Cambogia

Stato attuale dell’Asia sudorientale. Situato nella porzione meridionale della penisola indocinese, confina con il Vietnam, il Laos e la Thailandia. Tra il I e il VI secolo d.C. le regioni meridionali dell’attuale territorio della Cambogia (o Kampuchea) appartenevano al potente regno di Fu-Nan che, governato da una dinastia indù ed esteso su gran parte della penisola indocinese, aveva sviluppato una florida civiltà commerciale e marinara. Le origini storiche della nazione cambogiana risalgono al VI secolo, quando la popolazione khmer dei kambuja, al principio stanziata nel Laos meridionale e organizzata in uno stato vassallo, conquistò il Fu-Nan dando vita al regno di Chên-la. Fu imposta allora una dinastia che resse le sorti del paese fino al XIV secolo. Fondato da Srutavarman, lo stato cambogiano divenne la sede della civiltà khmer, che rimase fortemente esposta all’influenza indiana attraverso la ricezione dell’induismo e poi, a partire soprattutto dal XIII secolo, del buddhismo, che andarono a sovrapporsi alle tradizioni religiose e culturali locali. Dopo un primo periodo di splendore all’epoca del re Jayavarman I (651-81) e dopo la scissione in due stati rivali prodottasi tra il VII e l’VIII secolo, il regno raggiunse nuovamente l’unità politica con Jayavarman II (802-851). Estese quindi i suoi confini originari con l’annessione del regno di Champa, stabilì la capitale nella città di Angkor – fondata dal re Yasovarman I (889-900) – e conobbe un periodo di grande sviluppo culturale e politico, che durò fino al principio del XIII secolo. Dopo la morte del re Jayavarman VII nel 1218, ebbe inizio un lento processo di decadenza, segnato da discordie interne e da continui conflitti con gli stati confinanti che si risolsero in una progressiva erosione del territorio. Nel 1431, quando la stessa capitale Angkor fu conquistata dai siamesi, la corte fu costretta a ritirarsi nel sud del paese, presso la città di Phnom Penh, fondata nel 1434. Da allora il territorio cambogiano divenne definitivamente una terra di conquista per i popoli vicini, rischiando di essere assorbito politicamente nelle regioni del Siam (Thailandia) e dell’Annam (Vietnam). Alle pressioni contrapposte di vietnamiti e siamesi venne poi a sovrapporsi – fin dal principio del XVI secolo – la lenta penetrazione commerciale e politica degli europei: dapprima dei portoghesi e degli spagnoli, poi degli olandesi e infine dei francesi, che erano destinati a svolgere un ruolo di fondamentale importanza nella storia successiva del paese. La presenza dei francesi divenne decisiva intorno alla metà del XIX secolo, quando la Cambogia si era trasformata ormai anche formalmente in uno stato vassallo del Siam (1794) e del Vietnam (1806). Con l’obiettivo di consolidare le nuove prospettive che si erano venute aprendo in Cina con la seconda e la terza guerra dell’oppio (1856-60), la Francia diede inizio a una sistematica opera di penetrazione nella penisola indocinese: nel 1854 fornì il proprio sostegno, contro vietnamiti e siamesi, al re cambogiano Ang Duong; tra il 1862 e il 1867 riuscì a porre sotto il proprio controllo tutta la Cocincina; l’11 agosto 1863 firmò con il re Norodom I (1859-1904) il trattato di Udong, che poneva la Cambogia sotto il protettorato francese. Nel luglio del 1867, infine, il Siam rinunciò alle sue pretese sulla Cambogia, conservando peraltro il controllo di alcune province – e della vecchia capitale Angkor – che furono poi definitivamente riscattate nel marzo del 1907, di nuovo con la mediazione di Parigi. Dal 1887 fino al 1945 la Cambogia fu inglobata assieme al Vietnam e al Laos nell’Unione indocinese (o Indocina francese) e venne di fatto governata, a quasi tutti i livelli, da funzionari francesi. Durante la seconda guerra mondiale, approfittando della congiuntura favorevole che si era venuta a creare con l’occupazione tedesca della Francia, il Siam (che nel 1939 aveva preso il nome di Thailandia) conquistò nuovamente, dopo una serie di gravi incidenti di frontiera, le province occidentali della Cambogia. Il trattato di Tokyo – siglato nel maggio del 1941 con la mediazione del Giappone, che era interessato al controllo di basi strategiche nel sud-est asiatico – impose la cessione alla Thailandia di una consistente porzione di territorio al confine settentrionale. L’unità territoriale fu ristabilita al termine della guerra nel quadro di complesse trattative con la Francia – impegnata, a partire dal 1946, nella guerra d’Indocina – e sotto la pressione dei primi movimenti nazionalisti. In opposizione con l’ala più radicale del movimento indipendentista il re Norodom Sihanouk, salito al trono nel 1941, operò per un distacco progressivo dalla Francia, nella