Vietnam

Stato attuale dell’Asia sudorientale. Occupa la porzione orientale della penisola indocinese. Confina a nord con la Cina e a ovest con la Cambogia e il Laos; a sud e a est si affaccia rispettivamente sul golfo del Siam e sul Mar Cinese meridionale.

  1. Dalle origini alla seconda guerra mondiale
  2. Dalla guerra di Indocina alla guerra del Vietnam
  3. Il Vietnam unificato
1. Dalle origini alla seconda guerra mondiale

L’attuale territorio del Vietnam – articolato nelle tre regioni del Tonchino, dell’Annam e della Cocincina – fu sede di un’antica civiltà che fin dall’età del bronzo, a metà circa del I millennio a.C., fiorì soprattutto in prossimità della fertile regione del delta del fiume Rosso. Questa civiltà di stampo aristocratico-feudale subì progressivamente l’influenza cinese. Nel 208 a.C. il regno di Hong-Bang fu conquistato da un generale proveniente da Canton che creò un dominio personale a cui fu dato il nome di Nam Viet (“paese del sud”). Nel 111 a.C. la dinastia Han conquistò questo regno che divenne una provincia della Cina. L’espansionismo cinese iniziò a interessare successivamente anche i territori meridionali dell’attuale Vietnam dove l’influenza indiana era stata particolarmente forte e si erano formati regni indù, il più importante dei quali fu quello di Champa, sorto nel II secolo d.C. La crisi politica dell’impero cinese che iniziò a profilarsi a partire dal III secolo favorì di fatto il consolidamento di una classe aristocratica locale che riuscì a mantenere il potere anche quando la regione del delta del fiume Rosso fu costituita in protettorato dell’Annam, nel VII secolo, in seguito alla restaurazione imperiale. L’aristocrazia annamita, espulsi i governatori cinesi, nel 939 proclamò l’indipendenza e iniziò una lenta penetrazione nei territori meridionali, poi continuata dalle successive dinastie dei Ly (1009-1225) e dei Tran (1225-1413) che sottomisero il regno di Champa. Nel XV secolo il nord del paese subì ancora per qualche anno la dominazione cinese dalla quale fu definitivamente liberato da Le Loi, fondatore della dinastia dei Le (1428-1788), che si proclamò imperatore stabilendo la sede imperiale a Dong-Kinh. La dinastia dei Le raggiunse la sua massima espansione con Thanh-tong, che governò dal 1460 al 1497 favorendo un periodo di stabilità politica e di sviluppo economico. Dall’inizio del XVI secolo, tuttavia, si manifestarono i primi segni di decadenza: il Vietnam divenne teatro di un’interminabile serie di lotte intestine culminate nella definitiva erosione del potere centrale e nell’ascesa delle due signorie dei Trinh e dei Nguyen. Nonostante l’instabile situazione interna, il processo di espansione verso il sud del paese continuò fino all’annessione della Cocincina tra XVII e XVIII secolo. Dal XVII secolo si erano stabiliti in Indocina i primi missionari cattolici francesi, che alimentarono nuove tensioni, provocando un’ondata di persecuzioni promossa dalla dinastia dei Le. I francesi assecondarono quindi la rivolta popolare modernizzatrice guidata dai fratelli Tay-son: essi riuscirono a rovesciare la dinastia dei Le nel 1788 ma, nella difficile congiuntura politica che seguì, finirono per appoggiare lo schieramento conservatore capeggiato dall’erede dei Nguyen, Nguyen-Anh. Nel 1802 Nguyen-Anh si proclamò imperatore con il nome di Gia-long e in un breve arco di tempo riuscì a unificare il Vietnam. Le ambizioni coloniali della Francia poterono far leva sulla nuova ondata di persecuzioni promossa dai successori di Gia-long, Mimh Mang e Tu-duc. La Francia di Napoleone III intervenne militarmente e conquistò la Cocincina, mentre negli stessi