Cartagine

Antica città-stato dell’Africa settentrionale.

  1. L’evoluzione storica
  2. Istituzioni, economia e cultura
1. L’evoluzione storica

Colonia fenicia, la sua fondazione risalirebbe, secondo la tradizione, all’814 a.C.: allora un gruppo di dissidenti della città di Tiro guidato dalla sorella del sovrano Pigmalione (identificata dal mito con la figura di Didone o Elissa) si sarebbe installato nel golfo di Tunisi e vi avrebbe fondato Kart-hadasht, la “città nuova”. A prescindere dalla data precisa, l’inizio dell’VIII secolo può essere considerato come l’epoca storicamente attendibile per la fondazione di questa come di altre colonie fenicie in Occidente (fenici), ed è presumibile che anche in questo caso la costituzione di un vero e proprio insediamento fisso abbia fatto seguito a un periodo di semplice frequentazione commerciale da parte dei mercanti fenici. Dopo una prima fase di consolidamento interno, sulla quale disponiamo di scarse notizie, la città assunse una crescente importanza a partire dalla seconda metà del VII secolo, anche in concomitanza con la crisi della madrepatria per la pressione esercitata dagli assiri. Cartagine poté allora acquisire un’autonomia di fatto e in molti casi sostituirsi alla stessa Tiro come città egemone nei confronti delle altre colonie fenicie d’Occidente, oltre a promuovere a sua volta un flusso coloniale nella zona della Tripolitania, dell’Algeria e del Marocco. Questo ruolo di grande potenza del Mediterraneo la portò necessariamente a scontrarsi con i greci, promotori negli stessi anni di un analogo fenomeno di espansione coloniale. Fin dalla metà del VI secolo Malco, il primo comandante cartaginese di cui si abbia notizia, combatté sia contro i libici in Africa sia contro i greci in Sicilia conseguendo inizialmente alcuni successi, ma dopo il fallimento della sua spedizione in Sardegna e il vano tentativo di instaurare un governo personale nella città venne condannato a morte. Dopo di lui la politica estera cartaginese – che fu guidata da condottieri legati alle famiglie più eminenti quali i Magonidi, gli Annonidi e i Barcidi – riprese a contrastare l’espansionismo greco soprattutto in alcuni settori del Mediterraneo: importante in questo contesto la vittoria riportata dalla flotta cartaginese e da quella etrusca nella battaglia di Alalia (535), con la quale la Sardegna e la Corsica furono sottratte all’influenza greca. Nel 509 fu stipulato il primo trattato fra Cartagine e Roma, con il quale si stabilivano le rispettive zone di influenza e si riconosceva l’egemonia cartaginese su parte della Sicilia. Proprio in Sicilia proseguì poi lo scontro con i greci, i quali nel 480 sconfissero i cartaginesi guidati da Amilcare nella battaglia di Imera. I Magonidi, principali responsabili della sconfitta, vennero allora esiliati da Cartagine e fu istituito il consiglio dei Centoquattro, con funzione di controllo sull’operato dei generali e dei magistrati. Alla fine del V secolo si registrarono una serie di successi cartaginesi in Sicilia con la conquista di Imera, Agrigento e Gela. Seguì, nel 404, una pace temporanea con Dionisio I il Vecchio, che si era appena impadronito del potere a Siracusa. Già nel 397, tuttavia, ripresero le ostilità con il tiranno, divenuto il punto di riferimento di tutti i greci di Sicilia. Il conflitto si protrasse fino alla morte di Dionisio (367), portando a una spartizione dell’isola fra cartaginesi e greci sul confine segnato dal fiume Alico. Nel successivo ventennio di pace in Sicilia, Cartagine consolidò la sua presenza in Africa, nella penisola iberica e in Sardegna. Nel 348 venne firmato il secondo trattato con Roma, con il quale si riconosceva la supremazia cartaginese nel commercio marittimo, in cambio della rinuncia punica a ogni interferenza in Italia. Non ebbe esito invece il nuovo tentativo espansionistico intrapreso in Sicilia fra il 344 e il 339, nella speranza di approfittare delle difficoltà interne di Siracusa: i cartaginesi vennero infatti a più riprese sconfitti dai greci guidati dal generale Timoleone. Ristabilita la pace in Sicilia sulla base dello status quo, dopo la conquista delle città fenicie da parte di Alessandro Magno (332) Cartagine poté ulteriormente consolidare la sua posizione nei confronti delle ex colonie fenicie d’Occidente. A partire dal 311 dovette però fronteggiare un nuovo tentativo espansionistico dei siracusani, guidati dal tiranno Agatocle, che per la prima volta portarono la guerra in Africa e riuscirono a porre l’assedio alla stessa Cartagine. Il ritorno di Agatocle in Sicilia consentì comunque ai cartaginesi di giungere, nel 304, a una pace che li penalizzava sul piano dell’indennità, ma li lasciava in possesso dei territori siciliani. Venne allora siglato il terzo trattato con Roma, che ribadiva gli accordi precedenti, cui ne seguì un quarto nel 279, che sanciva una temporanea alleanza fra le due città in funzione antigreca e antiepirota: alla morte di Agatocle (289), era ripresa infatti l’offensiva punica in Sicilia, che aveva provocato nel 277 l’intervento di Pirro. Quest’ultimo però, per quanto vittorioso, lasciò la Sicilia l’anno seguente in una situazione di aperta conflittualità che aprì la strada all’intervento romano, questa volta contro i cartaginesi. Si aprì quindi, nel 264, la fase delle guerre puniche, che oppose per più di un secolo Cartagine a Roma, ormai divenuta l’altra grande potenza del Mediterraneo. Con la sconfitta nella prima guerra punica, combattuta fra il 264 e il 241, Cartagine perse la Sicilia e dovette pagare pesanti tributi. Seguì nel 238 la perdita anche della Sardegna. La seconda guerra punica fu combattuta dal 218 al 201. Le operazioni militari furono in un primo tempo favorevoli a Cartagine per la brillante campagna in Italia di Annibale. L’apertura del fronte in Africa e la battaglia di Zama (202) segnarono tuttavia una nuova pesante sconfitta punica: Cartagine subì allora un drastico ridimensionamento perdendo i territori d’oltremare e parte dello stesso territorio africano, la flotta e la libertà di determinare la propria politica estera. La terza guerra punica, infine, dal 149 al 146, si concluse con la distruzione della stessa Cartagine e con l’annessione del suo territorio alla provincia romana denominata Africa. Nel 122 Caio Gracco operò un primo tentativo di fondare su quella che era stata l’area di Cartagine una colonia romana, la Colonia Iunonia, ma solo con C.G. Cesare il progetto riuscì a concretizzarsi, nel 44 a.C. In epoca imperiale Cartagine, divenuta capitale dell’Africa proconsolare, fu una delle maggiori e più prospere città dell’impero. Nel 439 d.C. divenne la capitale del regno dei vandali, quindi fu conquistata nel 533 da Belisario e integrata nell’impero di Giustiniano. Rimase poi fedele all’impero bizantino fino al 697, quando venne conquistata dai musulmani e perse rapidamente importanza in favore di Tunisi.

