L’espansione dell’Impero russo alla fine del XIX secolo

Russia Il crepuscolo dello zarismo. Da Alessandro II a Nicola l’“ultimo”

In questo quadro il successore di Nicola I, Alessandro II (1855-81) ritenne indispensabile avviare un corso riformistico. Vennero varate importanti riforme in campo militare, amministrativo, giudiziario ed economico-sociale, la più importante delle quali fu l’abolizione nel 1861 della servitù della gleba. Essa fallì però nel tentativo di dar vita a una robusta proprietà contadina indipendente, tanto che l’irrisolta questione agraria continuò a gravare enormemente sul paese. L’industria, dal canto suo, prese a svilupparsi più per iniziativa dello stato e del capitale straniero che non della borghesia locale. Nel 1863 le truppe russe repressero una nuova insurrezione in Polonia. Fra la gioventù in primo luogo studentesca e il regime andò stabilendosi un solco profondo, tanto che prese a formarsi la corrente di coloro che aspiravano ad “andare verso il popolo” per risvegliarlo anche politicamente. Ebbe così origine il populismo, che andò però incontro all’insuccesso. Intanto l’anarchico Michail A. Bakunin iniziò a teorizzare la violenza rivoluzionaria come unico mezzo per sollevare la società russa. Durante il regno di Alessandro II la Russia allargò notevolmente i confini dell’impero. La guerra russo-turca del 1877-78 portò nel 1878 al congresso di Berlino, che attribuì alla Russia la Bessarabia meridionale e pose lo stato indipendente di Bulgaria sotto la sua influenza. Il fallimento della pacifica “andata al popolo” provocò il sorgere di organizzazioni terroristiche e nel 1881 la Narodnaja volja (Libertà del popolo) assassinò lo zar. Il regno di Alessandro III (1881-94) fu contraddistinto da un accentuato conservatorismo immobilista e da una politica di russificazione forzata nei confronti delle nazionalità non russe dell’impero. Progredì notevolmente l’industrializzazione, che si localizzò in poche zone a forte concentrazione operaia. In politica estera, Alessandro III negli ultimi anni del suo regno avvicinò il paese alla Francia in funzione antitedesca e antiaustriaca. Nel 1894 salì al trono Nicola II (1894-1917), che sarebbe stato l’ultimo zar. Lo sviluppo dell’industria, che trovò il suo stratega nel conte Sergej Witte, e della classe operaia favorì il consolidarsi del socialismo marxista, che ebbe il suo primo importante teorico in Georgij Plechanov e sostenne, in polemica con gli eredi del populismo fautori di un socialismo agrario, la necessità e positività della modernizzazione industrialistica e capitalistica anche in Russia quale presupposto della lotta rivoluzionaria della classe operaia e del suo partito per il socialismo. Nel 1898 venne fondato a Minsk il Partito operaio socialdemocratico russo, nelle cui file presto emersero Vladimir Il´ic Ul’janov detto Lenin, Julij O. Cederbaum detto Martov e Lev D. Bronstein detto Trockij. Nel 1902 sorse anche il Partito socialrivoluzionario, a base contadina, erede del populismo e favorevole a un socialismo agrario comunitario. Nel 1895 l’impero aveva raggiunto i 125 milioni di abitanti. Un grande risultato fu la costruzione della ferrovia transiberiana. Mentre proseguiva la colonizzazione della Siberia, la Russia mise in atto una vasta azione di penetrazione in Estremo Oriente. In particolare la cessione da parte della Cina di Port Arthur nel 1898 e la penetrazione in Manciuria misero in urto il paese con il Giappone. La tensione russo-giapponese nel settore sfociò nella guerra del 1904-1905, conclusasi con la totale sconfitta dell’impero zarista, per terra a Mukden e per mare presso le isole Tsushima. In seguito alla pace di Portsmouth la Russia perse Port Arthur e parte dell’isola di Sakhalin e dovette evacuare la Manciuria. Le sconfitte militari acutizzarono all’estremo i conflitti politici e sociali interni, così da provocare nel 1905 la prima delle grandi rivoluzioni russe di questo secolo. Intorno al 1900 si contavano già oltre due milioni di operai, fortemente concentrati in poche isole di grande industria, in condizioni per lo più miserabili e nelle cui file mise radici l’agitazione rivoluzionaria della socialdemocrazia russa. Questa nel 1903 si era divisa fra l’ala “bolscevica” guidata da Lenin, il quale mirava a fare del partito un’organizzazione elitaria di rivoluzionari di professione ed escludeva che all’abbattimento dello zarismo potesse far seguito un regime borghese liberale, e l’ala “menscevica” che auspicava un partito di massa democratico e riteneva necessaria la formazione di una repubblica liberalborghese allo scopo di favorire un moderno sviluppo capitalistico del paese. Nel gennaio del 1905 ebbe inizio a Pietroburgo la rivoluzione, che coinvolse operai e soldati. Nelle campagne scoppiò la jacquerie. Lo zar promise in ottobre la concessione di un sistema parlamentare. Nella capitale i lavoratori diedero vita a un soviet (consiglio). In dicembre l’insurrezione armata degli operai a Mosca provocò una sanguinosa repressione, che aprì la strada alla reazione. Fra il 1906 e il 1914 l’impero ebbe una caricatura di regime rappresentativo, che si espresse nell’attività di assemblee (Dume) sostanzialmente impotenti, anche se i margini delle libertà politiche e intellettuali si allargarono notevolmente. Negli anni seguenti la rivoluzione, l’energico statista Pëtr A. Stolypin, osteggiato dai circoli più chiusi e reazionari, cercò di mettere in atto un corso di incisive riforme anzitutto in campo agrario a fini politicamente conservatori; ma la sua politica fu travolta dal suo assassinio a opera di un terrorista nel 1911. I due anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 videro un rilancio delle agitazioni operaie e contadine, con un seguito di massacri. Fra il 1908 e il 1913, in conseguenza della grave crisi culminata nelle guerre balcaniche, la tensione fra l’impero russo e quello austroungarico crebbe fortemente.