leghe (Lega lombarda, Lega Nord, Liga Veneta)

Movimenti politici sorti e sviluppatisi nell’Italia centrosettentrionale, a carattere regionale (ma dal 1989 quasi tutti associati nella Lega Nord), ispirati all’ideale federalistico e profondamente ostili al centralismo dello stato unitario.

  1. Le origini
  2. La Lega Nord
  3. La crisi successiva alle dimissioni di Berlusconi
1. Le origini

Al centro dei programmi delle leghe si trova la proposta dell’autonomia fiscale regionale, per cui le tasse raccolte in ogni regione dovrebbero rimanere a disposizione della stessa, tranne una quota, stabilita da un accordo interregionale, da destinare alle poche funzioni (difesa, politica estera, coordinamento economico, lotta alla criminalità) che continuerebbero a essere riservate al governo centrale. Una delle critiche più aspre mosse dalle leghe allo stato unitario italiano è di aver trasferito, nel secondo dopoguerra, ingenti risorse dal nord produttivo al sud, dove una politica scriteriata avrebbe consentito l’impiego assistenzialistico, clientelare e parassitario del denaro pubblico. Massimi responsabili di questa strategia sarebbero i partiti che hanno governato il paese nel periodo della “prima repubblica”, e insieme ad essi l’opposizione di sinistra, complice dell’eccesso di statalismo e di assistenzialismo della politica italiana. Per tali ragioni le leghe auspicano la nascita di una “seconda repubblica”, ispirata al federalismo. Le leghe hanno approvato l’opera dei giudici milanesi, i quali, a partire dal 1992, hanno intrapreso una decisa battaglia contro la corruzione politica, svelando agli italiani l’enorme entità dei guasti politici ed economici prodotti dal sistema di Tangentopoli e contribuendo, in tal modo, a porre fine alla prima repubblica. Spesso le leghe hanno proposto un modello di società fondato sull’autogoverno di piccole comunità e incentrato sul dinamismo di una sana piccola imprenditoria, non compromessa, come la grande industria, con lo statalismo. Talvolta la volontà di tutelare le comunità locali le ha indotte a proporre misure antinazionali come il diritto di precedenza dei residenti nelle assunzioni e nei pubblici concorsi, nella concessione di case popolari e in altre occasioni di erogazione di servizi. L’ostilità nei confronti dell’immigrazione non regolamentata si è manifestata in forme non prive di venature razziste, nonostante i dirigenti dei movimenti escludano con decisione qualsiasi legame tra il razzismo e la propria ideologia e i propri programmi. La politica economica delle leghe si fonda su un radicale liberismo, favorevole alla privatizzazione degli enti pubblici e all’abbandono di ogni intervento dello stato in campo economico. Le leghe fecero la loro comparsa sulla scena politica nel 1979, quando la Liga veneta si presentò alle elezioni europee e la Lega autonomista di Umberto Bossi si candidò alle amministrative di Varese, in entrambi i casi con scarso successo. Gli anni Ottanta videro la diffusione del fenomeno leghista nel nord Italia: nel 1980 nacquero l’UNOLPA (Unione nord-occidentale lombarda per l’autonomia) di Bossi e l’“Arnassita Piemonteisa”, fondata da Roberto Gremmo; nel 1984 si costituì, sempre per iniziativa di Bossi, la Lega lombarda; nel 1987 da una scissione dell’Union Piemonteisa di Gremmo sorse “Piemont Autonomista”, guidata da Gipo Farassino. I risultati elettorali, negli stessi anni, furono alterni: nel 1983 la Liga veneta riuscì a ottenere per la prima volta un seggio sia alla Camera sia al Senato; alle europee del 1984, invece, l’Unione per l’Europa Federalista, promossa da Bossi con l’adesione di numerose leghe (piemontesi, lombarde, venete, trentine) ebbe poco successo. La Lega lombarda entrò nelle amministrazioni comunali di Varese e di Gallarate in seguito alle amministrative del 1985 e, nelle politiche del 1987, ottenne il 2,9% in Lombardia, con punte del 6-7% a Varese e a Bergamo, conquistando un seggio alla Camera e uno al Senato. Alle europee del 1989 divenne il quarto partito in Lombardia con l’8,1% dei voti. Un salto qualitativo si ebbe nel 1989, quando, per iniziativa di Bossi, nacque la Lega Nord, formata dall’associazione di numerosi movimenti regionali, come la Lega lombarda, quella emiliano-romagnola, l’Alleanza toscana di Tommaso Fragassi, l’Union ligure di Bruno Ravera, la Liga veneta di Franco Rocchetta, Piemont autonomista di Gipo Farassino. Accanto alla leadership politica di Bossi, si affermò l’influenza ideologica di Gianfranco Miglio, sostenitore della divisione dell’Italia in una confederazione di tre macroregioni (settentrionale, centrale e meridionale).

