruralizzazione dell’impero che, iniziata già nel secolo precedente, continuò a espandersi favorendo l’estensione dei terreni coltivati e una notevole diffusione di piccole imprese agricole a conduzione familiare. Cellula di questo sistema agrario fu il choríon, comunità di villaggio, strutturato in modo da contenere dimore di contadini con orti e piccole proprietà individuali e circondato da beni indivisi (boschi, zone a pascolo) e qualificabile fiscalmente come un’unità contributiva compatta, nel senso che gli abitanti erano responsabili individualmente e collettivamente degli oneri fiscali.

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3. L’apogeo dell’impero

Alla fine del secolo VII, sotto i successori di Eraclio, l’impero era ridotto a circa un terzo del suo territorio originario. In questi nuovi e più stretti confini Bisanzio si mostrò tuttavia in grado, attraverso un complesso processo di trasformazione istituzionale, di creare un modello statuale efficiente, premessa per una nuova fase di espansione tra i secoli IX e XI. Tale riordinamento prevedeva la suddivisione delle province dell’impero in circoscrizioni politico-amministrative (thémata), a cui era preposto un ufficiale incaricato al tempo stesso di funzioni militari e civili. Ogni provincia, o “tema”, risultò così dotata di un apparato burocratico e di un sistema di difesa proprio, fondato su un esercito di soldati-contadini (stratióti) reclutati su base regionale. Alla costituzione tematica si giunse gradualmente nel corso di circa tre secoli sino a che tale sistema si estese (tra i secoli IX e X) all’intera geografia amministrativa dell’impero. Esauritosi l’ideale giustinianeo di un impero universale, il cristianesimo divenne ancora terreno di aspri scontri dottrinali. Questa volta la disputa riguardò il culto delle immagini, considerato pericoloso per l’ortodossia e quindi perseguibile (iconoclastia). Già con Leone III Isaurico nel 726 furono emanate le prime condanne a morte e all’esilio. Ciò suscitò fin dall’inizio la dura opposizione dei monaci, tradizionalmente depositari del culto delle icone. Le immagini sacre furono distrutte e a esse vennero sostituite quelle imperiali. Dopo una breve parentesi durante la reggenza di Irene, che condannò l’iconoclastia nel 786-87, la lotta iconoclasta riprese per placarsi definitivamente nell’843, quando il culto delle icone fu definitivamente restaurato con una solenne cerimonia celebrata nella chiesa di Santa Sofia a Bisanzio. A seguito dell’intensità del dibattito la cultura teologica e profana ne uscì rafforzata. Con l’imperatore Michele III (842-67) la corte di Bisanzio per splendore e prestigio poteva rivaleggiare con quella di Baghdad, capitale del califfato arabo che, con l’avvento della dinastia abbaside, era divenuta il centro culturale più florido d’Oriente. Con la rinascenza culturale si preparava per Bisanzio anche un periodo di splendore politico che raggiunse l’apice sotto la dinastia macedone (867-1056) quando l’impero riprese il suo ruolo di grande potenza mediterranea. Dal punto di vista militare, tutti i sovrani di questa dinastia furono impegnati sia sul fronte arabo sia sul fronte balcanico: il dominio arabo fu ridimensionato dalla riconquista di Edessa da parte di Romano I Lecapeno e di Creta a opera di Niceforo II Foca; Giovanni I Zimisce condusse le sue truppe oltre l’Eufrate, mentre Basilio II, nel corso di una guerra trentennale (968-1014), distrusse il regno bulgaro, divenuto potentissimo sotto gli zar Simeone e Samuele. In questi anni venne anche completata la cristianizzazione di slavi e bulgari, estesa fino ai territori russi del principato di Kiev, grazie all’opera missionaria intrapresa dal patriarcato orientale. Massimi artefici dell’evangelizzazione furono Cirillo e Metodio, inventori tra l’altro di quell’alfabeto cirillico tuttora usato presso le popolazioni slave. Neanche l’Italia fu trascurata: nel secolo IX diverse spedizioni militari restituirono al controllo bizantino l’Italia meridionale, le cui regioni, esclusa la Sicilia occupata dagli arabi, furono riorganizzate nei temi di Langobardia (Puglia) e di Calabria. Dai tempi di Giustiniano, l’impero bizantino non aveva più conosciuto una tale estensione: alla morte di Basilio II (1025) i suoi confini andavano dal Danubio alla Siria e dall’Armenia all’Italia. Ridivenuta per l’ultima volta arbitro degli affari internazionali e consapevole del proprio prestigio politico-culturale, Bisanzio rivendicò nuovamente il suo ruolo di impero universale. È alla luce di questi avvenimenti che può comprendersi l’insanabile frattura fra le chiese d’Oriente e d’Occidente culminata nello scisma del 1054. Sorto intorno alla questione del primato papale e complicato dalla lotta fra Roma e Bisanzio per il controllo dell’Italia meridionale, lo scisma rappresentò l’esito di un lungo processo di allontanamento fra le due chiese completando una rottura politica in atto fin dai tempi di Carlo Magno.

