Israele e i territori occupati

Israele Dalla “guerra dei Sei giorni” alla sconfitta laburista (1967-77)

Il terzo conflitto arabo-israeliano scoppiò nel giugno del 1967. Il mese precedente il presidente egiziano Nasser aveva voluto il ritiro delle forze dell’ONU dalla zona del Canale di Suez e il 22 maggio aveva decretato il blocco del golfo di Aqaba per le navi dirette verso Israele. A queste azioni lo stato ebraico rispose con il bombardamento, il 5 giugno, dei principali aeroporti arabi, mentre l’esercito, guidato da Moshe Dayan, occupava la striscia di Gaza, la Cisgiordania, l’alta Galilea, il Golan e tutta la penisola del Sinai. Nel giro di sei giorni (5-10 giugno) Israele giunse così a una vittoria militare schiacciante, che acuì di riflesso anche le tensioni fra le due superpotenze. Anche la parte orientale di Gerusalemme fu annessa unilateralmente dal governo israeliano e venne proclamata capitale dello stato, nonostante la condanna dell’ONU. Respinta sia da Israele sia dai paesi arabi e dall’OLP la risoluzione dell’ONU che prevedeva la restituzione dei territori occupati in cambio del riconoscimento di Israele, lo stato ebraico non riuscì anche in questo caso ad avviare un autentico processo di pace che gli consentisse di sfruttare completamente la sua vittoria militare. In mancanza di trattati di pace con i paesi arabi (che non poterono essere sottoscritti per il rifiuto di questi ultimi di riconoscere lo stato ebraico), Israele ignorò da parte sua la risoluzione dell’ONU per quanto riguardava la restituzione dei territori occupati, avviando anzi un processo di colonizzazione delle nuove terre. La progressiva creazione di insediamenti ebraici nelle zone occupate (per fronteggiare l’incremento della popolazione ebraica a seguito di nuovi afflussi provenienti dal Corno d’Africa e dal 1971 anche dall’URSS) e l’utilizzazione nello stesso territorio israeliano della popolazione araba delle zone occupate come manodopera non specializzata creò un rapporto di totale subalternità economica dei palestinesi, fomentando ulteriormente il loro spirito di rivalsa contro gli occupanti. Fu proprio dal 1968 che l’OLP radicalizzò la sua posizione e incominciò a minacciare direttamente la sicurezza di Israele. Le forti spese militari legate alla difesa e alla stessa occupazione dei territori conquistati nel 1967, le difficoltà economiche e finanziarie, l’isolamento del paese nell’area mediorientale e il venir meno dell’appoggio di paesi tradizionalmente alleati – quali la Francia – furono alcuni elementi che contribuirono a mettere in crisi il modello di sviluppo israeliano (che era ormai di tipo apertamente occidentale). Alla morte di Levi Eshkol (1969), il nuovo primo ministro Golda Meir del partito laburista (ex Mapai) scelse di proseguire sulla via della colonizzazione dei territori occupati e dell’intransigenza verso gli arabi, mentre in politica estera rafforzò ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti (anche per compensare i sempre più tiepidi rapporti con i paesi europei). La rigida politica israeliana trovò d’altra parte riscontro nei paesi vicini: in Egitto anche il successore di Nasser, Sadat, tentò in un primo tempo la via dello scontro armato con Israele. L’attacco congiunto sferrato dagli eserciti egiziano e siriano nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, il 6 ottobre 1973, venne respinto dalle forze israeliane, che nella loro controffensiva giunsero a minacciare la stessa capitale egiziana. La guerra mise però anche in luce la vulnerabilità di Israele sul piano militare e soprattutto la fragilità economica di un paese privo di materie prime di fronte alle enormi risorse petrolifere di cui disponevano i paesi arabi (che non a caso le usarono come arma di ricatto verso l’Occidente). Le elezioni del 1973 registrarono una flessione laburista e aprirono una grave crisi di governo. Solo nel maggio 1974 si riuscì a formare un governo, composto da laburisti e liberali indipendenti, sotto la guida di Itzhak Rabin e con Shimon Peres al ministero degli Esteri. Durato in carica sino alle elezioni anticipate del 1977, il governo Rabin riuscì a raggiungere un accordo con l’Egitto, che andava nel senso del rifiuto della forza come mezzo di soluzione del conflitto e comportava un lieve arretramento israeliano nel Sinai, rifiutando però categoricamente il ritiro dai territori occupati nella guerra del 1967 e ponendo come condizione il riconoscimento del paese da parte degli arabi. Rabin diede ulteriore impulso al settore militare e promosse una politica economica volta ad affrancare il più possibile Israele dagli aiuti stranieri, ma non riuscì a evitare i contraccolpi della recessione che colpì tutto il mondo occidentale, l’emergere di scandali interni, la fronda sindacale e la propaganda antigovernativa delle forze dell’estrema destra. Alle elezioni del maggio 1977 i laburisti risultarono infine sconfitti.