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2. Istituzioni, economia e cultura

In origine dipendenza fenicia di Tiro, Cartagine rimase per alcuni secoli tributaria della madrepatria e in quanto colonia non ebbe un proprio sovrano, ma venne retta da magistrati chiamati “giudici” (shufetim; sufetes in latino). Con l’acquisizione della piena autonomia, la costituzione cartaginese si definì come tipicamente oligarchica per quanto gli autori classici – da Eratostene ad Aristotele e a Polibio – ne abbiano spesso apprezzato la stabilità e il presunto carattere “misto”. Al vertice dello stato furono sempre posti i sufeti, supremi magistrati eletti annualmente su base censitaria, che avevano il potere di convocare le assemblee, legiferare, controllare la politica estera. Vi erano poi il consiglio degli anziani, una sorta di senato convocato e presieduto dai sufeti con compiti deliberativi, e l’assemblea del popolo, che poteva pronunciarsi in caso di mancato accordo fra i sufeti e il consiglio degli anziani; i suoi poteri si accrebbero però in epoca ellenistica a scapito di quelli degli stessi sufeti. Al consiglio dei Cento o dei Centoquattro spettava invece la funzione giudiziaria, soprattutto il controllo sull’operato dei magistrati e dei capi militari. Questi ultimi, provenienti dalle file dell’aristocrazia ma eletti dal popolo, godettero comunque di un grandissimo potere, costituirono delle vere e proprie “dinastie” e talora si posero a capo di tentativi, per altro sempre sventati, di rovesciare le istituzioni. Le principali famiglie di condottieri furono quelle dei Magonidi, che operarono dal VI secolo all’inizio del IV e introdussero l’uso di servirsi di mercenari (Amilcare); degli Annonidi, attivi nel IV secolo e legati all’aristocrazia agraria (Annone il Grande); dei Barcidi, attivi durante le guerre puniche e sostenitori di una politica personalistica e mercantilistica in funzione antiromana che richiedeva l’appoggio strumentale del popolo (Amilcare Barca, Annibale Barca, Asdrubale Barca). L’antagonismo tra queste due ultime famiglie rifletteva a sua volta i diversi interessi economici delle due anime della classe dominante cartaginese nel IV secolo. Il commercio era infatti da sempre la principale risorsa della città, alla quale erano stati legati anche viaggi di esplorazione lungo la costa atlantica dell’Africa e della Spagna. Proprio per difendere le rotte marittime e consolidare l’egemonia sul Mediterraneo occidentale era stato intrapreso il secolare conflitto con i greci, poi rinnovatosi contro i romani. Ma nel IV secolo anche l’agricoltura, e soprattutto la cerealicoltura, aveva assunto grande rilevanza sul piano economico, alimentando un’aristocrazia fondiaria di tendenze conservatrici i cui obiettivi in politica estera erano meno bellicosi rispetto a quelli della classe mercantile e non contemplavano uno scontro aperto con Roma. L’esito delle guerre puniche determinò la rovina della città e della sua classe dirigente senza eccezioni, ma sul piano culturale la sua eredità non venne cancellata. Non a caso in epoca imperiale la ricostituita Cartagine divenne un’importante sede di studi, soprattutto nel campo filosofico, retorico e giuridico. Già erede del pantheon e dei culti fenici, diventò poi con Cipriano e sant’Agostino un centro fondamentale del cristianesimo latino.

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