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4. L’impero fra le crociate e l’avanzata turca

Nel corso dei secoli seguenti le aspirazioni universalistiche dell’impero orientale furono gradualmente deluse. L’impero bizantino, soprattutto in seguito alle crociate, si vide sempre più costretto a una dimensione regionale: impero “greco” e non più “romano”. In Oriente le tribù turche dei selgiuchidi, sostituitesi al califfato, ridiedero forza alla spinta espansionistica islamica rivolgendola, dopo lenti progressi in Persia e in Mesopotamia, anche contro l’Armenia. Ciò avvenne proprio mentre in Occidente una popolazione di origine nordica minacciava i domini bizantini dell’Italia meridionale: nel 1071 mentre i turchi infliggevano a Mantzikert una clamorosa sconfitta ai bizantini, i normanni si impadronirono di Bari. Non meno dannose si rivelarono per l’impero le repubbliche marinare italiane: grazie ai privilegi ottenuti da Bisanzio in cambio di aiuto militare, Venezia più di ogni altra, ma anche Pisa e Genova, fondarono in Oriente prospere colonie mercantili tendenzialmente indipendenti dall’autorità bizantina. Malgrado lo sforzo grandioso di Manuele I Comneno (1143-80) di attaccare l’Occidente nei suoi stessi territori conducendo per l’ultima volta le armate greche in Italia, i latini durante la quarta crociata conquistarono la capitale dell’impero bizantino (1204), dando vita a un impero latino d’Oriente e spartendosi i restanti territori secondo le consuetudini feudali dell’Occidente: nacquero così il ducato di Atene e di Tebe, il principato di Acaia e il reame di Tessalonica. Sul piano interno l’avvento dei Comneni segnò la vittoria della grande aristocrazia militare su base fondiaria. Contrariamente a quanto avveniva in Occidente, dove l’emergere di forze borghesi e mercantili imprimeva dinamismo all’economia, la società bizantina sembrò ripiegare su un conservatorismo aristocratico che si rivelò dannoso per gli sviluppi politici successivi. A ciò si unì la frantumazione dell’organizzazione tematica e la nascita di una gerarchia burocratica non più selezionata dal potere centrale ma basata sui legami familiari. La prosperità economica dell’Oriente, tanto ambita dai latini, si ridistribuì in seguito al ricorso sempre più frequente alle truppe straniere. Questa perdita di iniziativa economica e militare da parte dei bizantini, unitamente a una fortissima svalutazione monetaria, determinarono un’irrimediabile recessione economica da cui l’impero non riuscì a venir fuori. Il processo di disgregazione dell’autorità centrale, già iniziato con i Comneni e continuato con i Lascaridi, arrivò a totale compimento sotto i Paleologi. La concessione di terre in beneficio (prónoia) divenne generalizzata ed ereditaria, segnando la vittoria definitiva dell’aristocrazia fondiaria e la dissoluzione di quel sistema amministrativo che per secoli aveva costituito la struttura portante dell’impero bizantino. L’economia ne uscì ulteriormente indebolita, anche per l’impossibilità di sostenere le ingenti spese militari dovute al mantenimento di un esercito costituito esclusivamente da mercenari, mentre genovesi e veneziani divennero gli unici proprietari delle risorse provenienti dal commercio internazionale. Anche dal punto di vista territoriale, la riduzione dei possedimenti divenne inarrestabile. Quando nel 1261 i bizantini riconquistarono la capitale, l’autorità imperiale si estendeva soltanto su una ristretta area geografica comprendente alcune penisole e isole dell’Egeo. Tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo i turchi ottomani occuparono l’Asia Minore, la Tracia, la Macedonia e la penisola balcanica. Il declino da lungo tempo avviato si concluse nel 1453: di fronte a un Occidente invano sollecitato a intervenire – da ultimo durante il Concilio di Firenze del 1439, estremo tentativo di riconciliazione tra le due chiese – la città di Costantinopoli cadde sotto le armate di Maometto II. [Adele Cilento]