anni imponeva il proprio protettorato sulla Cambogia. Nel periodo immediatamente successivo i francesi iniziarono la penetrazione nei territori settentrionali del Vietnam, conquistando progressivamente l’Annam e il Tonchino, nonostante una forte resistenza nazionalista. Nel 1883 sulle due regioni fu istituito il protettorato francese. Quattro anni più tardi il Vietnam e la Cambogia andarono a formare l’Unione indocinese (o Indocina francese) a cui si sarebbe aggiunto nel 1893 anche il Laos. Autorità formale rimase quella dell’imperatore di Annam, il cui ruolo – puramente nominale – era di fatto contrastato dalla politica intransigente dei governatori francesi. Il regime coloniale francese mise in atto un sistema rigidamente poliziesco finalizzato a uno sfruttamento radicale delle risorse del paese. Fin dai primi anni della colonizzazione francese il Vietnam rispose all’oneroso fiscalismo e alle continue repressioni militari con varie forme di resistenza che impegnarono sia la popolazione rurale sia gli intellettuali schierati con i movimenti nazionalisti. Fra le due guerre la resistenza assunse forme più radicali: nel 1927 venne creato il Partito nazionale del Vietnam, che propugnava un’alleanza con la Cina di Chiang Kai-shek; questa organizzazione rimase però priva di un forte consenso di massa mentre andava rafforzandosi il fronte della sinistra che raccoglieva intorno a sé frange nazionaliste e rivoluzionarie. Nel 1931 sorse il Partito comunista indocinese guidato da Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi-minh, che ebbe un grande seguito soprattutto nelle regioni settentrionali del paese. Nel 1936, dopo una feroce repressione seguita a una serie di violente rivolte contadine, il Partito comunista indocinese fu legalizzato dal governo francese del Fronte popolare. Lo scoppio della seconda guerra mondiale indebolì la pressione coloniale della Francia e il governo di Vichy dovette accettare il fatto compiuto dell’intervento nipponico in Vietnam. I comunisti vietnamiti si schierarono al tempo stesso contro la politica coloniale francese e contro la presenza giapponese: Ho Chi-minh divenne il capo della resistenza e nel 1941 fondò il Vietminh, che guidò militarmente l’opposizione contro gli occupanti. Dopo aver costituito un governo provvisorio con sede a Hanoi, il 2 settembre del 1945 Ho Chi-minh proclamò l’indipendenza della repubblica democratica del Vietnam, procedendo alla formazione di un nuovo regime che riuscì a realizzare importanti riforme sociali.

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2. Dalla guerra di Indocina alla guerra del Vietnam

Nel frattempo, finita la guerra il Vietnam fu occupato a nord del 16° parallelo dalle truppe cinesi e a sud dalle forze britanniche. Intanto la Francia, che non intendeva rinunciare alla tradizionale politica coloniale in Indocina, aprì nuovamente le ostilità contro la repubblica democratica del Vietnam, riprendendo in breve tempo il pieno controllo del sud del Vietnam e costringendo Ho Chi-minh ad accettare un accordo, siglato nel marzo del 1946, che prevedeva l’indipendenza del Vietnam nel quadro della Federazione indocinese – subentrata alla vecchia Unione indocinese – e dell’Unione francese. Il negoziato fallì ben presto, ostacolato dalle iniziative della potenza europea tese a francesizzare di fatto il Vietnam e dalle richieste di un’integrale autonomia avanzate dagli estremisti del Vietminh. I violenti scontri scoppiati nel novembre del 1946 ad Haiphong e repressi nel sangue dalle truppe francesi segnarono l’inizio della guerra d’Indocina fra la Francia e il Vietminh, le cui forze militari furono guidate