utopia

In senso stretto “utopia” indica il luogo immaginario posto da Thomas More al centro della sua descrizione di una società perfetta e felice (Utopia, 1516). Più in generale si parla di utopie riferendosi a visioni di organizzazioni sociali, economiche e politiche cui i loro ideatori attribuiscono caratteri di compiutezza razionale, di coerenza logica e di radicale alterità rispetto al mondo reale. Le utopie vengono proposte come modelli positivi o negativi, che devono suscitare una presa di posizione nei confronti del presente. Attraverso l’esame delle utopie si possono quindi cogliere i desideri e le attese, i rifiuti e le paure che furono espresse nelle diverse epoche e situazioni storiche. Il termine utopia fu coniato da More sulla base di due parole greche, eutopos (luogo buono, felice) e outopos (luogo che non esiste). L’ambiguità di questa doppia radice permane in tutta la ricca letteratura utopica che seguì l’opera di More, la quale rappresentò il modello delle utopie tra Cinquecento e metà Settecento, rimanendo anche oltre un punto di riferimento essenziale. La felicità di cui godono gli abitanti di Utopia è basata sull’abolizione della proprietà privata e sull’uguaglianza assoluta che regna tra tutti: si tratta di una vita armoniosa per il singolo e per la comunità intera; l’ozio è bandito, il piacere intellettuale è considerato il massimo godimento, il lusso è sconosciuto perché non si praticano lavori inutili. La tolleranza religiosa è garantita; tutti possono praticare le proprie convinzioni, a eccezione degli atei; prevale comunque una sorta di religione naturale. Isolatasi volontariamente dal mondo, la repubblica di Utopia rappresenta la realizzazione di un progetto ideato dal suo legislatore originario, Utopo, per il bene e la felicità di ciascuno e prova la possibilità di un ordine razionale in contrapposizione agli sviluppi perversi della società inglese del tempo, cui si fa riferimento nella prima parte dell’opera. Anche prima dell’Utopia di More si manifestò l’esigenza di esprimere il disegno di una società diversa e migliore da quella esistente. Esiodo nell’VIII secolo a.C. parlò dell’“età dell’oro” come di un tempo nel quale gli uomini vivevano in pace e nell’abbondanza, senza le tensioni connaturate a una società urbanizzata: nella forma di nostalgia poetica per un ordine perduto il modello proposto da Esiodo fu ripreso spesso nella letteratura successiva. Nel IV secolo a.C. Platone scelse il trattato filosofico per descrivere il modello di legislazione ideale della sua Repubblica. Quadro di un perfetto ordine eterno della convivenza umana, la repubblica platonica si fondava sul comunismo dei beni (almeno per ciò che riguardava le due classi superiori dei governanti e dei guerrieri), sull’ereditarietà delle classi sociali e sul potere di governanti-filosofi, ai quali spettavano tutte le decisioni fondamentali. Come la repubblica platonica, anche la Sparta di Licurgo, semplice, valorosa e moralmente austera, contiene elementi di utopia politica che dovevano essere sviluppati in seguito. Mentre il cristianesimo assorbì questi elementi di immaginazione sociale nella sua concezione dell’aldilà lasciando poco spazio alle proiezioni letterarie e politiche di aspirazioni verso un mondo terreno di felicità e giustizia (fatta in qualche modo eccezione per la tradizione del millenarismo), la cultura rinascimentale fu la base non solo dell’Utopia di More, ma di numerosi progetti di rinnovamento religioso, urbanistico, architettonico, economico e politico nei quali erano presenti elementi di una prospettiva utopica ottimista e laica. La frattura nella coscienza religiosa europea manifestatasi nel XVI secolo con la Riforma e con le guerre di religione fu tra le cause della fortuna delle utopie nell’età moderna. La città del Sole di Tommaso Campanella (1602, pubblicata nel 1623), con una sensibilità in parte rinascimentale, in parte controriformistica descrisse un regime di comunismo dei beni e dell’educazione, di attività regolata per tutti, nel quale la scienza ha un’importanza fondamentale per assicurare il benessere e la felicità. Nel 1619 Christian Andräe pubblicò la sua Christianopolis e nel 1627 Francis Bacon la Nuova Atlantide : in entrambi i progetti la nuova scienza era l’elemento decisivo dell’immaginazione utopica. Il modello di utopia elaborato da More fu ripreso in questi e numerosi altri scritti del Seicento e del Settecento nei quali erano presenti sia il viaggio verso il luogo della perfezione e della felicità sia la scoperta di un sistema di legislazione di validità universale. Alcune utopie settecentesche modificarono questo stereotipo. Nei Viaggi di Gulliver (1726) Jonathan Swift volle dimostrare che l’utopia si addice alle specie animali ma non all’uomo, troppo lontano da qualsiasi modello di perfezione. Nel Candido di Voltaire si descrive l’utopia dell’Eldorado all’interno di un romanzo che dimostra l’impossibilità di qualsiasi utopia. Sébastien Mercier introdusse nel genere utopico uno svolgimento di grande rilievo: nel suo L’anno 2440 (1772), l’utopia fu posta al termine di un processo storico le cui radici erano collocate nel presente. Il tempo e non più lo spazio, quindi, iniziò a divenire alla fine del Settecento il tramite dell’utopia. Il concetto di progresso si correlò così a quello di utopia fornendole una dinamicità nuova. Per Condorcet (Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, scritto nel 1794), la storia produce l’utopia nella decima epoca, nella quale il progresso della ragione scientifica metterà a disposizione degli uomini i frutti prodotti dalla scienza e dalla filosofia. A questo mutato atteggiamento è da ricondurre la trasformazione dell’utopia in progetti di riforma sociale all’inizio dell’Ottocento. Il falansterio di Fourier, nato sul terreno dell’utopia, ma realizzabile in via sperimentale, avrebbe dovuto mostrare all’umanità di essere la migliore soluzione a tutti i problemi del tempo. Progetto di trasformazione sociale e visione utopica motivata politicamente si intrecciarono per tutto il corso dell’Ottocento (socialismo, comunismo). La fiducia nella perfettibilità umana in tempi rapidi e il ripetersi di tentativi volti a realizzare ideali di perfetta organizzazione secondo giustizia e in vista della felicità di tutti ha dato vigore nel nostro secolo a controutopie, il cui scopo è quello di mostrare il pericolo insito nella struttura stessa dei progetti utopici. Il Mondo nuovo di Aldous Huxley (1932) e 1984 di George Orwell (1949) mostrano come l’utopia realizzata rappresenti non il compimento della storia dell’umanità, ma, piuttosto, la sua negazione e la mistificazione dei suoi valori più profondi. In questo medesimo senso, del resto, si è andata orientando, negli ultimi decenni, la riflessione più propriamente filosofica e storiografica sull’utopia. [Edoardo Tortarolo]