positivismo

Con il termine “positivismo” si designa, di solito, una concezione che attribuisce valore conoscitivo soltanto alla scienza intesa come sapere positivo, in antitesi al sapere teologico e al sapere metafisico, e che afferma, al tempo stesso, l’unità del metodo scientifico, indipendentemente dal campo di ricerca su cui verte, affidando alla filosofia il compito di determinare i principi comuni a tutte le scienze. In questo senso il positivismo presuppone lo sviluppo della moderna scienza della natura e l’estensione del suo dominio dall’ambito della fisica e dell’astronomia a quello delle scienze della vita e poi anche della società; e si presenta come uno sforzo rivolto a coglierne il fondamento unitario e a sistematizzarne i risultati. Ma il positivismo, così com’è sorto nell’età della Restaurazione, diffondendosi dalla Francia dapprima al di là della Manica e poi in tutto il continente europeo, non è soltanto questo: esso comprende anche un’interpretazione della società moderna come società industriale e una concezione dello sviluppo storico, di cui questa società è considerata il momento conclusivo, o per lo meno il livello più alto finora raggiunto.

  1. Saint-Simon e Comte: società industriale e sapere positivo
  2. Mill e Spencer
  3. La diffusione del positivismo
1. Saint-Simon e Comte: società industriale e sapere positivo

