banditismo

Fenomeno criminoso, particolarmente accentuato nelle società disorganiche o in epoche di crisi o di brusche trasformazioni economico-sociali. Ebbe manifestazioni in pressoché tutti i paesi a partire dall’antichità, con motivazioni non solo materiali ma talvolta anche politiche. In Italia, che già aveva conosciuto il fenomeno del brigantaggio all’indomani dell’unificazione, nel secondo dopoguerra si ebbe un incremento del banditismo, non sempre riconducibile alle forme classiche della mafia, della camorra e della ’ndrangheta. Nella società italiana, soprattutto meridionale, erano presenti i caratteri di una società disorganica, favorevoli al radicamento del banditismo: diffusa indifferenza alla legge, ammirazione per il criminale di successo, omertà. Soprattutto al nord si ebbe quel misto di assalti a banche e gioiellerie e di controllo dei locali notturni, delle bische e del traffico della droga, che con la fredda ferocia delle operazioni delittuose costituisce la caratteristica del gangsterismo. A volte i banditi del nord erano meridionali inviati in settentrione dalle proprie cosche, ma spesso erano nativi del posto, come il torinese Cavallero e il milanese Lutring. Più legato a motivazioni autoctone fu il banditismo “pastorale”, particolarmente radicato in Sardegna, dove reati come l’abigeato avevano una lunga tradizione. Il banditismo sardo si contraddistinse per l’efferatezza dei reati contro le persone e praticò spesso i sequestri a scopo di estorsione (in questo imitati dalla criminalità calabrese). In Sardegna il banditismo godeva di una legittimazione etica in certa cultura pastorale, che accettava anche il furto e il crimine come risposta alla “necessità di sistemarsi”. A partire dal 1962 il banditismo sardo conobbe una stagione di inasprimento, dovuto al risentimento dei pastori nei confronti della modernizzazione economica di parte dell’isola (turismo di élite a nord-est, industrializzazione incipiente a nord e a sud), che li emarginò e impoverì ulteriormente. I banditi più famosi furono il siciliano Salvatore Giuliano e il sardo Graziano Mesina. Il primo, che aveva aderito al movimento separatista siciliano, compì il gesto più grave nella strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, quando sparò con la sua banda sul corteo della festa dei lavoratori, uccidendo 8 persone e ferendone una trentina. Nel 1950 fu ucciso dal cugino Gaspare Pisciotta a Castelvetrano. Graziano Mesina, autore nel 1966 di una celebre evasione dal carcere di Sassari, dove doveva scontare una condanna a 24 anni, fu l’esponente più celebre del banditismo sardo che negli anni Sessanta ingaggiò un duro braccio di ferro con le forze dell’ordine, con scontri a fuoco e attentati dinamitardi alle caserme. Il parlamento nazionale fu indotto dalla gravità del fenomeno a istituire nel 1967, su proposta delle sinistre e su iniziativa del ministro degli Interni Taviani, una commissione d’inchiesta sul banditismo sardo. Negli anni Ottanta e Novanta l’opinione pubblica fu scossa da una continua serie di sequestri di persona compiuti soprattutto dalla criminalità calabrese e sarda. Dopo di allora il fenomeno rifluì progressivamente anche in virtù dell'integrazione delle bande all’interno delle grandi organizzazioni criminali.