Inquisizione

Istituzione fondata nel medioevo per ricercare e giudicare gli eretici al fine di convertirli o, se persistenti nell’errore, punirli. Storicamente, l’Inquisizione ebbe origine tra il 1231 e il 1235, quando papa Gregorio IX, allo scopo di combattere i dilaganti fenomeni di eresia (in particolar modo quella dei catari e dei valdesi) istituì, in varie aree europee, i tribunali dell’Inquisizione, presieduti dall’Inquisitor, giudice straordinario, dapprima solo e poi affiancato da un collaboratore. Mentre il vescovo esercitava la propria giurisdizione soltanto nei limiti della diocesi, l’inquisitore aveva invece giurisdizione universale, relativamente alle persone, pur nei limiti stabiliti dalla delega papale. Seppure nessun testo ufficiale regolasse la procedura inquisitoria, e dunque vi fossero diversità talora notevoli nelle modalità di svolgimento dei processi, a seconda delle epoche e dei luoghi, generalmente l’inquisitore, aiutato da un vicario, era affiancato dal vescovo (o da un suo delegato) e da un consiglio composto da chierici, commissari, notai, giuristi, affinché si escludessero errori e arbitri procedurali. Gli accusati di eresia venivano interrogati dall’inquisitore e, se confessavano la propria colpevolezza, subivano la condanna a pene mortificanti più o meno gravi (penitenze pubbliche, obbligo di indossare abiti recanti vistosi contrassegni, ecc.). Solitamente, gli eretici recidivi e impenitenti erano condannati al rogo, mentre i pentiti venivano dapprima uccisi, e in seguito i loro corpi venivano bruciati. Le condanne a morte erano sempre eseguite dal braccio secolare, ossia dal potere laico, al quale i colpevoli venivano affidati. Le sentenze venivano lette durante una cerimonia pubblica conosciuta col termine autodafé. Quando gli inquisiti negavano la propria colpevolezza, si ricorreva all’uso della tortura (autorizzata da papa Innocenzo IV nel 1252 e confermata in seguito da Alessandro IV e da Clemente IV). A partire dal XIV secolo, al tempo di papa Giovanni XXII (1316-34), per circa due secoli, l’Inquisizione perseguì anche coloro che erano sospettati di praticare atti di stregoneria, assimilando eretici e cultori di Satana e dando così luogo al fenomeno della “caccia alle streghe”. A eccezione dell’Inghilterra, dove i tribunali dell’Inquisizione vennero istituiti solo in occasione del processo contro i Templari e poi, successivamente, durante il regno di Maria la Cattolica, l’Inquisizione venne stabilita in quasi tutti i paesi europei. Un carattere particolare assunse l’Inquisizione in Spagna dove nel corso del XV secolo si ebbe una forte ondata di processi inquisitori, condotti con zelo fanatico contro i moriscos (musulmani) e i marranos (ebrei), accusati di praticare segretamente il loro culto originario, nonostante l’apparente conversione al cristianesimo. L’azione dell’Inquisizione spagnola, che fu abolita nel 1834, portò a tali eccessi che la stessa Santa Sede dovette intervenire contro i frequenti abusi procedurali. Va ricordato, in proposito, il celebre inquisitore Torquemada (1420-98), tristemente noto per i mezzi di tortura a cui fece ricorso e l’elevatissimo numero di condanne a morte da lui pronunciate. Dalla Spagna e dal Portogallo l’Inquisizione si trasferì poi alle nuove terre d’America, determinando spietate persecuzioni tra gli indios, particolarmente in Messico e in Perú. Nell’età della Controriforma, Paolo III con la bolla Licet ab initio del 1542, istituì a Roma una commissione centrale di inquisitori con giurisdizione su tutti i paesi cattolici. L’Inquisizione prese così nuovo vigore nella lotta contro i fautori della Riforma protestante. In quel periodo i noti processi ai filosofi Tommaso Campanella (sottoposto a terribili torture e condannato a ventisette anni di carcere), a Giordano Bruno (condannato al rogo) e a Galileo Galilei (costretto all’abiura) furono testimonianze esemplari dei metodi inquisitori, nonché dell’uso spietato dei sistemi di costrizione e di tortura finalizzati all’estorsione delle confessioni. Nel corso del XVII secolo, durante i pontificati di Paolo V (1605-1621) e poi di Urbano VIII (1623-44), l’azione dell’Inquisizione divenne gradualmente più mite, concentrandosi prevalentemente sulla sorveglianza dell’integrità della fede e sulla censura delle opere indicate nell’Indice dei libri proibiti. Nel corso del Settecento e dell’Ottocento l’Inquisizione continuò a sopravvivere, divenendo tuttavia sempre più bersaglio degli attacchi di quanti rivendicavano gli ideali della libertà di fede e della tolleranza religiosa. Le sue sentenze, a poco a poco, non furono più rese esecutive dai vari stati; in Italia, il processo di unificazione determinò una perdita definitiva d’importanza dell’Inquisizione, che si ridusse pertanto a un’azione di controllo dell’ortodossia, finalizzata alla tutela dell’ordine e della moralità dei costumi nell’ambito della chiesa. Il Concilio Vaticano II (1962-65), con la contrapposizione tra l’errore (che deve essere corretto mediante l’uso della fede, unitamente alla forza della dialettica) e l’errante (a cui ci si deve rivolgere con carità cristiana) ha determinato un superamento definitivo di tale istituzione, trasferendola nella Congregazione per la dottrina della fede, con funzione di tutela delle dottrine religiose e della moralità all’interno della chiesa cattolica.