Punto di partenza del positivismo, quale si configura nell’opera di Claude-Henri de Saint-Simon (1760-1825) e di Auguste Comte (1798-1857), è la consapevolezza della differenza strutturale che separa la società moderna dalle società del passato, e l’esigenza di favorire, mediante il suo “completamento”, la riorganizzazione della società europea uscita dalla rivoluzione. L’assetto sociale su cui il mondo europeo si era retto per secoli è stato sconvolto dalla rivoluzione, ma ancor più dallo sviluppo economico; e se la prima ha avuto soprattutto conseguenze negative, recando a termine il processo di dissoluzione dell’antico regime, il secondo ha fatto sì che la società venisse organizzandosi su nuove basi, e in vista di un fine comune, la produzione e il lavoro produttivo. Le classi improduttive hanno perduto la posizione che occupavano in virtù del ruolo esercitato in un lontano passato, e al loro posto si è affermata una nuova classe, quella degli “industriali”. Anche se Saint-Simon e Comte attribuiscono al termine “industria” un significato assai esteso, comprensivo della produzione agricola e del commercio, e sotto la designazione di “industriali” abbracciano tanto gli imprenditori capitalistici quanto i lavoratori, non c’è dubbio che la loro analisi coglie la portata epocale del processo di industrializzazione in atto a partire dalla metà del Settecento (rivoluzione industriale). Non meno marcato è il rilievo che in questa analisi assume il rapporto tra scienza, produzione e benessere dei membri della società: lo sviluppo del sapere positivo accompagna – e, per Comte, condiziona – il progresso delle tecniche produttive, e quindi dell’industria. A questa interpretazione della società moderna come società industriale si accompagna, nel positivismo dell’età della Restaurazione, l’intento di contribuire al suo “completamento”. Sia Saint-Simon che Comte sono consapevoli del ritardo della Francia, e in generale dei paesi continentali, rispetto alla situazione inglese: essi formulano perciò un programma di “riorganizzazione” della società che prevede il trasferimento del potere temporale agli imprenditori capitalistici – sotto l’egida della monarchia borbonica restaurata – e del potere spirituale agli scienziati. La società industriale assume così una dimensione utopica, configurandosi come la forma di organizzazione definitiva della società. Veniva così a delinearsi uno schema di sviluppo della società articolato nei tre momenti dell’organizzazione, della disorganizzazione e della riorganizzazione, coincidenti rispettivamente con l’antico sistema sociale, con la critica ai suoi fondamenti e con il nuovo sistema sociale fondato sull’industria. Per Saint-Simon, come per Comte (che fu suo segretario negli anni dal 1817 al 1824, collaborando alla stesura di parecchi suoi scritti), le società del passato hanno avuto come fine la conquista, e si sono quindi organizzate militarmente sotto la guida della classe feudale; d’altra parte esse hanno trovato la legittimazione del proprio assetto in un insieme di credenze, di cui era portatrice la classe sacerdotale, il clero cattolico. L’antico sistema era, di conseguenza, un sistema militare (o feudale) sotto il profilo temporale, teologico per quanto riguarda invece il potere spirituale. La società moderna appare invece organizzata in vista del lavoro produttivo; in essa il potere temporale è nelle mani della classe che dirige la produzione, la classe degli “industriali” (nel senso lato che abbiamo visto), mentre il potere spirituale è passato agli scienziati. Il nuovo sistema è quindi un sistema industriale e positivo. Tra l’uno e l’altro si colloca una fase storica contrassegnata dalla progressiva distruzione delle basi sociali dell’antico sistema e delle credenze su cui esso riposava, vale a dire un’epoca “critica”. Comte ha generalizzato questo schema di sviluppo attribuendo all’antico e al nuovo sistema sociale un carattere organico, e al sistema “intermedio” una funzione dissolvitrice, e quindi sostanzialmente negativa. Egli traeva dai teorici della Restaurazione – soprattutto da Louis de Bonald e da Joseph de Maistre – la visione dell’antico regime come di una società organica, poggiante su un sistema di credenze da tutti condiviso, cioè sulla fede cristiana. Questa società è entrata in crisi con il declino della nobiltà feudale, ma soprattutto con la Riforma e con la cultura dell’Illuminismo : la fase della sua dissoluzione ha infatti visto il predominio dei giuristi e dei metafisici, che hanno eroso gli uni le basi del potere temporale, gli altri le basi del potere spirituale dell’antico sistema. Se comune è la diagnosi, differente è tuttavia la prospettiva. Comte, al pari di Saint-Simon, ritiene che la riorganizzazione della società non possa avvenire attraverso il ritorno al passato; e ciò proprio perché il sapere su cui l’antico sistema si fondava è stato soppiantato da una nuova forma di sapere, quello positivo. La società industriale è anch’essa organica, al pari di quella retta dal sistema militare e teologico, in quanto riposa su legami di solidarietà e su una salda gerarchia; ma il suo fondamento è del tutto diverso. Tale concezione dello sviluppo storico è stata espressa da Comte, fin dal 1822, nella legge dei tre stati: lo stato teologico, lo stato metafisico e lo stato positivo. Questo è il cammino percorso dall’umanità, ma è anche il cammino percorso dal sapere. L’uomo spiega i fenomeni facendo dapprima appello ad agenti soprannaturali, poi a entità metafisiche, infine osservando i fatti e traendone delle leggi che rendano possibile la previsione. Ma il passaggio al sapere positivo non avviene contemporaneamente per tutti i campi del sapere: esso si compie prima per le scienze che studiano fenomeni più semplici, più generali, più astratti e più distanti dall’uomo, mentre i fenomeni più complicati, più particolari, più concreti e più prossimi all’uomo risultano meno facilmente assoggettabili al metodo scientifico. Pertanto lo sviluppo delle scienze nell’età moderna ha seguito un ordine di successione che va dall’astronomia alla fisica, alla chimica, alla fisiologia (la matematica non è, per Comte, una scienza a sé, ma è lo strumento di tutte le scienze), mentre i fatti sociali devono ancora diventare oggetto di una scienza positiva autonoma: perciò Comte si impegna, in particolare, nella costruzione di quest’ultima, alla quale ha dato il nome di “fisica sociale” e poi di sociologia. Su questa base Comte ha delineato, nel Corso di filosofia positiva (1830-42), un’enciclopedia delle scienze, fondata sul presupposto dell’unità del metodo scientifico. La filosofia positiva non è altro, infatti, che il sistema delle scienze positive ricondotte a unità. Ogni scienza, quale che sia l’ambito di fenomeni che essa studia, procede dall’osservazione dei fatti, trae dall’osservazione delle leggi generali che consentono di prevedere gli eventi futuri, e questa previsione è, a sua volta, la premessa dell’azione: il sapere si propone, come già per Francesco Bacone, il dominio dell’uomo sulla natura, e ad esso Comte aggiunge la direzione scientifica della vita sociale. Quest’ultimo scopo viene perseguito attraverso la nuova scienza della società, articolata in una dottrina dell’ordine e in una dottrina del progresso, che costituiscono rispettivamente la statica e la dinamica sociale. Questa scienza era infatti destinata, agli occhi di Comte, a diventare la base di una politica anch’essa positiva, capace di conciliare l’ordine e il progresso e di garantire il consenso sociale, evitando il duplice opposto pericolo di una democrazia anarchica e di un’aristocrazia retrograda che Comte denunciava allo scoppio della rivoluzione del 1848. Soltanto l’instaurazione di un’autorità morale, fondata sulla politica positiva che solo il governo degli scienziati è in grado di assicurare, potrà eliminare l’antagonismo tra imprenditori capitalistici e lavoratori e sventare la minaccia incombente del comunismo. In tal modo la società industriale sarà completata, e l’umanità potrà continuare il proprio progresso nell’ambito di un sistema sociale definitivo. Come già Saint-Simon nel Nuovo Cristianesimo (1825), così anche Comte nel Discorso sull’insieme del positivismo (1848), nel Sistema di politica positiva (1851-54) e nel Catechismo positivista (1852) ha sviluppato il positivismo in senso religioso; e il suo approdo è stata una religione del “grande essere” identificato con l’umanità. Ma, mentre l’ideologia filantropica di Saint-Simon è diventata una componente del socialismo “utopistico”, la religione dell’umanità di Comte ha avuto scarsa eco al di fuori della cerchia dei suoi immediati seguaci. Anche l’utopia di una società industriale in grado di risolvere i conflitti sociali si è ben presto scontrata con la realtà della lotta di classe, e la visione “armonicistica” di Comte non ha retto il confronto con le concezioni della società che ne riconoscevano il carattere inevitabilmente conflittuale. Dopo la metà del secolo il positivismo si diffuse soprattutto in una forma riduttiva, che identificava la conoscenza con il sapere positivo; e in questa forma attraversò ben presto la Manica e varcò poi i confini francesi anche in direzione del mondo germanico e di quello latino. In Inghilterra esso si incontrò da un lato con la tradizione dell’empirismo inglese e dell’utilitarismo benthamiano, dall’altro con la teoria dell’evoluzione, sia con il lamarckismo sia soprattutto con il darwinismo (l’Origine delle specie è del 1859). Il risultato di questo incontro fu la sua divaricazione in un positivismo empiristico, che riprendeva il classico problema dell’induzione in vista di una giustificazione del metodo scientifico, e in un positivismo evoluzionistico, che riportava lo sviluppo storico al quadro dell’evoluzione cosmica. Questi due indirizzi del positivismo hanno trovato la loro espressione emblematica rispettivamente in John Stuart Mill (1806-1873) e in Herbert Spencer (1820-1903).

