Carlo Alberto

(Torino 1798, † Oporto 1849). Re di Sardegna dal 1831 al 1849. Figlio di Carlo Emanuele, principe di Carignano, del ramo cadetto dei Savoia-Carignano, trascorse la giovinezza in Svizzera e poi in Francia: qui fu nominato da Napoleone conte e sottotenente dei Dragoni ed entrò in contatto con importanti esponenti del pensiero liberale. Alla caduta di Napoleone, nel 1814, rientrò in Piemonte alla corte sabauda di Vittorio Emanuele I, come erede al trono per l’assenza di una diretta discendenza maschile. A Torino entrò in contatto con esponenti di spicco dell’aristocrazia più illuminata, quali Giacinto Provana di Collegno, Santorre di Santarosa e Carlo Asinari di San Marzano, e manifestò la sua solidarietà, nel gennaio 1821, agli studenti feriti negli scontri con la polizia. Dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in seguito ai moti liberali del marzo 1821 e in assenza di Carlo Felice, allora a Modena, fu nominato reggente. Il 14 marzo 1821, memore dei suoi trascorsi liberali, concesse la costituzione secondo il modello spagnolo del 1812, condizionandone tuttavia l’applicazione all’approvazione del nuovo re, Carlo Felice, che invece lo sconfessò e gli ordinò di lasciare Torino per Novara. Mantenendo un atteggiamento ambiguo che in seguito pesò fortemente sulla sua immagine, egli ribadì allora l’appoggio agli insorti con la nomina di Santorre di Santarosa a ministro della Guerra (21 marzo), per recarsi subito dopo a Novara, dove l’esercito era pronto a intervenire per sedare il moto. Passò poi a Modena e a Firenze. Nel 1821 fu riconosciuto dal Congresso di Lubiana come legittimo erede al trono (contro la proposta di Carlo Felice di escluderlo a favore di Francesco IV di Modena). Nel 1822, sulla base degli accordi presi dalla Santa Alleanza al Congresso di Verona, combatté con l’esercito francese contro i liberali spagnoli insorti e si distinse nell’assedio della fortezza del Trocadero (1823). Salito al trono alla morte di Carlo Felice (1831), nel 1833-34 fece arrestare e giustiziare molti cospiratori mazziniani e carbonari, costringendo all’esilio lo stesso V. Gioberti. La sua politica interna fu allora improntata al rifiuto di qualsiasi concessione di carattere costituzionale, anche se attenta a perseguire un piano di razionalizzazione e ammodernamento dell’amministrazione. Nel 1831 permise la creazione di un Consiglio di Stato, che doveva affiancare il sovrano; abolì i vincoli feudali in Sardegna; promulgò un codice civile (1837), un codice penale (1840), e uno commerciale (1843), razionalizzando così la legislazione e dimostrando interesse per il progresso economico del regno. Con l’apertura, a partire dagli anni Quaranta, verso la Francia e l’Inghilterra iniziò ad avvicinarsi a importanti settori della borghesia liberale. Con papa Pio IX e il granduca di Toscana Leopoldo II pose le basi per la lega doganale italiana (1847). Nel 1848, seguendo l’esempio di Ferdinando II di Napoli e di Leopoldo II di Toscana, promulgò lo Statuto, la carta costituzionale che fu poi estesa al regno d’Italia (1861) e che rimase in vigore fino alla fine della seconda guerra mondiale. Le vicende legate alle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) lo indussero a dichiarare guerra all’Austria (24 marzo). Dopo le prime vittorie piemontesi a Pastrengo, Goito e Peschiera, il suo esercito fu però sconfitto a Custoza (23-25 luglio) ed egli fu costretto a chiedere l’armistizio, firmato dal generale Salasco (9 agosto 1848). Questa prima fase della prima guerra d’indipendenza fu aspramente criticata per il ritardo con cui fu avviata e per la sua conduzione. Il 20 marzo 1849 riprese le ostilità contro l’impero asburgico, partecipando direttamente alla battaglia decisiva combattuta a Novara (23 marzo 1849). Duramente sconfitto, abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II, che a Vignale trattò l’armistizio con il maresciallo Radetzky (26 marzo 1849).