convinzione che in questo modo sarebbe stato più facile sottrarsi alla minaccia rappresentata dagli stati confinanti: nel 1947 trasformò il regno cambogiano in una monarchia costituzionale; nel 1949 riuscì a ottenere l’indipendenza parziale del paese, che fu riconosciuto come “stato associato” dell’Unione francese e integrato nella Federazione indocinese, la nuova struttura subentrata nel 1947 alla dissolta Unione indocinese; nel 1953 la Cambogia ottenne ancora il riconoscimento della piena indipendenza, che divenne tuttavia effettiva nel 1955, dopo che la conferenza di Ginevra del 1954 pose fine alla guerra d’Indocina, regolando la più complessa vicenda dei rapporti tra la Francia e il Vietnam e segnando al tempo stesso il passaggio della penisola indocinese nella zona di influenza statunitense. Nel marzo del 1955, dopo l’evacuazione di francesi e di vietminh e il venir meno della guerriglia che aveva coinvolto direttamente il territorio cambogiano, Sihanouk abdicò a favore del padre Norodom Suramarit e diede vita al partito Sangkum Reastr Niyum (Comunità socialista popolare) che vinse le elezioni generali di settembre. Nello stesso anno la Cambogia entrò a far parte dell’ONU. Al principio del 1956 fu elaborata e promulgata una nuova carta costituzionale che modificava in modo sostanziale la costituzione del 1947. Nel giugno del 1960, alla morte del padre, Sihanouk – che era risultato vincitore indiscusso alle elezioni politiche del 1958 – rifiutò il titolo di re e in seguito a un referendum divenne capo dello stato, mantenendo peraltro in vita la monarchia. Con l’appoggio della Comunità socialista popolare, egli mantenne il potere per un decennio, fino al 1970, perseguendo all’interno una politica di stampo socialista (ma nettamente anticomunista) e, all’esterno, una strategia di neutralità che gli consentì di usufruire degli aiuti economici degli Stati Uniti senza entrare in conflitto con la Cina comunista. A partire dal 1963, tuttavia, di fronte al crescente impegno degli americani nella regione – non solo in Vietnam, ma anche a favore della Thailandia – Sihanouk impresse una svolta alla propria politica estera, rinunciando agli aiuti economici statunitensi e schierandosi apertamente dalla parte dei vietcong. Questo nuovo orientamento, dettato in primo luogo dall’obiettivo di preservare le frontiere nazionali, gli procurò l’ostilità dell’ala più moderata e anticomunista della Comunità socialista popolare, che trovò il proprio uomo nel generale Lon Nol, un personaggio di spicco dei governi cambogiani della seconda metà degli anni Sessanta, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti. La Cambogia fu così coinvolta nella guerra del Vietnam e utilizzata come base d’appoggio dai nordvietnamiti. Nel marzo del 1970 Lon Nol, con l’aiuto degli Stati Uniti e delle truppe sudvietnamite, depose Sihanouk e fece nominare capo di stato Cheng Heng. Il paese fu bombardato e quindi invaso. Nell’ottobre fu proclamata la repubblica dei khmer della quale, nel marzo del 1972, fu eletto presidente lo stesso Lon Nol, che accentrò nelle sue mani tutti i poteri. Nel frattempo Sihanouk, rifugiatosi a Pechino, si mise a capo della sinistra nazionalista fondando il Fronte nazionale unito della Kampuchea e dando vita a un governo provvisorio di unità nazionale, che ottenne il riconoscimento del Vietnam del nord e della Cina. Nel paese la guerriglia fu condotta dai “khmer rossi” che, appoggiati da truppe nordvietnamite, riuscirono ad aver ragione, dopo cinque anni di combattimenti, del regime di Lon Nol, sempre più indebolito all’interno e costretto a reggersi con metodi autoritari su una popolazione ormai incline a riconoscersi nelle forze della guerriglia. Il 17 aprile del 1975 la capitale Phnom Penh cadde nelle mani del Fronte: fu proclamata la Repubblica democratica di Kampuchea, che nel gennaio del 1976 si diede una nuova costituzione. Dopo che Sihanouk ebbe rassegnato le dimissioni, fu eletto presidente Khieu Samphan e divenne capo del governo Pol Pot, che dominò la vita politica cambogiana fino al 1979. Sullo sfondo di una grave crisi economica, di uno scontro incessante tra le fazioni e di una situazione internazionale estremamente tesa, il nuovo regime perseguì un modello di sviluppo ispirato all’esperienza cinese e incentrato sul progetto di un socialismo radicalmente agrario e antiurbano. L’intera attività produttiva fu nazionalizzata e soggetta a una rigida pianificazione; fu chiuso ogni contatto con i mercati internazionali in una scelta di autarchia estrema; fu abolita la stessa moneta. I costi sociali e umani, oltre che economici, di questa politica, che assunse presto tratti apertamente terroristici, furono altissimi: furono