La colonizzazione greca

Grecia antica Il tardo arcaismo

All’inizio del VI secolo a.C. in Attica venne a maturazione la crisi che investì la comunità aristocratica, cui invano aveva cercato di porre rimedio il legislatore Draconte. Ad Atene era allora al potere un regime politico strettamente oligarchico ed era assai acuto il conflitto tra i grandi proprietari di terra e i coltivatori, clienti o contadini obbligati a versare 1/6 del prodotto fornito dalla terra che lavoravano (hektémoroi); se questi risultavano morosi rispetto all’assolvimento della loro obbligazione, rischiavano di essere venduti schiavi fuori dell’Attica. Eletto arconte nel 594-93 a.C. o nel 592-91 a.C. e nominato “arbitro” delle parti sociali, il nobile Solone abolì la schiavitù per debiti, annullando tutte le obbligazioni esistenti. Sul piano politico confermò l’organizzazione in classi di censo operante nel sistema militare, aggiungendo forse quella dei pentacosiomedimni, cioè di coloro che avevano un raccolto annuo di cinquecento misure e oltre di frumento, di olio o di vino. Le cariche degli arconti e dei tesorieri rimasero appannaggio della prima classe e furono estese, per quanto riguarda gli arconti, anche alla seconda, quella dei cavalieri. Agli zeugiti (possessori di una coppia di buoi) fu confermato il servizio militare nell’esercito oplitico e ai teti (salariati) fu invece garantita la partecipazione all’assemblea e al tribunale del popolo. Forse a Solone va anche ascritta l’istituzione di un nuovo consiglio, quello dei Quattrocento (cento eletti per ciascuna delle quattro tribù gentilizie), accanto a quello tradizionale dell’Areopago, di cui venivano a far parte a vita gli ex arconti. Allontanatosi Solone dalla vita politica, ad Atene continuarono i disordini e le lotte sociali. In questo quadro si colloca, intorno alla metà del VI secolo, l’avvento alla tirannide di Pisistrato, che in una prima fase governò gli ateniesi senza sconvolgere le cariche e senza mutare le leggi, esercitando il potere sulla base delle istituzioni vigenti. Egli avviò lo sviluppo della piccola proprietà mediante l’istituzione di un credito fondiario e di un’imposta sul reddito con la quale sovvenzionò alcune opere della comunità, prima fra tutte una moderna flotta, creata in funzione di una politica estera di espansione, nonché della ricerca di punti di appoggio per le attività commerciali. Diede anche un notevole impulso allo sviluppo artigianale e commerciale e all’istituzione della moneta. In politica interna, l’istituzione delle Grandi Dionisie cittadine e la creazione di un corpo di giudici itineranti confermano l’attenzione di Pisistrato sia per la campagna, sia per la popolazione del centro abitato. Morto nel 528-27 a.C., gli succedette il figlio maggiore Ippia, che governò, sia pure con maggiore durezza, secondo le linee politiche del padre fino a quando il fratello Ipparco, che praticava uno splendido mecenatismo, fu assassinato dagli aristocratici Armodio e Aristogitone per motivi apparentemente privati (514-13 a.C.): trucidati da Ippia, i tirannicidi entrarono presto nella leggenda come restauratori della libertà. In realtà, l’improvviso fatto di sangue dimostrò che ad Atene l’instaurazione della tirannide non aveva cancellato l’opposizione aristocratica alimentata dagli Alcmeonidi. Questi, esuli probabilmente a seguito del terzo avvento di Pisistrato al potere (535-34 a.C.), si erano creati una base a Delfi, dove avevano assunto l’appalto della ricostruzione del tempio di Apollo incendiato di recente. Ma il loro rientro poté avvenire solo qualche anno dopo il tirannicidio e solo con l’aiuto di Sparta (511-10 a.C.). Si accese allora nuovamente un aspro conflitto tra gruppi aristocratici, guidati rispettivamente dall’alcmeonide Clistene e dal nobile Isagora figlio di Tisandro, con ogni probabilità fautore di un assetto oligarchico gradito a Sparta. Nel 508-507 a.C. l’esito della lotta per le elezioni alla suprema carica di arconte eponimo risultò favorevole a Isagora. Fu allora che Clistene cercò il favore dei ceti popolari ateniesi, promettendo un loro effettivo inserimento nel governo della polis; ma solo più tardi, una volta fuggito Isagora, Clistene poté portare a compimento le sue riforme democratiche in qualità di “guida e protettore del popolo”. Con l’intento di “amalgamare tutti i cittadini fra loro e sciogliere i legami preesistenti” (Aristotele), istituì una nuova organizzazione delle phylai su base territoriale, anziché familiare, e il loro numero fu aumentato da quattro a dieci. Ottenne ciò suddividendo territorialmente l’Attica in tre grandi zone – la città, l’entroterra e la costa – e organizzando al loro interno una nuova struttura di rapporti politici, impostati su base dieci, tra piccole comunità di villaggio preesistenti (i demi) e vecchi segmenti delle tribù gentilizie (le trittie). Fu fissato che ciascuna delle tribù fornisse alla falange un reggimento di opliti sotto la guida di uno stratego elettivo, nonché uno squadrone di cavalleria. Fu istituito inoltre un consiglio di Cinquecento cittadini, cinquanta da ciascuna delle nuove tribù, “forse il primo esempio di rappresentanza popolare su base proporzionale che la storia ricordi” (K.J. Beloch). Sembra pure che Clistene abbia introdotto l’ostracismo: nell’ottava pritania di ogni anno si dava la possibilità di scrivere sui cocci (óstraka) il nome del cittadino che fosse sospettato di aspirare alla tirannide; colui che aveva ricevuto il numero più alto di segnalazioni doveva andare in esilio per dieci anni, senza danno per le sue sostanze. Fu a partire dalle riforme di Clistene (508-507 a.C.) che s’instaurò ad Atene un regime popolare. Sparta intanto, dopo aver combattuto lunghe guerre coi popoli vicini (i messeni, gli argivi, gli elei e gli arcadi), non solo aveva ottenuto cospicue conquiste territoriali, ma aveva anche definito il suo ruolo egemonico nel Peloponneso mediante una serie di alleanze bilaterali, con la formazione della lega peloponnesiaca. Verso la fine del VI secolo dovevano farne parte non solo le città dell’Arcadia e del Peloponneso sud-orientale, ma anche quelle di Ermione ed Epidauro, insofferenti del predominio di Argo, e ancora Egina, Corinto e altre. Proprio da Sparta e da altri popoli, i cui regimi erano più o meno omologhi a quello spartano, non tardarono a farsi sentire violente reazioni al nuovo modello costituzionale instaurato ad Atene. Nel 506 a.C. beoti e calcidesi invasero l’Attica, ma furono respinti e sconfitti; poco dopo gli spartani si mostrarono pronti a restaurare ad Atene la tirannide, ma ne furono dissuasi dai corinzi. La democrazia attica riuscì a liberarsi del suo isolamento, ma ciò avvenne non solo grazie al valore dimostrato dal popolo ateniese contro i calcidesi e i beoti, ma anche grazie agli eventi di politica estera che di lì a poco unirono i greci contro i persiani.