metodologia della ricerca storica

Indica l’insieme della riflessione, compiuta dai filosofi e dagli epistemologi, ma in primo luogo dagli storici stessi, sulle condizioni di validità che si devono rispettare affinché la ricostruzione di aspetti e momenti del passato possa distinguere il vero dal falso, quanto è realmente accaduto dall’invenzione e dalla favola. Attraverso l’elaborazione di un metodo la storiografia ha via via ridefinito il proprio status: da una parte ha sottolineato il proprio carattere di disciplina che accerta una conoscenza effettiva, dall’altra ha sottolineato la specificità dei risultati conseguiti, che non sono quindi assimilabili semplicemente a quelli delle scienze della natura nel senso classico. La riflessione metodologica è stata sempre strettamente collegata alla prassi della ricerca. Essa affronta e cerca di risolvere i problemi che emergono in quelle che uno dei più influenti storici tedeschi dell’Ottocento, Johann Gustav Droysen (Istorica, pubblicata postuma nel 1937), ha indicato come le tre fasi del lavoro storico: la ricerca del materiale documentario, la critica e l’interpretazione dei documenti così individuati, l’esposizione dei risultati della ricerca in una sintesi narrativa o comunque di carattere argomentativo. Le forme in cui la riflessione metodologica si è espressa sono state estremamente diverse, rispondendo a sollecitazioni e dubbi mutevoli legati all’evolversi sia della situazione politica (e dei vincoli che ne derivano) nella quale si muovono gli storici sia del clima intellettuale e religioso in cui si collocano le opere di storia. Il passaggio dalla memoria del passato, affidata esclusivamente alla trasmissione orale, alla sua registrazione scritta fu difficile e complesso; su questo sfondo Erodoto e Tucidide sentirono acutamente la necessità di distinguere le proprie storie dalle favole dei poeti in nome dell’aderenza alla realtà dei fatti e dai resoconti di parte in nome dell’imparzialità. Mentre per Erodoto questo impegno comportava un’ampia raccolta di informazioni geografiche ed etnografiche e attenzione alla dimensione eroica degli avvenimenti, Tucidide teorizzò la riduzione del racconto storico all’esposizione di quanto è essenziale della vita umana, per tramandare ai posteri ciò che è utile del passato, in primo luogo la conoscenza della vita politica e militare. Nella storiografia dell’età classica dominarono le preoccupazioni legate alla veridicità delle testimonianze tramandate e alla purezza d’intenzione degli storici precedenti, senza che si sviluppassero regole condivise dagli storici per analizzare i resti del passato. L’accento sul carattere retorico della storiografia e la preoccupazione che la storia fosse magistra vitae fecero sì che Sallustio, Livio e Tacito affidassero ai discorsi fittizi dei grandi uomini politici una significativa funzione esplicativa degli avvenimenti e dei processi di lungo periodo. La riflessione metodologica assunse una fisionomia autonoma quando anche la concezione della storia, a partire dall’Umanesimo, si allargò sensibilmente oltre i limiti della vicenda politica e perse in linea di principio il riferimento ad agenti sovrannaturali come elementi causali che incidono nel corso delle vicende. Gli storici affrontarono al contempo in modo più sistematico l’analisi dei documenti del passato che la ricerca erudita recuperava e ristabiliva nella loro lettera originale. All’uso esclusivo della storiografia precedente si affiancò lo studio dei documenti, delle tracce involontarie lasciate dagli uomini del passato. Mentre nell’età medievale i problemi di metodo storico erano stati sostanzialmente ignorati perché considerati alla luce della storia sacra e della Bibbia, gli storici dell’Umanesimo applicarono alla ricerca storica i metodi della filologia classica, fornendo un contributo essenziale al procedere della metodologia. La De falso credita et emendita Constantini donatione declamatio di Lorenzo Valla (1440), con la quale si dimostrava che il documento attribuito a Costantino come base delle pretese temporali della chiesa di Roma era un falso, fu un esempio fondamentale di verifica dell’autenticità di un documento. Il concetto di anacronismo divenne un elemento decisivo della metodologia della storia. La critica delle fonti rappresentò un passo importante nello sviluppo di una tecnica della ricerca storica. Tra il XVI e il XVIII secolo l’erudizione storica affinò gli strumenti per accertare soprattutto quanto del patrimonio di testi e conoscenze tramandato dalla tradizione ecclesiastica reggesse al vaglio della critica testuale. I protestanti e, a breve distanza di tempo, i cattolici iniziarono a rivedere i documenti a sostegno della propria e dell’altrui tradizione per espungere, a fini inizialmente controversistici, tutti quei dati che non potevano reggere all’analisi filologica. Come strumenti dello storico assunsero pertanto un rilievo sconosciuto al passato sia la cronologia sia la geografia che Bodin, nella sua Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566), definì gli occhi della storia. Nella Ars historica (1623) l’olandese Gerard Voss rivendicò alla conoscenza storica un’autonomia e una specificità che la rendeva