dal generale Giap. Nel 1949 i francesi tentarono di contrapporre all’autorità di Ho Chi-minh l’ex imperatore dell’Annam Bao Dai nella parte meridionale del Vietnam mentre la Cina popolare e l’Unione Sovietica riconoscevano il governo di Ho Chi-minh. La guerra si protrasse fino al 1954, quando il generale Giap sconfisse definitivamente i francesi a Dien Bien Phu il 7 maggio; già alla fine di aprile, peraltro, la guerra d’Indocina era stata oggetto di trattative internazionali a Ginevra, dove divenne del tutto evidente come il conflitto si inserisse ormai all’interno di dinamiche internazionali che trascendevano i confini della politica coloniale francese. Durante il conflitto gli Stati Uniti, che in un primo tempo si erano mostrati favorevoli alla politica nazionalista di Ho Chi-minh, incominciarono ad appoggiare apertamente la Francia, pur senza intervenire militarmente al fianco di Parigi. La rivoluzione cinese del 1949 aveva infatti dato un nuovo significato alla guerra di liberazione nazionale del Vietnam, che iniziò a essere interpretata dagli Stati Uniti come un riflesso dell’influenza comunista nell’area asiatica. Gli accordi di Ginevra, siglati il 21 luglio del 1954, videro la partecipazione, oltre che delle due parti in causa, della Cina, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica: essi sancirono l’indipendenza della Cambogia e del Laos, nei quali fu fatto divieto di installare basi militari; si lasciò invece in sospeso il problema dell’unificazione del Vietnam, che venne diviso in due zone lungo la linea del 17° parallelo: il nord, sotto il completo controllo della repubblica democratica di Ho Chi-minh, con sede a Hanoi, e il sud che rimase zona d’occupazione francese. Le elezioni del 1956 avrebbero dovuto portare alla riunificazione del Vietnam. Gli Stati Uniti non firmarono gli accordi e, con il consenso della Francia, instaurarono nel sud un regime anticomunista con sede a Saigon. Le elezioni previste dalla conferenza di Ginevra non ebbero mai luogo, mentre i contrasti fra nord e sud del paese si inasprirono ulteriormente in connessione con la crescente tensione internazionale nella regione. Nel nord il nuovo regime, con i cospicui aiuti della Cina e dell’Unione Sovietica, si sforzò di perseguire una politica di riforme economiche finalizzate alla collettivizzazione della proprietà e a una riforma agraria che permettesse lo sviluppo del paese; nel sud, la riforma agraria non apportò miglioramenti sostanziali nelle condizioni di vita della popolazione rurale e l’economia del paese finì per appoggiarsi sempre più agli interessi statunitensi; fu attuata nel contempo una rigida e capillare repressione anticomunista, che ebbe il suo campione nel cattolico Ngo Dinh Diem, eletto capo dello stato nell’agosto del 1955. Il suo regime oppressivo e corrotto finì per favorire la nascita di un ampio movimento rivoluzionario sotto l’egemonia dai comunisti e sostenuto da Hanoi, che andò sempre più rafforzandosi quando apparve evidente che il governo di Diem non avrebbe organizzato le elezioni previste dagli accordi di Ginevra. L’opposizione crescente alle direttive di Saigon si diede una struttura organizzata nel dicembre del 1960 con la creazione del Fronte nazionale di liberazione del Vietnam del sud che raccolse tutti i dissidenti genericamente definiti come Vietcong (comunisti vietnamiti). Il conflitto fece allora un ulteriore salto di qualità: cessò di essere limitato allo scontro fra i guerriglieri e le forze reazionarie sudvietnamite aiutate economicamente dagli Stati Uniti, per assumere nuove e più tragiche proporzioni. Il sud cominciò ad avvalersi in maniera sempre più