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100. TABELLA: Imperatori d’Oriente (395-1453)

Dinastia Teodosiana
Arcadio 395-408
Teodosio II 408-450
Marciano 450-457
Dinastia Trace
Leone I il Grande 457-474
Leone II 474
Zenone 474-491
Basilisco, usurpatore 476
Anastasio I 491-518
Dinastia Giustiniana o seconda dinastia Trace
Giustino I 518-527
Giustiniano I 527-565
Giustino II 565-578
Tiberio II 578-582
Maurizio 582-602
Foca, usurpatore 602-610
Dinastia Eraclide
Eraclio 610-641
Costantino II ed Eracleone,
figli di Eraclio 641
Costantino III detto anche Costante II 641-668
Costantino IV Pogonate 668-685
Giustiniano II Rinotmetos 685-711
Leonzio, usurpatore 695-698
Tiberio III Apsimar, usurpatore 698-705
Filippico Bardane, usurpatore 711-713
Anastasio II Artemisio 713-716
Teodosio III, usurpatore 716-717
Dinastia Isaurica
Leone III Isaurico 717-741
Costantino V Copronimo o Caballino 741-775
Leone IV il Cazaro 775-780
Costantino VI e la madre Irene 780-797
Irene 797-802
Niceforo I, usurpatore 802-811
Staurace 811
Michele I Rangabe, usurpatore 811-813
Leone V l’Armeno 813-820
Dinastia Frigia
Michele II il Balbo 820-829
Teofilo 829-842
Michele III 1’Ubbriaco 842-867
Dinastia Armeno-Macedone
Basilio I Macedone 867-886
Leone VI il Filosofo 886-912
Costantino Porfirogenito 912-959
Romano I Lecapeno, usurpatore 919-944
Romano II 959-963
Niceforo II Foca, usurpatore 963-969
Giovanni I Zimisce, usurpatore 969-976
Basilio II Bulgaroctono 976-1025
Costantino VIII già coreggente 1025-1028
Zoe imperatrice 1028-1050
associa al potere:
– Romano III Argiros 1028-1034
– Michele IV il Paflagone 1034-1041
– Michele V Calafate 1041-1042
– Costantino IX Monomaco 1042-1055
Teodora 1055-1056
Michele VI Stratiotico 1051-1057
Isacco I Comneno 1057-1059
Costantino X Ducas 1059-1067
Eudosia con i figli Michele VII Parapinace,
Andronico, Costantino Ducas 1067-1068
Romano IV Diogene 1068-1071
Michele VII 1071-1078
Niceforo III Botoniate 1078-1081
Dinastia dei Comneni
Alessio I Comneno 1081-1118
Giovanni II 1118-1143
Manuele I 1143-1180
Alessio II 1180-1183
Andronico I 1183-1185
Dinastia degli Angeli
Isacco II Angelo 1185-1195
Alessio III Angelo 1195-1203
Isacco II e Alessio IV 1203-1204
Alessio Murzuflo, anti-imperatore 1204
Imperatori latini di Costantinopoli
Baldovino I, conte di Fiandra 1204-1205
Enrico di Fiandra 1205-1216
Pietro di Courtenay e Iolanda di Fiandra 1216-1219
Roberto di Courters 1221-1228
Baldovino II 1228-1261
(dal 1229 al 1237 con Giovanni di Brienne, già re di Gerusalemme)
Imperatori di Nicea
Teodoro I Lascaris 1204-1222
Giovanni III Vatatze 1222-1254
Teodoro II Lascaris 1254-1258
Giovanni IV Lascaris 1258-1261
Dinastia dei Paleologi
Michele VIII 1261-82
Andronico II 1282-1328
Andronico III 1328-41
Giovanni V 1341-91
Manuele II 1391-1425
Giovanni VIII 1425-48
Costantino XI 1449-53

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