hittiti

Antico popolo indoeuropeo, il più importante fra i cosiddetti popoli dei monti (di cui facevano parte anche mitanni e cassiti), fu presente nella zona anatolica fin dalla metà del III millennio a.C. e divenne, a partire dal 1650 circa, la potenza egemone di una vastissima area geografica mediorientale. Raggiunse il culmine del suo sviluppo fra il 1400 e il 1200 a.C., quando il suo impero abbracciava la zona compresa fra il Mediterraneo e il Mar Nero, l’alto corso del Tigri e le sorgenti dell’Oronte.

  1. Caratteristiche della civiltà hittita: economia, società e cultura
  2. Le principali tappe storiche: dall’antico regno all’“età oscura”
  3. Il nuovo regno dall’apogeo al crollo (1400-1200 circa a.C.)
  4. Gli stati neo-hittiti
1. Caratteristiche della civiltà hittita: economia, società e cultura

Insediatisi originariamente nell’altopiano centro-anatolico, gli hittiti poterono fruire di una relativa abbondanza di materie prime (dal legname a metalli quali il rame e l’argento); praticarono, a seconda delle zone, l’agricoltura (soprattutto la cerealicoltura, ma anche la coltivazione della vite e dell’ulivo) e l’allevamento (caprino e ovino); nelle città, intorno ai palazzi e ai templi, si organizzarono categorie artigianali e mercantili. Queste ultime, insieme ai guerrieri e agli amministratori, dipendevano direttamente dal sovrano, che li ricompensava per i servizi prestati con un lotto di terra; i contadini liberi invece si raccoglievano in comunità di villaggio (a capo delle quali era posto un “sindaco” e un “collegio di anziani”) ed erano tenuti al pagamento di un canone oltre alla prestazione di una sorta di corvées (luzzi). Sul piano politico, il potere del gran re (tabarna) era assoluto, ma la monarchia hittita fu sempre caratterizzata da una forte instabilità (soprattutto a causa di violente lotte per la successione); lasciò sussistere organi collegiali quali il pankus (l’assemblea generale) e il tuliyas (una sorta di tribunale); riconobbe pari dignità alla figura della regina (tawananna) nell’ambito di una coppia regale che, a differenza di quanto avvenne per altre monarchie coeve, non venne mai divinizzata. La forma di controllo politico adottata dai sovrani hittiti sia in campo interno sia nei rapporti con gli altri stati fu di tipo “feudale” e si imperniava sul giuramento di fedeltà da parte del sottoposto (nobile o re di un organismo politico minore) in cambio di alcune concessioni e della protezione da parte del sovrano. La politica matrimoniale rientrava a sua volta nel sistema di governo e sanciva o rinsaldava alleanze costituite di solito fra il gran re e i sovrani di piccole entità statali a lui sottoposti con vincolo di tipo vassallatico (il matrimonio fra la figlia di Khattushili III e Ramesse II, stipulato su base paritetica, rappresenta un’eccezione rispetto alla prassi generale). Le istituzioni ebbero sempre un carattere relativamente decentrato, la burocrazia aveva scarso peso e il vertice stesso del potere, il gran re hittita, si sentiva in dovere di ricercare una propria legittimazione attraverso l’eroismo nelle operazioni militari e un comportamento ispirato a criteri di giustizia. La guerra in particolare, con tutto il complesso rituale che l’accompagnava, forniva l’occasione per dimostrare il favore divino di cui godeva il gran re e la legittimazione del suo ruolo, in una società nella quale le operazioni di conquista furono una costante e l’esercito (in cui primeggiavano la fanteria e i carri) era l’elemento essenziale dell’espansione. Accanto alla guerra la storiografia – nella forma di narrazione annalistica delle “gesta” del sovrano – fornì un ulteriore supporto alla legittimazione del potere. La religione infine, che come la cultura hittita nel suo complesso fu caratterizzata da un forte sincretismo, contribuì a indicare nel sovrano il punto di riferimento unificante di una serie di apporti diversi. Il sincretismo della cultura hittita è particolarmente evidente nella corrispondenza fra la triade delle maggiori divinità hittite (la divinità solare di Arinna, il dio della tempesta di Khatti e quello analogo di Nerikka) e quella hurrita (costituita da Khebat, Teshub e Sharruma). La cultura hittita si espresse attraverso la scrittura cuneiforme e, nei contesti più solenni, in quella geroglifica.

