americanismo

Modello culturale imposto all’Europa dalla crescente influenza politica, economica e culturale degli Stati Uniti dopo le due guerre mondiali (soprattutto la seconda).

Fino all’inizio del Novecento il termine indicava una corrente religiosa statunitense che sosteneva la necessità di mutare la dottrina cattolica per favorirne l’adattamento alla società industriale, e che fu condannata dalla Chiesa. Ma già prima del 1914 si diffuse in Europa una concezione prevalentemente negativa di quelli che si ritenevano i tratti specifici della nascente potenza mondiale americana: la standardizzazione della produzione e del consumo (produzione in massa e di qualità medio-bassa), la massificazione della società e della politica (una democrazia amorfa di uguali, seguace degli istinti e non della ragione), nonché della cultura (impossibilità di una cultura di élite, cultura come industria, predominio del “materialismo”). Tra le due guerre questa visione si consolidò, benché emergesse anche la tendenza a giudicare positivamente la civiltà americana; significativa la riflessione di A. Gramsci su “Americanismo e fordismo”.

Dopo il 1945, con il totale predominio degli USA su un’Europa prostrata, il concetto si è diffuso e dispiegato in tutte le sue sfumature, riflettendo le posizioni opposte dei fautori e dei critici dell’egemonia americana, riassunte nel mito del paese dinamico e democratico, e in quello del culto del profitto e dell’imperialismo culturale e politico. Anche all’indomani della guerra fredda, la contrapposizione tra sostenitori e denigratori del modello americano nelle sue diverse declinazioni politiche, economiche e culturali, anziché andare incontro a un progressivo esaurimento, conobbe momenti di estrema intensità come, per esempio, in concomitanza con lo scoppio della seconda guerra del Golfo (2003) e con l’emergere a livello internazionale di un movimento d’opinione fortemente orientato in senso antiamericano.