fenici

  1. Cronologia e caratteri della civiltà fenicia
  2. Le fonti della civiltà fenicia
  3. Le principali tappe e le istituzioni della storia fenicia
  4. Le esplorazioni e l’espansione coloniale
1. Cronologia e caratteri della civiltà fenicia

I fenici furono una popolazione di lingua semitica il cui nome deriva dal termine greco phoinix, con il quale si indicava il color porpora usato per tingere i tessuti, una delle più note produzioni fenicie. Essi si designavano invece come cananei (e il loro paese era detto “terra di Canaan”) o sidonii, dal nome di Sidone, una delle loro principali città. Già durante l’età del bronzo i fenici si stanziarono in alcuni centri della regione costiera corrispondente all’attuale Libano, ma solo a partire dall’inizio dell’età del ferro essi raggiunsero una certa unità sul piano linguistico-culturale, esprimendo una civiltà originale sulla quale disponiamo di maggior documentazione. Pur riconoscendo quindi che città come Biblo e Ugarit, sulle quali abbiamo notizie dalle fonti egiziane e mesopotamiche a partire dalla fine del III millennio a.C., ebbero una certa importanza fin da quella fase, l’ambito cronologico entro cui si inserisce la storia propriamente fenicia è tradizionalmente collocato fra il 1200 a.C. e la conquista macedone (la città di Tiro, l’ultima a venir espugnata, cadde nel 332 a.C.). Nel primo caso la data è da mettere in relazione con alcuni eventi esterni che provocarono una ridefinizione dell’assetto politico-economico di tutto il Mediterraneo orientale: il passaggio dei popoli del mare, il declino delle potenze che avevano precedentemente esercitato l’egemonia in quell’area (in primo luogo l’Egitto) e il crollo di Micene come grande centro marittimo consentirono la nascita o lo sviluppo delle città fenicie, divenute temporaneamente indipendenti sul piano politico e in grado di sviluppare tutte le loro potenzialità in campo mercantile. Per quanto concerne la data del 332 a.C. – che coincide con la conquista di Alessandro Magno – essa viene messa in relazione non tanto con la perdita di un’autonomia politica già precedentemente venuta meno, quanto con la decadenza della specificità culturale della civiltà fenicia e con l’abbandono della stessa lingua, che fu progressivamente sostituita dal greco (le ultime iscrizioni in lingua fenicia risalirebbero alla fine del II secolo a.C.). Quella dei fenici fu una civiltà legata al carattere fondamentale della loro economia, il commercio. Essi seppero infatti sfruttare le risorse locali, costituite soprattutto da legnami pregiati (cedri, pini e cipressi) e la favorevole posizione geografica per intraprendere una florida attività mercantile, imperniata dapprima sulla vendita del legname da costruzione (in primo luogo all’Egitto), poi sul commercio dei metalli preziosi (oro, argento, stagno) e di prodotti di lusso in tutto il Mediterraneo. All’interno delle città ebbe modo di svilupparsi a sua volta un fiorente artigianato, specializzato nel campo della metallurgia e della lavorazione del vetro (di cui i fenici, se non furono gli inventori, furono certamente fra i più raffinati artisti) e dei tessuti (tipico era il loro procedimento di tintura delle stoffe nella porpora ottenuta dai murici). La funzione di raccordo che essi svolsero fra i grandi imperi asiatici e il mondo mediterraneo fu essenziale, e in questo contesto assunse particolare rilevanza l’elaborazione di un sistema di scrittura alfabetico più semplice di quello geroglifico egiziano e di quello cuneiforme mesopotamico, che si diffuse poi rapidamente in tutto l’Occidente mediterraneo. Legata al mondo mesopotamico ed egiziano era infine la religione che i fenici espressero. Pur con alcune varianti connesse alle diverse realtà locali, il pantheon fenicio era costituito da una molteplicità di divinità, le più importanti delle quali erano in ogni città una coppia formata da una divinità maschile (baal) e da una femminile (baalat), protettrice del sovrano e della dinastia. Significativi soprattutto i casi di Tiro – il cui baal, chiamato Melqart, venne poi identificato dai greci con Eracle – e di Sidone, dove il baal Eshmun per i suoi tratti di guaritore venne successivamente associato ad Asclepio. Alle vicende degli dei (così come alle principali invenzioni o all’espansione nel Mediterraneo) erano poi legati miti o veri e propri cicli mitici. Il culto era amministrato da sacerdoti e si articolava in una serie di riti quali l’offerta di animali e di esseri umani e la prostituzione sacra.