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2. Mill e Spencer

Il Sistema di logica deduttiva e induttiva (1843) di John Stuart Mill – uno dei testi fondamentali della filosofia dell’Ottocento – offre l’elaborazione più compiuta della teoria positivistica della scienza. Sullo sfondo sta il dibattito sul problema della formulazione delle ipotesi scientifiche e della loro verifica che si era sviluppato nella filosofia inglese a partire dagli anni Trenta, soprattutto a opera di John Herschel, William Whewell e poi di William Hamilton, e nel quale l’eredità empiristica si combinava con quella della scuola scozzese del “senso comune” e con la ricezione del criticismo kantiano. Fedele ai presupposti dell’empirismo, Mill scorgeva nell’induzione la base del metodo scientifico e si proponeva di giustificarne la validità. Anche le leggi scientifiche hanno origine dall’esperienza, e non sono altro che generalizzazioni di dati empirici. Ma, dal momento che l’induzione non può mai esser completa (come aveva sostenuto già Aristotele), essa deve fondarsi sul principio dell’uniformità della natura, che permette appunto di trarre conclusioni di ordine generale dall’osservazione di un numero più o meno limitato di casi particolari. Anche questo principio è, a sua volta, il risultato di un’induzione: la scienza assume che i fenomeni naturali si verifichino in maniera uniforme sulla base dell’esperienza passata. La teoria dell’induzione trovava il suo completamento, nell’opera di Mill, in una dottrina della spiegazione di carattere deduttivo. La spiegazione di un fatto coincide con la sua deduzione da una legge, che a sua volta dev’essere riconducibile a leggi più generali. L’affermazione dell’origine empirica delle leggi si congiungeva in tal modo con un’interpretazione deduttivistica del procedimento di spiegazione che sarà largamente ripreso dall’epistemologia contemporanea. Su tutt’altra strada procedeva, nei decenni successivi, l’evoluzionismo spenceriano. Herbert Spencer concepiva la realtà come un processo evolutivo continuo e unilineare, contrassegnato da un passaggio graduale dall’omogeneo all’eterogeneo, cioè dal semplice al complesso – un processo che comporta una differenziazione crescente di struttura e di funzioni, ma anche una crescente integrazione tra le varie parti della struttura. E in questo processo egli distingueva, nei Primi principi (1862) e nella numerosa serie di “principi” delle singole discipline che ad essi seguirono, tre fasi: l’evoluzione inorganica, quella organica e quella superorganica. Lo sviluppo della società, che Comte aveva tenuto rigorosamente distinto da quello della vita biologica, veniva così ricondotto a un quadro cosmico: esso non è altro che la fase superiore di un processo che ha inizio da una nebulosa originaria. E tuttavia anche per Spencer l’evoluzione superorganica presenta, pur nell’analogia che egli istituisce tra società e organismo individuale, una sua specificità. La società non è infatti un tutto “concreto”, composto da parti fisicamente contigue, ma è un tutto “discreto”, i cui elementi costitutivi, ossia gli individui, possiedono un’esistenza indipendente. L’evoluzione superorganica è quindi caratterizzata non soltanto dalla tendenza alla divisione e alla specializzazione delle funzioni, ma anche dalla tendenza verso una crescente autonomia degli individui nei confronti del corpo sociale. Spencer poteva così riprendere la contrapposizione sansimoniana (e comtiana) tra società militari e società industriali facendola coincidere con quella tra società semplici e società composte, e ipotizzando l’avvento di un terzo tipo di società, nelle quali il sistema distributivo dovrà prevalere su quello produttivo, e il rapporto tra vita sociale e lavoro sarà rovesciato a favore della prima. Egli lasciava così cadere il modello di una società organica che Comte aveva tratto dai teorici della Restaurazione, e con esso anche il carattere definitivo che questi aveva attribuito alla società industriale. Se la sociologia comtiana sfociava nella proposta di una sociocrazia come l’unica forma di governo consona alle esigenze della società industriale, Spencer innestava sulla sociologia la visione liberale di una società nella quale la sfera dell’iniziativa individuale è destinata ad ampliarsi, e l’interferenza dello stato a ridursi progressivamente.