massiccia di aiuti, armi e consiglieri americani; la presidenza di Kennedy aumentò la presenza americana da qualche migliaio di unità a trentamila uomini e insediò formalmente a Saigon un comando militare americano. Al tempo stesso si fece sempre più incontenibile l’opposizione contro Diem che, perso l’appoggio americano, fu destituito con un colpo di stato nel novembre del 1963. Le crescenti difficoltà politiche e militari di Saigon causarono continui colpi di stato mentre l’intervento americano, sotto la presidenza di Johnson, assunse dimensioni sempre più ampie (nel 1968 il contingente statunitense superava ormai le settecentomila unità). La gigantesca macchina bellica e l’avanzata tecnologia militare degli Stati Uniti non riuscirono tuttavia ad avere ragione della resistenza dei Vietcong, forti dei crescenti aiuti militari provenienti dalla Cina e dall’Unione Sovietica, dell’appoggio diretto delle truppe nordvietnamite e della collaborazione delle masse contadine. Il governo americano, dopo aver inutilmente tentato di limitare gli aiuti di Hanoi ai partigiani vietnamiti minacciando apertamente il Vietnam del nord qualora Ho Chi-minh non avesse rinunciato alla lotta, con la “risoluzione del Tonchino” (1964) – dietro il pretesto di un presunto attacco di corvette nordvietnamite alla flotta americana – diede inizio a massicci bombardamenti a nord del 17° parallelo. Nel 1966 bombardamenti indiscriminati colpirono Hanoi e il porto di Haiphong. L’escalation statunitense non ebbe però i risultati auspicati: nonostante l’impiego indiscriminato di sofisticate armi di sterminio, le forze congiunte dei Vietcong e dei nordvietnamiti non soltanto resistettero ma passarono all’attacco nel gennaio del 1968 (offensiva del Tet). Nel marzo del 1968 il presidente Johnson, sull’onda anche di una forte opposizione alla guerra nell’opinione pubblica americana e mondiale, decise la cessazione dei bombardamenti sul territorio settentrionale del Vietnam. A Parigi, il 10 maggio del 1968, si aprirono i colloqui preliminari per dibattere i termini di una possibile pace mentre continuavano gli scontri. Sotto la presidenza di Nixon, seppure in modo contraddittorio, si crearono le condizioni per un progressivo disimpegno degli Stati Uniti. Ma il piano progettato per rafforzare il Vietnam del sud e indebolire il Vietnam del nord si rivelò un fallimento. Nonostante le prime trattative diplomatiche, la guerra conobbe nuove atrocità e si estese nel 1970 anche alla Cambogia e al Laos, che furono invasi dagli americani per distruggere le basi militari di appoggio utilizzate dai comunisti vietnamiti; nel 1972 gli Stati Uniti intensificarono i bombardamenti sul Vietnam del nord in seguito a una nuova offensiva del Fronte che ancora una volta aveva evidenziato la debolezza del regime di Saigon retto da Nguyen Van Thieu. Nel gennaio del 1973 a Parigi ripresero le trattative fra Kissinger, principale artefice della politica estera di Nixon, e Le Duc To, plenipotenziario nordvietnamita. Gli accordi stabilirono il cessate il fuoco immediato, il ritiro delle forze americane, la formazione di un governo di coalizione nel sud e una serie di clausole che non ebbero mai applicazione. La guerra si protrasse tuttavia ancora per due anni, fino a quando il 30 aprile del 1975 i comunisti entrarono a Saigon e posero fine al regime di Van Thieu. Fu istituito un governo comunista e nell’aprile del 1976 fu eletta un’assemblea nazionale unica per il nord e per il sud. Il paese fu così unificato nella repubblica socialista del Vietnam, che fu ufficialmente proclamata il 2 luglio 1976 ed entrò a far parte dell’ONU nel settembre del 1977.