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2. Le fonti della civiltà fenicia

Le fonti dirette di cui disponiamo per la ricostruzione della storia e della cultura dei fenici sono rappresentate da una serie di iscrizioni incise su pietra (più raramente su metallo o su ceramica), o da iscrizioni a inchiostro su ceramica (gli ostraca) e su papiri. Nella maggior parte dei casi si tratta però di documenti che provengono dal Mediterraneo occidentale (in particolare da Cartagine) o che si riferiscono al periodo ellenistico. Poiché inoltre il numero complessivo dei testi pervenutici è piuttosto scarso e i dati che ci vengono forniti riguardano per lo più la sfera del culto, questa documentazione non può nel complesso considerarsi esauriente per ricostruire la storia della Fenicia propriamente detta nei secoli del suo massimo sviluppo. Essenziale diventa quindi il riferimento alle fonti non fenicie, fra le quali spiccano quelle assire (le più antiche sono le iscrizioni di Tiglat-Pileser I, che ci forniscono notizie sulle città settentrionali) e quelle egiziane (in particolare il racconto di Wen-Amun, un testo dell’XI secolo utile per la ricostruzione dei rapporti politico-economici intercorsi in questo secolo fra l’Egitto e i fenici della città di Biblo). Importanti sono poi le testimonianze contenute nella Bibbia (i riferimenti sono soprattutto alla città di Tiro) e negli autori classici. L’Antico Testamento fornisce un’immagine sostanzialmente negativa del popolo e della civiltà fenicia (per la presenza di elementi religiosi – dalla necromanzia alla prostituzione sacra ai sacrifici umani – che vennero progressivamente sentiti come inconciliabili con il monoteismo ebraico). Non mancano però significative eccezioni: nelle elegie di Ezechiele, ad esempio, le città fenicie di Sidone e di Tiro vengono rappresentate in termini positivi, e in realtà l’influsso che la civiltà cananea esercitò su quella ebraica della Palestina, almeno nel X e nel IX secolo a.C., fu assai forte. Le fonti classiche a loro volta ci presentano per la prima volta i fenici nell’Odissea, descrivendoli come grandi navigatori e commercianti, non estranei ad attività piratesche. Erodoto poi ci informa sulla loro partecipazione alle guerre dei medi e sul fatto che essi introdussero il loro alfabeto in Grecia. A Plinio e ai geografi (Strabone, Eratostene e altri) si devono informazioni, anche se non sempre di prima mano, sull’ambiente naturale e storico-etnografico dei fenici e delle loro colonie. Estratti degli “Annali di Tiro” sono riportati da Giuseppe Flavio, ma vi sono riserve sulla loro attendibilità in quanto i dati contenuti non coincidono con quelli degli annali assiri.

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3. Le principali tappe e le istituzioni della storia fenicia

Fino al 1200 circa a.C. la storia della regione costiera compresa fra gli attuali stati della Siria e di Israele risentì fortemente dell’egemonia egiziana. In seguito, in quella regione, le città fenicie conobbero una fase di relativa indipendenza e di forte sviluppo economico. In assenza di uno stato unitario, che i fenici non costituirono mai, i principali centri politico-commerciali furono quelli di Arwad, Biblo, Sidone e Tiro; una certa importanza ebbero però anche, a partire da settentrione, Siannu, Usnu, Samura, Arqa, Berito, Sarepta, Ushu e Acco. Si trattava di capoluoghi di piccoli regni autonomi, per alcuni aspetti simili alle città-stato greche, caratterizzati da una forte rivalità reciproca (che talora favorì la conquista straniera) e anche da una certa debolezza sul piano politico-militare. Nel I millennio queste città furono governate da dinastie locali, i cui sovrani venivano considerati gli intermediari fra il popolo e gli dei, e proprio per questo rivestivano spesso anche la funzione di sommi sacerdoti del nume tutelare della città. Al re (che veniva indicato con il termine mlk) spettava il compito di garantire l’applicazione della giustizia (i magistrati specificamente preposti a tale funzione agivano in suo nome); era lui a guidare l’esercito, a curare i rapporti internazionali, a promuovere importanti iniziative di carattere economico-commerciale (dall’emissione di moneta all’organizzazione di grandi viaggi e esplorazioni). I poteri del sovrano non erano però assoluti. Essi risultavano limitati all’interno dai magistrati e dalle assemblee e all’esterno dalle potenze straniere. La presenza di un consiglio di anziani accanto al re è documentata da varie fonti almeno nel caso di Tiro, ma anche nelle altre città dovevano operare analoghi organismi con funzione di controllo nei confronti della monarchia. Fra i diversi magistrati (scribi, ambasciatori, sovrintendenti al funzionamento di porti o fontane) un ruolo prioritario spettava al skn, una sorta di governatore che rappresentava il sovrano nelle colonie. Nei confronti dei paesi limitrofi i sovrani fenici cercarono generalmente di intrattenere relazioni amichevoli, nell’interesse delle loro stesse attività commerciali. La Bibbia testimonia i buoni rapporti esistenti nel X secolo fra il re di Tiro Hiram I e i re d’Israele Davide e Salomone: a quest’ultimo in particolare il re di Tiro fornì artigiani per la costruzione del tempio di Gerusalemme, e con lui organizzò grandi imprese esplorative e commerciali. Nel IX secolo la principessa Iezabel, figlia del re di Tiro Ittobaal, sposò Achab, e il matrimonio servì a rafforzare, seppur temporaneamente, l’influenza fenicia sulla cultura e sull’arte ebraica, prima della reazione degli ambienti ortodossi a tale condizionamento. Nel frattempo, fin dall’XI secolo erano però iniziate le prime spedizioni assire nella regione libanese, e alla metà del IX secolo il re Salmanassar III vi impose pesanti tributi. Nell’852 le città fenicie settentrionali si unirono temporaneamente contro il nemico comune e combatterono la battaglia di Qarqar, ma verso la metà dell’VIII secolo vennero annesse all’impero assiro da Tiglat-Pileser III (Biblo e le città meridionali rimasero invece tributarie). Le rivalità fra Sidone e Tiro facilitarono poi l’ulteriore conquista assira, che si realizzò fra il 700 e il 671. Nello stesso 671 si ebbe una ribellione antiassira a Tiro, ed episodi analoghi si verificarono anche in seguito ad Arwad e nella stessa Tiro (queste due città furono comunque le uniche, insieme a Biblo, a rimanere nella condizione di tributarie e non di suddite fino al crollo dell’impero assiro, avvenuto nel 612). Dopo una breve fase di relativa libertà, ai precedenti dominatori si sostituirono, nel 605, i babilonesi (Tiro, che pure capitolò nel 573 dopo tredici anni di assedio, fu l’unica città a mantenere la propria dinastia regnante e una certa autonomia). Nel 539, con la presa di Babilonia da parte di Ciro, iniziò per le città fenicie – che vennero incluse nella quinta satrapia – la fase del dominio persiano: in questi anni però gli Achemenidi concessero ad alcune di esse (Tiro e Sidone) una certa autonomia, in cambio della possibilità di sfruttarne la flotta. Nel IV secolo, anche per influenza greca, si diffusero sentimenti antipersiani, che spiegano l’atteggiamento di spontanea sottomissione delle città fenicie ad Alessandro Magno nel 332. Solo Tiro dovette essere espugnata dopo un assedio di sette mesi.

