Lo scontro tra l'Impero bizantino e l'Impero persiano sasanide

bizantino, impero Controversie religiose e difesa dei territori

Nel secolo V si aprì per Bisanzio un periodo molto travagliato sotto il profilo religioso e sociale. Le controversie religiose nell’impero bizantino non potrebbero fino in fondo comprendersi senza considerare il loro ruolo più intrinseco di manifestazioni di disagio sociale e di dissidenza politica soprattutto in aree periferiche ma fertili culturalmente ed economicamente come la Siria e l’Egitto. Così le dispute dottrinarie sui dogmi della fede cristiana, dapprima di carattere trinitario, spostatesi ben presto sul rapporto tra la divinità e l’umanità in Cristo, si trasformarono nel secolo V in aperto dissidio tra le scuole teologiche di Alessandria e di Antiochia, l’una attenta a sottolineare nel Cristo soprattutto la divinità, l’altra una dualità di nature, congiunte tuttavia in un’unica persona. In seguito al concilio di Efeso, indetto nel 431 dall’imperatore Teodosio II, gli alessandrini ebbero il sopravvento sugli antiocheni – detti nestoriani dal vescovo Nestorio che li guidava – che furono condannati e perseguitati. Più tardi, nel concilio di Calcedonia (451), un’altra dottrina teologica, il monofisismo, che tendeva a privilegiare la dimensione divina del Cristo così da attribuirgli una sola natura, fu condannata a favore di una soluzione (detta diofisita e tuttora riconosciuta come ortodossa nella cristianità intera) che affermava in Cristo due nature, umana e divina, inseparabili e inconfuse, ma formanti una sola persona. Nel secolo V l’impero bizantino dovette misurarsi con la prospettiva di perdere il proprio potere sui territori occidentali dove si stavano formando autonomi regni romano-germanici. Nei confronti dei germani si scontrarono a Bisanzio due opposte posizioni politiche: l’una realista, volta a concentrare gli sforzi sull’organizzazione e la difesa della parte orientale dell’impero, quella cioè propriamente bizantina; l’altra idealista, che aspirava all’universalità e alla riunificazione della cristianità e dell’Occidente sotto un unico imperium. Questa seconda tendenza predominò nel corso del secolo VI con l’imperatore Giustiniano (527-65), sotto il cui regno l’impero bizantino raggiunse la massima espansione territoriale. Grazie alle vittoriose campagne condotte dai suoi generali, che sottrassero l’Africa ai vandali (534), l’Italia agli ostrogoti (553) e il sud della Spagna ai visigoti (554), Giustiniano ricostituì su tali aree l’amministrazione provinciale romana rendendo reale il sogno della renovatio imperii, una renovatio in cui le vittorie politico-territoriali dovevano configurarsi al contempo come vittorie dell’ortodossia religiosa. Con Giustiniano l’impero bizantino non fu soltanto l’erede di Roma, fu l’impero romano stesso vivente nella grandezza cristiana: lo splendore dei monumenti e l’irradiamento della cultura ne furono testimonianza, il prestigio militare la prova. Un impero che però gravitava ormai tutto intorno a Costantinopoli: l’Italia, ridotta a semplice provincia e privata degli antichi privilegi, perse infatti per sempre il suo ruolo di centralità e di riferimento ideologico. L’allontanamento tra romanità e grecità si realizzò compiutamente proprio con Giustiniano, definito a buon diritto “l’ultimo imperatore romano sul trono di Bisanzio” (Ostrogorsky). Della sua opera restauratrice rimase tuttavia ben poco – ad eccezione del settore giuridico, dove la volontà riformatrice dell’imperatore si manifestò nella compilazione del Corpus iuris civilis – a seguito degli sconvolgimenti radicali che nel secolo VII turbarono il tradizionale assetto mediterraneo. Un insieme di fattori concorsero a sgretolare rapidamente l’opera di Giustiniano: la gravissima situazione finanziaria ed economica, l’allentamento della disciplina militare e la comparsa sui confini di nuove dirompenti forze fra cui i longobardi in Italia e gli arabi in Oriente. I successori di Giustiniano, pur mantenendo l’integrità territoriale dell’impero, dovettero così rinunciare a gran parte dell’Italia, invasa sin dal 568 dai longobardi, e ai territori spagnoli, variamente attaccati dagli arabi. Nel secolo VII l’impero dovette assistere anche alla formazione, nei suoi stessi confini, di due potenti stati nemici: il regno bulgaro nei Balcani e il califfato arabo in Asia e in Africa, potente istituzione islamica che vanificò i brillanti successi ottenuti dall’imperatore Eraclio (610-41) contro i persiani. Nel 638 lo stesso Eraclio emanò una disposizione per imporre una nuova formula di fede: il monotelismo, in cui si affermava l’esistenza in Cristo di due nature mosse però da una sola volontà. Fu un compromesso che, seppur presto abbandonato, aggravò i rapporti con la chiesa d’Occidente senza riuscire a restaurare l’unità in quella d’Oriente. L’espansione araba ne fu inizialmente facilitata, sicché fin dai primi decenni del secolo VIII poté costituire un impero – esteso dalla Siria alla Catalogna, lungo l’arco meridionale del Mediterraneo – che per dimensioni e struttura, fu pari a Bisanzio, a cui costantemente contese il dominio dei mari senza però rinunciare a instaurare solidi rapporti commerciali e culturali. Ai bulgari, invece, sovrappostisi agli slavi nella regione tra il Danubio e i Balcani, Bisanzio fu costretta a concedere il diritto di sovranità, formalmente sancito nel 681. Nel secolo di Eraclio nei territori imperiali si avviò un cambiamento destinato a mutare sensibilmente l’economia e lo stile di vita degli abitanti: una progressiva decadenza delle città insieme a una graduale ruralizzazione dell’impero che, iniziata già nel secolo precedente, continuò a espandersi favorendo l’estensione dei terreni coltivati e una notevole diffusione di piccole imprese agricole a conduzione familiare. Cellula di questo sistema agrario fu il choríon, comunità di villaggio, strutturato in modo da contenere dimore di contadini con orti e piccole proprietà individuali e circondato da beni indivisi (boschi, zone a pascolo) e qualificabile fiscalmente come un’unità contributiva compatta, nel senso che gli abitanti erano responsabili individualmente e collettivamente degli oneri fiscali.