L’imperialismo occidentale in Asia

colonialismo Il colonialismo nell’età contemporanea

I principi di libertà, d’eguaglianza e d’indipendenza sanciti dalle rivoluzioni americana e francese (e la dichiarazione del 1794 dei rivoluzionari francesi che aboliva la schiavitù e accordava la cittadinanza a tutti gli abitanti delle colonie), se non portarono nell’immediato ad altri rivolgimenti nel sistema coloniale, segnarono l’avvio di nuove trasformazioni, rese peraltro necessarie anche dallo sviluppo interno dei regimi politici europei e dalle esigenze dell’economia capitalistica. L’Ottocento, per questo aspetto, fu soprattutto il secolo della Gran Bretagna, che ampliò i suoi possedimenti coloniali fino all’occupazione di quasi tre quarti delle terre emerse (in Africa, Asia, India, Australia e Nuova Zelanda) e diede impulso a una vasta riforma amministrativa, sottraendo la direzione politica delle colonie alle compagnie private e attribuendola direttamente al governo o a organismi governativi. Se questo fu il primo passo, seguito anche in tempi e modi diversi dagli altri paesi coloniali, il secondo – nel quale invece la Gran Bretagna, ammaestrata dall’esperienza americana, restò pressoché isolata – fu di prendere in considerazione l’ipotesi di forme di limitato autogoverno locale a fronte delle spinte autonomistiche provenienti dalle classi dirigenti (di origine europea o meticce) enucleatisi nei precedenti secoli di dominio. Mentre la Gran Bretagna prese la via, realizzata nella seconda metà del secolo, della creazione di dominions, la Spagna, il cui impero nel Settecento era già in disfacimento, fu costretta a prendere atto della rivolta e della raggiunta indipendenza di pressoché tutte le sue colonie americane (perdendo anche Cuba nella guerra contro gli Stati Uniti alla fine del secolo e restando sostanzialmente con le sole Filippine). L’impero portoghese, pur non disintegrandosi come quello spagnolo (ma il Brasile aveva pacificamente dichiarato la sua indipendenza nel 1821), ed essendo peraltro legato da scopi per lo più commerciali, non manifestò nemmeno sintomi evolutivi. L’altra grande protagonista ottocentesca della storia coloniale fu la Francia che, specie durante il dominio di Napoleone III, mise in piedi un nuovo impero coloniale, rigidamente controllato dalla madrepatria, partendo dalla conquista dell’Algeria nel 1830, proseguendo nell’espansione verso il Senegal, il Marocco e l’Africa centro-orientale, per finire negli anni Sessanta con la conquista dell’Indocina (conclusa negli anni Novanta) e delle isole polinesiane. Gli ultimi trent’anni dell’Ottocento, l’età dell’imperialismo (nell’ambito del quale vanno inquadrati più propriamente i tentativi d’espansione, anche coloniale, di USA, Giappone e Russia), videro il consolidamento, anche dal punto di vista delle giustificazioni ideologiche, degli imperi britannico e francese e l’ascesa di nuovi attori quali la Germania e l’Italia, che avanzarono le loro pretese di dominio coloniale – la prima nell’Africa centro-meridionale (dal Camerun all’attuale Namibia), la seconda nell’Africa orientale (Eritrea, Somalia) e poi, nel Novecento, in Libia (1911-12) e in Etiopia (1935) – come segno di un acquisito status di potenza mondiale, ma anche come parte insopprimibile di un meccanismo economico-finanziario nel quale le colonie fungevano sia da fonte di materie prime a scarso o nullo prezzo sia da mercato di manufatti nei quali riversare gli investimenti finanziari e la produzione dell’industria nazionale. La competizione imperialistica sul terreno coloniale fu una delle principali cause della prima guerra mondiale (1914-18). Se il primo dopoguerra fu caratterizzato dalla parziale dismissione dei possedimenti coloniali della sconfitta Germania, solo dopo la seconda guerra mondiale (1939-45) prese l’avvio il processo di decolonizzazione, che portò gradualmente, negli anni Sessanta e Settanta, al tramonto del colonialismo e alla creazione di un grande numero di nuovi stati nazionali, nei cui confronti, tuttavia, s’instaurò spesso un sistema di relazioni che di fatto permise ai paesi dell’Occidente capitalisticamente avanzato di mantenere una sostanziale influenza egemonica (neocolonialismo). [Corrado Malandrino]