attuati trasferimenti coatti di masse urbane nelle campagne, deportazioni in massa degli oppositori, veri e propri stermini di intellettuali e contadini e, ancora, radicali epurazioni dei quadri dirigenti e tecnici della società. In politica estera, all’appoggio della Cina fecero riscontro i contrasti con il Vietnam che, strettamente legato all’URSS e in profonda tensione con la Cina, nel 1978 invase il paese dopo diversi e sempre più gravi incidenti di frontiera. Nel gennaio del 1979 gli oppositori di Pol Pot, forti dell’appoggio diretto del Vietnam, misero fine al vecchio regime affidando il governo a Heng Samrin, che fu riconosciuto dai paesi del blocco socialista. Sorgeva così la Repubblica popolare della Kampuchea con un governo filovietnamita che ridusse alla clandestinità i khmer filocinesi. In questo quadro complesso, caratterizzato dall’occupazione straniera e dalle profonde divisioni del fronte di liberazione, si è venuta svolgendo la storia più recente dello stato cambogiano. All’indomani dell’insediamento del nuovo governo, i khmer rossi di Khieu Samphan e il Fronte di liberazione del popolo khmer, guidato da Sonn San, diedero vita a un violento movimento di guerriglia antivietnamita, che scosse in profondità la vita del paese. In opposizione a Heng Samrin, che fu legittimato come capo dello stato da nuove elezioni nel maggio del 1981 – lo stesso anno in cui fu varata una nuova costituzione – fu istituito nel 1982 un controgoverno guidato dal vecchio Sihanouk e da Sonn San. Nel medesimo tempo furono smantellate le rigide strutture politiche e burocratiche dell’epoca di Pol Pot e furono reintrodotte la proprietà privata e la libera iniziativa, con effetti positivi sulla bilancia commerciale. Anche il ritiro delle truppe vietnamite, annunciato da Hanoi nel 1985, non riuscì tuttavia a sciogliere le profonde tensioni interne e internazionali. Nel 1986 fu nominato capo del governo Hun Sen, che poté beneficiare della favorevole congiuntura internazionale prodotta dalle aperture della politica estera di Gorbacëv. Un’importante svolta si produsse con il nuovo corso dei rapporti cino-sovietici, che portò nel 1989 alla fine dell’occupazione della Cambogia da parte dei vietnamiti. Nello stesso anno alcuni emendamenti apportati alla costituzione posero fine al regime monopartitico. Ma in concomitanza con il ritiro vietnamita dal paese, riprese vigore la guerra civile: khmer rossi, seguaci di Sihanouk e fedeli di Sonn San scatenarono una nuova offensiva nel paese, occupando alcune porzioni di territorio al confine con la Thailandia. Hun Sen, per parte sua, accettò il controllo dell’ONU per una transizione della Cambogia alla democrazia (piano Evans). Il processo di transizione rimase tuttavia fortemente limitato: da un lato per il sotterraneo sostegno del Vietnam e della Cina alle due parti in lotta, e dall’altro per il timore di Hun Sen che il piano di pace potesse in qualche modo rafforzare i khmer. Nell’ottobre del 1991 i negoziati di Parigi tra il governo e le diverse fazioni della guerriglia fecero registrare qualche progresso con l’elaborazione di un articolato piano di pacificazione e di ricostruzione del paese, che pose all’ordine del giorno, per la primavera del 1993, libere elezioni politiche. La questione della ricostruzione economica fu anche al centro della conferenza di Tokyo sulla Cambogia del giugno 1992, che mostrò con grande chiarezza l’interesse nipponico per la regione. L’insieme di questi negoziati, peraltro, non risolse il problema del conflitto tra le diverse fazioni, che continuò a produrre gravi incidenti nel paese. Le elezioni del 1993, che videro l’affermazione del partito monarchico, portarono alla costituzione di un governo di coalizione guidato dal principe Norodom Ranariddh, figlio minore di Sihanouk, che fu affiancato nel ruolo di vicepremier dal leader del Partito del popolo Hun Sen. In quello stesso anno fu restaurata la monarchia. Il nuovo governo lanciò nel 1994 una vittoriosa offensiva contro i khmer rossi, ulteriormente indeboliti prima dall’emarginazione e poi dalla morte del loro leader Pol Pot nel 1998. Ma le tensioni tra il premier e il suo vice culminarono in un confronto armato tra i sostenitori delle parti opposte e nell’esilio del principe. Le elezioni del 1998, vinte da Hun Sen, portarono alla formazione di un governo di coalizione, con Ranariddh presidente dell’Assemblea. Alla fine di quell’anno si giunse alla resa dei khmer e da allora la situazione interna iniziò progressivamente a stabilizzarsi. Nel 2004 la Cambogia entrò nel WTO e cominciò ad attrarre investimenti stranieri e a diventare una meta turistica. Nello stesso anno Sihanouk abdicò in favore del figlio maggiore Norodom Sihamoni.