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3. La diffusione del positivismo

Il positivismo non fu affatto un fenomeno limitato all’ambito della filosofia, dove pur ebbe anche continuatori originali: Émile Littré e Claude Bernard in Francia, Thomas Huxley e Henry Sidgwich in Inghilterra, Karl Eugen Dühring, Ernst Haeckel, Ernst Laas in Germania, Roberto Ardigò in Italia – tanto per menzionare i nomi più importanti. Al contrario, il ruolo assegnato alla scienza e il rifiuto sia delle religioni positive che della metafisica fecero di esso la piattaforma condivisa degli scienziati ottocenteschi. Positivisti furono la maggior parte dei fisici, dei chimici, dei fisiologi, dei botanici, degli zoologi ottocenteschi. Anche la nascente psicologia scientifica ne fu profondamente influenzata, nonostante la negazione che Comte aveva pronunciato nei suoi confronti; e parimenti lo furono la psichiatria e la criminologia nell’impostazione che ad essa diede Cesare Lombroso. Ma, soprattutto, esso fornì un terreno fertile allo sviluppo delle scienze sociali. Se la scienza politica e l’economia politica si erano costituite già nel secolo precedente, la sociologia come scienza empirica della società nacque – insieme al termine stesso – a opera di Comte e di Spencer. E dopo il 1870 l’evoluzionismo britannico offrì la base per il sorgere di un’altra disciplina, l’antropologia, e per l’allargamento del concetto di cultura alle società primitive: basti menzionare Cultura primitiva di Edward Burnett Tylor (1871), la quale s’inscrive in un filone di ricerca che muove dagli studi di Henry Sumner Maine e che si sviluppa anche oltre Atlantico con l’opera di Lewis Henry Morgan. Già prima, però, esso si era affermato in ambito storiografico soprattutto a opera di Henry Thomas Buckle, di William Lecky e di Hippolyte Taine, autore della Storia della letteratura inglese (iniziata nel 1863) e de Le origini della Francia contemporanea (1879-94). Se Buckle concepì la ricerca storica come ricerca di leggi generali, che consentono di spiegare il processo storico non diversamente da come le altre scienze spiegano i fenomeni naturali, Taine affermava che la storia è “psicologia applicata”, e concepiva la civiltà come il prodotto di tre forze che sono rispettivamente la razza, l’ambiente e il momento. Gli avvenimenti storici potevano così essere riportati all’interazione tra il condizionamento della natura fisio-psicologica dell’uomo e quello dell’ambiente circostante, anche se il “momento” salvaguardava un margine di casualità. Così il positivismo ha segnato un’epoca della cultura europea, nella quale l’applicazione dei risultati del sapere scientifico sembrò aprire un periodo di benessere e di pacifica convivenza tra i popoli che doveva durare per sempre. L’ascesa del movimento operaio, portatore di un’ideologia fondata sulla lotta di classe, ma soprattutto i nuovi nazionalismi con le loro pretese espansive e dominatrici, ne segnarono il declino. E questo fu favorito, sul terreno filosofico, da quella che è stata chiamata la “reazione idealistica contro la scienza” e dall’affermarsi, allo scoppio della prima guerra mondiale (1914-18), di una ventata irrazionalistica che rinverdiva miti romantici. Anche la critica della scienza sviluppata verso fine secolo dall’empiriocriticismo agì, nonostante i propositi di autori come Ernst Mach e Richard Avenarius, in questa direzione. Dopo di allora i tentativi di risuscitare il positivismo saranno confinati al terreno epistemologico, senza riuscire a recuperare la capacità diffusiva che ne aveva fatto per mezzo secolo la koinè intellettuale della borghesia europea. [Pietro Rossi]

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