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4. Le esplorazioni e l’espansione coloniale

Sostituitisi spesso ai micenei e agli egiziani sulle principali rotte commerciali del Mediterraneo, fin dal X secolo i fenici intrapresero anche spedizioni che li portarono al di là dei confini di questo mare. Nello stesso periodo in cui raggiunsero il paese di Tarshish (forse la Spagna meridionale) i fenici di Tiro toccarono, in una spedizione organizzata con il re Salomone, il paese di Ofir (probabilmente lo Yemen o la Somalia). Fra il VII e il VI secolo si deve collocare la circumnavigazione dell’Africa effettuata, secondo la testimonianza di Erodoto, per conto del faraone Nekao II. Per quanto riguarda invece la vera e propria colonizzazione fenicia, il primo esempio è quello di Cipro, dove già nel X secolo furono creati numerosi insediamenti fissi. Nell’VIII secolo le colonie fenicie si moltiplicarono in varie aree del Mediterraneo, dalla Sicilia occidentale (Mozia, Panormo, Solunto) alle isole di Malta e Pantelleria, dalla Tunisia (Cartagine, Utica) alla Sardegna (Tharros, Nora) alla Spagna (Malaga, Andra, Ibiza, Cadice). L’espansione coloniale dei fenici si svolse parallelamente alla colonizzazione greca e portò a una vera e propria spartizione delle aree di influenza nel Mediterraneo. Colonie e basi stabili vennero anche fondate in prossimità e oltre le colonne d’Ercole, sulla costa atlantica del Marocco: i siti di Volubilis, Tangeri, Lixus, Sala, Thamuda, Kouas e soprattutto dell’isola di Mogador testimoniano la presenza fenicia intorno al VII-VI secolo. Come nel caso dei greci, anche per i fenici la colonizzazione vera e propria seguì a una fase “precoloniale”, nella quale il commercio si svolgeva con modalità più semplici e in regime di monopolio, senza richiedere quindi la presenza di basi stabili in aree lontane. Molto dubbia risulta invece la tesi che collega il fenomeno della colonizzazione alla pressione esercitata dagli assiri nell’area libanese (perché quest’ultima è in realtà più tarda) oppure ai contrasti politici intervenuti in seno alle classi dirigenti delle varie città-stato (si tratta infatti di una lettura della colonizzazione fenicia sulla falsariga di quella greca). Quanto al rapporto fra la madrepatria e le colonie, queste ultime, a differenza di quelle greche, non nacquero come colonie autonome ma come dipendenze della città d’origine nei confronti della quale erano tributarie. Solo con il passar del tempo la lontananza dalla madrepatria portò anche le colonie fenicie ad affrancarsi da ogni vincolo di dipendenza.

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