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2. Le principali tappe storiche: dall’antico regno all’“età oscura”

Divisi in un primo tempo fra una molteplicità di città stato caratterizzate da una forte conflittualità reciproca, con i regni di Khattushili I e di Murshili I gli hittiti portarono a termine tra il 1650 e il 1600 a.C. un processo di unificazione che era già incominciato precedentemente, ma che non possiamo ricostruire con certezza prima di allora. Con Khattushili la capitale hittita venne trasferita da Nesha a Khattusha, roccaforte posta nella zona settentrionale del regno di Khatti, in posizione dominante rispetto all’altopiano anatolico e tale da consentire un più incisivo controllo del confine settentrionale. In questa fase si costituì l’antico regno hittita i cui confini arrivavano a nord al Mar Nero, a sud-ovest alla piana di Konya e a sud-est alla catena del Tauro. Il successore di Khattushili, Murshili I, conquistò parte della Siria e giunse a saccheggiare la stessa Babilonia, dove rovesciò la dinastia amorrita (anche se era al di là delle sue possibilità tenere l’antica capitale della Mesopotamia, che passò poi sotto il controllo dei cassiti). Già dopo la morte di Murshili, però, la situazione dell’antico regno precipitò rapidamente, per cause interne ed esterne. Fra le prime vi furono in primo luogo le divisioni in seno alla classe dirigente e soprattutto alla corte, una costante della storia hittita dopo l’unificazione (e che sono da leggersi come una proiezione, negli ambienti regali, delle precedenti divisioni politiche fra le varie città stato). Logoratisi in lotte fratricide scatenate quasi sempre dal problema della successione, i sovrani che si insediarono sul trono di Murshili I persero, nel corso del XVI e del XV secolo a.C., tutte le acquisizioni territoriali realizzate fra il 1650 e il 1600 a.C. al di là dell’Anatolia centrale. Essi non poterono dunque opporsi al consolidarsi, ai loro confini, di avversari potenti (soprattutto il regno di Mitanni nell’alta Mesopotamia), mentre le tribù dei kaskei dal nord intensificavano le loro puntate negli stessi territori del regno di Khatti. L’antico regno precipitò così in una “età oscura” – il cosiddetto medio regno hittita – che raggiunse probabilmente il momento di massima crisi nella seconda metà del XVI secolo a. C, ma che, anche dopo l’“editto” di Telipinu e la sua “riforma” dei meccanismi di successione al trono, perdurò ancora almeno per tutta la prima metà del XV secolo a.C. Questa fase conobbe una temporanea ripresa intorno al 1450 a.C., quando Tudkhaliya II e il suo successore Arnuwanda I rilanciarono, sul piano politico e militare, il ruolo dello stato hittita nel contesto mediorientale, avviando anche un’importante opera di riorganizzazione interna. Ma alla fine del XV secolo a.C. il regno hittita fu nuovamente sottoposto a una serie di pressioni esterne e fu ridotto alla sola area anatolica centrale.

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3. Il nuovo regno dall’apogeo al crollo (1400-1200 circa a.C.)