indipendente dalle forme tradizionali e preponderanti della grammatica, della retorica e della dialettica. In questo rinnovamento dell’approccio allo studio del passato e delle basi documentarie della storiografia spiccano nel Seicento le opere degli eruditi appartenenti agli ordini religiosi dei gesuiti e dei benedettini della congregazione di Saint Maur (maurini, padri), che avviarono, rispettivamente, una revisione radicale e sistematica delle vite dei santi (Acta sanctorum) per liberarle dalle pie menzogne e l’edizione di documenti medievali. Il più significativo degli eruditi maurini, Jean Mabillon, scrisse il De re diplomatica (1681), fondamentale opera di paleografia che stabilì criteri affidabili per la critica interna ed esterna delle fonti. La critica delle fonti non si fermò davanti alla Bibbia. Di essa furono dapprima studiate, con strumenti filologici e storici, la genesi e la struttura linguistica, mettendo radicalmente in dubbio la tesi di una sua genesi unitaria. Si negò poi che l’impianto di cronologia universale basato sulla creazione del mondo nel 4004 a.C. fosse compatibile con altre fonti relative alla storia dei primi tempi dell’uomo, soprattutto di origine extraeuropea. Con l’Illuminismo proseguì la riflessione sistematica sulle regole della critica storica, ma soprattutto si inclusero nell’ambito della ricerca storica, che si sforzava di essere anche filosofica, aree della vita umana sino ad allora escluse dai racconti storici: dai costumi sociali ai sistemi di sussistenza, dal commercio alle conoscenze scientifiche. Identificare il progresso nelle forme di cultura umana comportava selezionare nuove fonti per la storia, da integrare nella narrazione – quanto più ricca possibile – del tema da trattare: l’opera storiografica più significativa dell’Illuminismo, la Storia della decadenza e caduta dell’impero romano (1776-88) di Edward Gibbon, è stata opportunamente caratterizzata come un riuscito equilibrio tra erudizione e storia filosofica. Spesso in polemica con la storiografia illuminista si affermò nel corso dell’Ottocento una rinnovata coscienza metodologica, più rigorosa non solo nella critica delle fonti perché sostenuta dai notevoli progressi della filologia e delle cosiddette scienze ausiliarie (ad esempio: sfragistica, paleografia, diplomatica, numismatica), ma anche nella riflessione sulle responsabilità etiche e politiche e sulle competenze degli storici, suscitata dalla posizione eminente assunta dalla conoscenza storica nella cultura di ispirazione idealista. Si spiegano così i numerosi trattati dedicati interamente alla metodologia della ricerca storica, sia nei suoi aspetti di critica e selezione delle fonti sia per quanto riguarda la creazione della sintesi interpretativa che doveva coronare l’opera di ricerca. La cultura storica tedesca assunse una posizione di guida teorica per tutto il secolo: intorno al principio di Ranke, secondo il quale scopo della storia è stabilire la nuda realtà dell’avvenimento, si mosse un ampio settore della ricerca storica europea attenta alla dimensione teorica. Tra gli scritti di metodologia, assai numerosi per tutto il secolo, spiccano e sono tuttora non prive di efficacia la già citata Istorica di Droysen e l’Introduzione agli studi storici (1898) di Charles Seignobos e Charles-Victor Langlois, che propagò la metodologia storica tedesca nei paesi di cultura francese. Le Lezioni di metodo storico di Federico Chabod (prima edizione postuma nel 1969) sono l’espressione estrema di questo filone. Nel Novecento i progressi della metodologia della ricerca storica sono stati indubbiamente notevoli, perché fondati in primo luogo sull’assorbimento nella pratica della comunità scientifica dei criteri di rigore nella critica delle fonti proposti nei secoli passati e integrati dall’utilizzo di procedimenti elaborati originariamente dalle scienze della natura, in secondo luogo sull’allargamento sensibilissimo del campo della documentazione: la distinzione ottocentesca tra tipi diversi di fonti è stata superata nel concetto che ogni traccia, volontaria o involontaria, umana o naturale, di realtà fisiche, mentali, linguistiche, comportamentali del passato costituisce una fonte utile allo storico, per la quale esiste una specifica metodologia di trattamento e valutazione sia quantitativa sia qualitativa. L’apporto metodologico della scuola delle “Annales” è stato decisivo in questo senso. Ma di fronte al moltiplicarsi delle fonti e alla specializzazione delle discipline di tipo storico si è verificato a più riprese, ma con forza solo negli ultimi decenni, un fenomeno di svalutazione radicale del contenuto di verità della ricostruzione storica, non perché basata su documenti falsi ma in quanto tale, perché ritenuta essenzialmente opera retorica ed espressione di una qualche forma di “immaginazione storica”, come nel caso di Metastoria (1973) di Hayden White. Da questo approccio, in una prospettiva metodologica del tutto alternativa alla tradizione fondata sulla certezza di una “verità” storica conoscibile attraverso l’analisi dei documenti, emergono le storiografie orientate alla differenza sessuale e al riscatto della specificità etnica, sociale e religiosa. [Edoardo Tortarolo]