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2. La Lega Nord

La Lega Nord divenne in breve tempo una protagonista del panorama politico nazionale: alle elezioni amministrative del 1990, pur presentandosi solo in alcune regioni, raggiunse il 5% a livello nazionale, con la punta del 19% in Lombardia e con l’ingresso di un migliaio di leghisti nei consigli comunali. Alle politiche del 5 aprile 1992 ottenne l’8,7% dei voti e 55 deputati, diventando la quarta forza politica nazionale e la prima in numerose aree del nord. Alle amministrative parziali del 1993 si confermò il primo partito in quasi tutte le città e le realtà importanti del nord. Riuscì a conquistare l’amministrazione comunale di Milano (dove divenne sindaco Marco Formentini), ma non riuscì invece a trionfare nelle altre grandi città (Torino, Genova, Trieste, Venezia), nelle quali vinsero i candidati progressisti. Il contrasto tra l’esser diventato il partito di maggioranza relativa e la sconfitta nella lotta per l’amministrazione locale in molte realtà, convinse la Lega, in occasione delle politiche del 27-28 marzo 1994 (le prime della storia repubblicana tenutesi con un sistema elettorale semi-maggioritario), a stringere un patto di alleanza con il movimento Forza Italia di Silvio Berlusconi, nonostante le numerose differenze ideologiche e programmatiche tra le due formazioni. Nacque così il Polo delle libertà, che, con il Polo del buongoverno (composto da Forza Italia e Alleanza nazionale) e con le liste di Alleanza nazionale, fu il grande vincitore della competizione elettorale. La Lega, presente solo al nord, ebbe i consensi dell’8,4% dell’elettorato nazionale e ottenne 56 senatori e 106 deputati. Entrata a far parte del governo Berlusconi, la Lega uscì dal governo stesso dopo pochi mesi (dicembre 1994), determinandone la caduta. Isolata all’opposizione, prese a teorizzare la secessione delle regioni dal Nord dal resto dell’Italia, proclamando nel settembre del 1996 l’indipendenza della Padania. In calo di consensi alle elezioni del 1996, rimase all’opposizione durante i governi Prodi (1996-98), D’Alema (1998-2000) e Amato (2000-01), stringendo poi un nuovo patto con il polo di centrodestra alle elezioni regionali dell’aprile del 2000 e ottenendo con questo una netta vittoria rispetto alla coalizione di centrosinistra.


Presentatasi alle elezioni politiche del 2001 nella coalizione di centrodestra “Casa delle Libertà” ottenne un significativo successo, entrando così a far parte della compagine del secondo governo Berlusconi: Umberto Bossi assunse l’incarico di Ministro senza portafoglio per le Riforme istituzionali e la devoluzione; Roberto Castelli quello di Ministro della Giustizia e Roberto Maroni quello di Ministro del Lavoro e Politiche Sociali. Nelle successive elezioni del 2004 per il rinnovo del parlamento europeo, così come in quelle regionali del 2005, la Lega superò il 5% dei suffragi su base nazionale. Nel 2006 strinse al sud un accordo elettorale con il Movimento per le Autonomie (MPA) di Raffaele Lombardo e riconfermò al nord l’alleanza con la stessa coalizione di centrodestra del 2001. All’indomani della sconfitta di margine, che portò al governo la coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi, la Lega restò all’opposizione con 26 deputati. Nelle successive elezioni anticipate del 2008, si presentò esclusivamente nelle regioni del centro-nord in coalizione con il PdL di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini e con l’MPA, riuscendo a conseguire un importante successo: raddoppiò infatti i propri consensi e contribuì in maniera decisiva alla vittoria del centrodestra. Entrò quindi a far parte del quarto governo Berlusconi con Umberto Bossi al Ministero per il Federalismo, Roberto Calderoli al Ministero per la Semplificazione Normativa, Roberto Maroni al Ministero degli Interni, Luca Zaia al Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Facendosi interprete dei sempre più diffusi malumori popolari nei confronti dell’Unione Europea, della globalizzazione e dell’immigrazione, nelle successive elezioni europee del 2009, così come in quelle regionali del 2010 incrementò ulteriormente i propri consensi, arrivando a conquistare la presidenza in Piemonte e in Veneto e a presentarsi, più in generale, come la forza politica egemonica nel settentrione d’Italia. Nel 2011 si segnalò ripetutamente per le vivaci polemiche nei confronti dei festeggiamenti organizzati per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Nel corso dello stesso anno, continuando a mantenersi leale nei confronti di Berlusconi, la Lega registrò al proprio interno un crescente malcontento legato alla contraddizione di essere simultaneamente un partito di governo e di opposizione.

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3. La crisi successiva alle dimissioni di Berlusconi

All’indomani delle dimissioni di Berlusconi, il partito, sempre più agitato dall’avvio di un intenso scontro interno in vista della conquista della leadership, si pose all’opposizione del governo presieduto da Mario Monti. La questione della leadership emerse nel 2012, quando, all’indomani di alcuni scandali legati alla gestione dei fondi del partito, Umberto Bossi rassegnò le dimissioni da segretario della Lega, affidandone la gestione a un triumvirato composto Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago. Preceduto da una serie di congressi regionali che videro l’affermazione di candidati maroniani, il congresso federale dell’estate 2012 consacrò Maroni alla guida del partito. In occasione delle elezioni politiche del febbraio 2013 la Lega, alleata ancora una volta del PdL di Silvio Berlusconi, andò incontro a un netto ridimensionamento dei propri consensi, non superando il 4% dei suffragi su base nazionale. Il deludente risultato su base nazionale fu tuttavia parzialmente compensato dall’esito delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale lombardo, che vide Maroni imporsi sul candidato del centro-sinistra Umberto Ambrosoli e divenire così il nuovo governatore della Lombardia.

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