Con l’ascesa al trono di Shuppiluliuma I, il cui lungo regno cadde nella prima metà del XIV secolo a.C., il paese di Khatti riprese ed estese, con la conquista dei regni di Khayasha, di Kizzuwatna e soprattutto di quello di Mitanni, il suo ruolo egemone nell’area mediorientale. Il grande sovrano inaugurò il nuovo regno con la costituzione di un vero e proprio impero comprendente gran parte dell’Anatolia ed esteso a sud fino alle sorgenti del fiume Oronte e al Libano: una grande compagine multietnica che i successori si limitarono poi a consolidare e difendere più che a ingrandire ulteriormente. Già il figlio di Shuppiluliuma, Murshili II, non appena salito al trono si trovò a dover fronteggiare una difficile situazione interna, dovuta al dilagare della pestilenza in un paese stremato dalle guerre e alla sollevazione generale dei paesi di recente conquista. Pur riuscendo a sedare la rivolta e a estendere ancora il controllo hittita sul regno di Arzawa, nell’Anatolia occidentale, si incominciò a evidenziare allora, per poi accentuarsi con il successore di Murshili II, Muwatalli, una dicotomia fra l’area settentrionale, continuamente minacciata o addirittura fuori dal controllo del potere centrale, e quella meridionale del grande impero. Muwatalli dovette anzi riconoscere questa situazione e accettare di fatto una sorta di spartizione dell’impero con il fratello (il futuro Khattushili III), al quale venne affidato il governo del “paese alto” e il compito di consolidare la frontiera con i kaskei, mentre egli stesso si trovò a fronteggiare, nell’area meridionale, il nuovo espansionismo egiziano e assiro. La battaglia di Qadesh – che vide opporsi intorno al 1274 a.C. gli eserciti di Muwatalli e quelli di Ramesse II e che venne significativamente presentata dalle due storiografie ufficiali come una vittoria hittita o egiziana – segnò in effetti l’arresto dell’offensiva condotta in Siria dai faraoni della XIX dinastia e comportò un definitivo riconoscimento, da parte delle due potenze, delle rispettive sfere di influenza in un’area sulla quale si stava ora profilando anche la nuova minaccia dell’espansionismo assiro. Alla morte di Muwatalli si aprì comunque un’ennesima crisi dinastica, risoltasi con la presa del potere da parte del fratello di questi Khattushili III, al cui nome fu legato il trattato di pace e amicizia stipulato fra l’impero hittita e l’Egitto. Gli anni seguenti, nonostante il successo di alcune operazioni quali la conquista di Cipro da parte del sovrano Shuppiluliuma II (1205-1195 circa a.C.), registrarono nel complesso un peggioramento della situazione interna e un ridimensionamento del prestigio dell’impero hittita sul piano internazionale. Lo scontro con gli assiri determinò infatti la perdita di alcuni territori (in particolare di Khanigalbat), mentre l’area siriana sfuggì al controllo del potere centrale per raccogliersi intorno alla città di Karkemish, che divenne in seguito il nuovo polo di riorganizzazione, su base regionale, del mondo hittita dopo il crollo dell’impero. Rapido fu anche il deterioramento della situazione politica e socioeconomica durante il regno di Tudkhaliya IV (1260-25 circa a.C.), di Arnuwanda III (1225-1205 circa a.C.) e dell’ultimo sovrano, Shuppiluliuma II. Il sistema vassallatico non riuscì più a garantire la fedeltà dei rapporti personali fra il re e i grandi del regno; il tasso di natalità diminuì contribuendo allo spopolamento di intere aree, soprattutto quelle più interne; l’agricoltura conobbe anni particolarmente difficili, che comportarono la fine della tradizionale organizzazione per comunità di villaggi e la rovina per molti contadini. A questo contesto di grave crisi si sovrappose poi, all’inizio del XII secolo, l’invasione dei cosiddetti popoli del mare, che travolsero la resistenza organizzata nell’Anatolia settentrionale e dilagarono verso sud sguarnendo le difese hittite e aprendo la strada ad altri invasori, i frigi, i quali penetrarono a loro volta entro i confini, distrussero la capitale Khattusha e finirono poi con l’insediarsi nell’Anatolia centrale.

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4. Gli stati neo-hittiti

A partire dalla fine del XII secolo a.C., a seguito delle grandi migrazioni di popoli che interessarono il Medio Oriente, nella zona centrale della penisola anatolica si stanziarono i frigi, portatori di una cultura sostanzialmente diversa da quella precedente, mentre nell’area sud-orientale dell’ex impero hittita si costituirono dei nuovi piccoli stati che ne continuarono in qualche modo la tradizione culturale. Fra questi ultimi – dei quali ci restano documenti scritti in hittita geroglifico, oltre a significative costruzioni monumentali – il più rilevante fu quello di Karkemish. La principale ricchezza di cui disponevano gli stati neo-hittiti erano le miniere di argento e di ferro e il legname. A partire dalla fine del regno di Salmanassar III, nel decennio compreso fra l’840 e l’830 a.C., le mire espansionistiche assire si volsero anche contro questi organismi politici, che dapprima passarono allo status di tributari e quindi, dopo la battaglia di Kishtan (743 a.C.) e soprattutto dopo l’intervento di Sargon II (fra il 717 e il 708 a.C.), vennero annessi direttamente all’impero assiro.

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