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3. Il Vietnam unificato

Hanoi divenne la capitale del nuovo stato che, saldamente controllato dal Partito comunista, mantenne fino al 1980 le istituzioni dell’ex Vietnam del nord e si allineò alla politica estera dell’Unione Sovietica entrando nel Comecon (1978). Nei primi anni della presidenza di Ton Duc Than (1976-80) e del governo di Pham Van Dong (1976-86) il processo di integrazione tra i due stati subì una brusca accelerazione che a partire dal 1978, insieme alle gravissime difficoltà poste dalla ricostruzione del paese e alla politica repressiva del nuovo regime, produsse un massiccio flusso di profughi verso la Cina e l’Occidente che suscitò un’enorme impressione sull’opinione pubblica mondiale. La situazione economica e politica della neonata repubblica fu ulteriormente aggravata dalla lunga e complessa vicenda della guerra con la Cambogia, che ebbe inizio, dopo numerosi incidenti di frontiera e la rottura delle relazioni diplomatiche (dicembre 1978), con l’invasione del paese e la conquista di Phnom Penh nel gennaio del 1979. In questo modo Hanoi contribuì in modo decisivo a porre fine al regime filocinese dei khmer rossi e di Pol Pot. La guerra vietnamita-cambogiana venne tuttavia a inserirsi nel quadro più ampio del contrasto cino-sovietico e provocò l’immediata reazione di Pechino che, tra il febbraio e il marzo del 1979, scatenò un’offensiva militare nelle province settentrionali del Vietnam, che comunque mantenne in Cambogia truppe d’occupazione per oltre un decennio. Nel dicembre del 1980, intanto, fu varata la nuova costituzione, che abbracciava ufficialmente il marxismo-leninismo, proclamava la dittatura del proletariato e definiva un regime di fatto monopartitico a favore del Partito comunista. L’anno successivo divenne presidente Truong Chinh (1981-86) che insieme al primo ministro Pham Van Dong e ai vertici del Partito comunista si adoperò per rimediare alla situazione di arretratezza cronica del paese rinsaldando ulteriormente – anche a questo scopo – i rapporti con l’Unione Sovietica. Nel 1985 furono introdotte alcune importanti riforme del sistema monetario e dei prezzi, che ebbero tuttavia l’unico effetto di aggravare il tasso di inflazione. In conseguenza di questo fallimento fu avviato, in occasione del VI congresso del Partito (dicembre 1986), un profondo rinnovamento della classe dirigente: al presidente Truong Chinh subentrò Vo Chi Cong e al vecchio premier Pham Van Dong il nuovo capo del governo Pham Hung (1987-88), a cui seguirono poi Do Muoi (1988-91) e dal 1991 Vo Van Kiet. Al tempo stesso i vertici politici vietnamiti posero fine nel 1989 all’occupazione della Cambogia, con il risultato che quest’ultima ripiombò nella guerra civile. Due anni più tardi, nel settembre del 1991, furono normalizzati anche i rapporti con la Cina. Nell’aprile 1992 – dopo la caduta dei regimi comunisti in Europa centro-orientale e la dissoluzione dell’Unione Sovietica – fu infine varata una nuova costituzione che, pur rinunciando al marxismo-leninismo e fornendo maggiori garanzie alla proprietà privata, continuò a riconoscere un ruolo politico privilegiato al Partito comunista. Una svolta importante coincise con il progressivo miglioramento dei rapporti con gli USA. Nel 1994 questi posero fine all’embargo in vigore da 18 anni e nel 1995 furono ristabilite normali relazioni diplomatiche tra i due paesi. In politica interna, una svolta altrettanto importante fu l’approvazione nel 1995 da parte dell’Assemblea nazionale di un codice civile che garantì la proprietà e l’iniziativa private e il diritto d’eredità. Il regime, sotto la guida del nuovo segretario del partito Le Kha Phieu, proseguì negli anni seguenti nella politica di apertura internazionale e di incoraggiamento alla penetrazione nel paese di imprese e investimenti esteri. Significativo anche il miglioramento delle relazioni con la Santa Sede, con la nomina di un arcivescovo nella città di Ho Chi Minh. Il regime però continuò a respingere ogni impulso alla democratizzazione del sistema politico. Nei primi anni Duemila, in seguito al crescente malessere popolare causato dalla perdurante stagnazione economica, Le Kha Phieu fu sostituito da Nong Duc Manh, che prese provvedimenti per combattere la corruzione dilagante e per integrare maggiormente il paese nell’economia globale. Seguì nel 2007 l’ingresso del Vietnam nel WTO. Nel gennaio del 2011 Nong Duc Manh si ritirò dalla scena e, al suo posto, fu nominato Nguyen Phu Trong.

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