movimenti politici e sociali

Il movimento sociale è un’azione collettiva condotta al di fuori dei canali politico-istituzionali, distinta da forme di comportamento collettivo quali i tumulti, le sommosse, le azioni terroristiche e, per certi versi, le rivoluzioni, che esprimono la reazione a situazioni di crisi economico-sociale, a situazioni di blocco istituzionale o a minacce alla sopravvivenza e all’identità di una collettività. Diversamente dalle condotte di crisi e dalle azioni di difesa identitaria, i movimenti sociali non sono semplicemente reattivi, ma esprimono un orientamento propositivo al cambiamento dell’ordine sociopolitico, più o meno radicale e più o meno completo – siano essi movimenti di progresso o movimenti reazionari. In questo senso, tali movimenti sono caratterizzati da un’ideologia, da forme organizzative più o meno sviluppate, da una capacità di mobilitazione e da una durata non limitata alle congiunture di crisi. Spesso considerati in storiografia e in sociologia come soggetti, devono essere pensati in primo luogo come azioni collettive, poiché gli stessi soggetti cambiano caratteristiche a seconda della natura dell’azione che mettono in opera. Quando, ad esempio, si dice “movimento operaio”, l’azione che ad esso si attribuisce è a volte espressione del movimento, altre volte è una pressione istituzionale tipica di un gruppo di interesse (quali i sindacati), altre volte ancora è una pura difesa identitaria. Ciò sta a indicare che quel che si osserva, la lotta, è in realtà un fenomeno multidimensionale. All’interno di una rivoluzione, ad esempio, vi sono fasi che esprimono il movimento come tale e altre in cui si manifestano altre logiche d’azione, così come all’interno della stessa fase diversi gruppi di militanti sono portatori di differenti logiche. La posta in gioco dei movimenti non è né la partecipazione ai benefici (ad esempio la divisione della ricchezza), né la partecipazione politica come tale, bensì il controllo degli orientamenti che sono alla base del modo di funzionamento e di sviluppo della società. In questa prospettiva, se pure essi incidono sulla struttura degli interessi, lo fanno in quanto esprimono conflitti culturali. All’interno dei movimenti si devono poi distinguere i movimenti sociali veri e propri e i movimenti politici. Benché vi possano essere rapporti e anche trapassi dall’uno all’altro, i primi hanno luogo in relazione a conflitti sociali, i secondi a conflitti storici. I conflitti sociali sono interni al modo di produzione (ad esempio, quello capitalistico) e al tipo di società (ad esempio la società industriale), mentre i conflitti storici sono legati al passaggio da un tipo di ordine economico-politico a un altro (ad esempio, dalla società capitalistica alla società socialista) o da un regime a un altro (ad esempio, dalla monarchia alla repubblica). Sono movimenti sociali, tra gli altri, il movimento operaio, il movimento ecologista, il movimento delle donne; sono movimenti storici, tra gli altri, il movimento comunista, i movimenti di liberazione nazionale, molti movimenti religiosi. I movimenti possono essere più o meno violenti, ma il ricorso alla violenza tende a trasformare il movimento in condotte di crisi e a ridurre la sua capacità propositiva. In generale si osserva che i movimenti sociali hanno tanta più possibilità di manifestarsi quanto più aperto è il sistema politico, cosicché, soprattutto in società differenziate e pluralistiche, nuove istanze e bisogni che non trovano espressione attraverso i canali istituzionali, possono avere voce e trovare poi riconoscimento politico. In tal modo i movimenti sociali hanno effetti positivi per la vitalità della democrazia e per l’innovazione sociale. In caso contrario, quando vi è chiusura del sistema politico, in luogo di movimenti vi è spazio soltanto per la dissidenza e per l’estremismo.