Movimento sociale italiano

Formazione politica di estrema destra, fondata il 26 dicembre 1946 da Giorgio Almirante (che ne fu il primo segretario) e Arturo Michelini e da altri ex membri della Repubblica Sociale Italiana. Ebbe fin dalle origini una doppia anima: da un lato raccolse e rappresentò le tendenze neofasciste, dall’altro si rivolse all’elettorato conservatore e reazionario, facendo concorrenza alla DC e proponendosi come vero baluardo contro il comunismo. Agitò con forza l’ideale del nazionalismo (per esempio in occasione della rivendicazione di Trieste all’Italia) e si presentò sovente come campione del tradizionalismo e tutore della civiltà cristiana e dei valori europei, contro la loro corruzione ad opera delle ideologie moderne, soprattutto del marxismo. Fu sempre in prima fila nella lotta per difendere i valori tradizionali, battendosi, per esempio, contro la legalizzazione del divorzio e dell’aborto negli anni Settanta e Ottanta. Nelle elezioni amministrative del 1947 e nelle politiche del 1948, pur ereditando l’elettorato del fronte qualunquista, non superò il 2% dei suffragi. Negli anni Cinquanta assorbì parte dei voti in fuga dalla DC, che con il cauto riformismo inaugurato dai governi De Gasperi aveva scontentato l’elettorato conservatore. Grazie ai successi elettorali nelle amministrative del 1951, entrò in numerosi governi locali, soprattutto del sud, anche in città importanti come Napoli, Bari, Lecce e Salerno. All’interno del partito ci fu un’intensa dialettica di posizioni tra il puro conservatorismo di De Marsanich (segretario dal 1950) e Michelini (segretario dal 1954) e il corporativismo di Almirante, tra la nostalgia della Repubblica Sociale di Massi e Spampanato e l’esasperato nazionalismo di Rauti e Romualdi. La segreteria di Michelini (1954-59) vide emergere l’anima legalitaria del partito, che dedicò particolare attenzione all’elettorato benpensante di destra e cercò un rapporto costruttivo con la DC, al fine di avvicinarsi all’area di governo. In quegli anni il MSI strinse un’alleanza elettorale (1955) con il Partito nazionale monarchico e appoggiò dall’esterno i governi Zoli (1957), Segni (1959) e Tambroni (1960). L’appoggio determinante del MSI al governo Tambroni, in un periodo in cui stava maturando il passaggio dalla fase del centrismo al centrosinistra, provocò nel paese una forte reazione, che si manifestò in grandi proteste antifasciste quando fu autorizzato lo svolgimento del congresso missino nella città di Genova, medaglia d’oro per la Resistenza. Negli anni Sessanta le attese nei confronti del centrosinistra provocarono un periodo di stagnazione per i partiti di destra, che ripresero vitalità verso la fine del decennio, quando la nuova formula deluse le aspettative e i movimenti di contestazione destarono preoccupazioni nelle classi sociali conservatrici. Si ebbe così il buon risultato del 1972, quando il MSI, nel quale era confluito il PDIUM, sulla scia della richiesta di ordine e restaurazione ottenne l’8,7% dei voti. In seguito alla fusione con il PDIUM, il partito ampliò il proprio nome, che divenne Movimento sociale italiano – Destra nazionale. La nuova segreteria di Giorgio Almirante (1969-87) portò all’affermazione della politica del “doppio binario”: da un lato rispettabilità parlamentare, per attrarre l’elettorato conservatore benpensante, dall’altro legami con i gruppi squadristi ed eversivi (neofascismo), in forte aumento a partire dal 1968. Nel MSI era confluito, nel 1969, il gruppo eversivo “Ordine Nuovo”, il cui dirigente, Pino Rauti, fu incriminato, ma poi scagionato, per la strage di Piazza Fontana. I gruppi eversivi – tra i quali si possono ricordare, oltre a “Ordine Nuovo” (sciolto nel 1973 per ricostituzione del partito fascista), anche “Avanguardia nazionale”, il “Fronte nazionale” di Valerio Borghese (autore di un complotto contro lo stato nel 1970) e “Rosa dei Venti” – sostenevano un’interpretazione “spirituale” del fascismo come scelta di vita, ideale morale di rigorosa disciplina e dedizione assoluta, e non esitavano a ricorrere alla violenza contro il “nemico rosso” o a cospirare per realizzare colpi di stato. Nel 1976 attivisti missini giunsero ad uccidere un giovane a Sezze Romano, durante un comizio del deputato del partito Franco Saccucci. La forza dei gruppi neofascisti eversivi aumentò anche per il fallimento del tentativo, compiuto più volte dal MSI dagli anni della vicenda Tambroni, di avvicinarsi all’area di governo. La pregiudiziale antifascista, infatti, impedì sempre agli altri partiti di andare al di là di un uso strumentale dei voti missini per l’elezione di qualche presidente della repubblica o capo del governo. La sua diffusa componente violenta non impedì al MSI di presentarsi spesso come partito d’ordine, per esempio appoggiando la legge Reale sull’ordine pubblico nel 1975. Nel 1977 dal MSI uscì la corrente più moderata, che fondò il gruppo Democrazia nazionale, guidato dal Pietro Cerullo. La nuova formazione ebbe vita breve: presentatasi autonomamente alle elezioni del 1979, non ebbe successo e si sciolse. Nel 1987, poco prima della morte di Almirante la segreteria del partito passò al suo pupillo Gianfranco Fini, ex segretario del Fronte della Gioventù. Dopo la breve parentesi della segreteria Rauti (1990-91), che aveva tentato inutilmente di inserire il MSI nel vuoto lasciato a sinistra dalla crisi del comunismo, proponendo il neofascismo come alternativa al capitalismo, la guida del partito tornò stabilmente nelle mani di Fini. La nuova leadership orientò il MSI negli anni Novanta verso una trasformazione che lo rendesse il punto di riferimento per l’elettorato conservatore dopo la crisi della DC e dei partiti di centro. Nel 1993 il MSI (uno dei pochi partiti non coinvolti negli scandali di Tangentopoli) riuscì ad attrarre larghe fasce dell’elettorato, soprattutto nel centro-sud, sui propri candidati alle prime amministrative con il sistema maggioritario: a Roma e a Napoli i due candidati missini, rispettivamente lo stesso Fini e Alessandra Mussolini (nipote di Benito), giunsero al ballottaggio e furono sconfitti di misura dai candidati progressisti. Mettendo in secondo piano l’anima fascista del partito, Fini si fece paladino delle riforme istituzionali e della fondazione di una “seconda repubblica” in Italia, con caratteristiche presidenzialistiche. Sciogliendo il MSI diede quindi vita, nel 1994, ad Alleanza Nazionale, che alle prime politiche con sistema maggioritario si presentò, nel centro-sud, nel Polo del buongoverno con Forza Italia di Silvio Berlusconi, il Centro cristiano democratico di Mastella e Casini e l’Unione di centro liberale. Al nord si presentò come lista autonoma. Alleanza nazionale, con i poli delle destre, fu una delle grandi vincitrici della competizione elettorale: ottenne 43 senatori e 105 deputati con il 13,5% dei voti. Per la prima volta nella storia della repubblica italiana, un partito di estrema destra riuscì a entrare nella maggioranza governativa. Dopo lo scioglimento formale del MSI nel gennaio del 1995, una componente minoritaria, facente capo a Pino Rauti, rifiutò di confluire in Alleanza nazionale e diede vita a una formazione autonoma, il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore.
Pur presentandosi regolarmente alle successive elezioni in coalizione col centro-destra, la nuova formazione non riuscì mai a ottenere risultati significativi.