Unione Europea

Istituita dal trattato di Maastricht, firmato dai dodici paesi della CEE (Comunità Europea) il 7 febbraio 1992 e successivamente ratificato dai paesi membri, l’Unione Europea (UE) entrò in vigore il 1° novembre 1993, con la finalità di creare “un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini” (titolo I, art. A del trattato di Maastricht). Il termine “Unione” fu scelto per indicare la natura non solo economica, ma anche politica, culturale e sociale della Comunità Europea (CE). Nel 2002 ne facevano parte: il Belgio, la Danimarca, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, la Grecia, l’Irlanda, l’Italia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Spagna (paesi membri fin dal 1993), l’Austria, la Finlandia e la Svezia (entrati nel 1995). Nel 1997 sono state aperte delle trattative per l’ingresso nella UE di Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Polonia, Slovenia, Ungheria; nel 1999 le trattative sono state avviate con altri paesi, come Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Malta; a questo gruppo si aggiunge la Turchia, la cui candidatura rimane in sospeso. Sviluppo del processo d’integrazione europea avviato negli anni ’50 con l’istituzione della CECA (1951) e della CEE (1957), l’UE si fondò “sulle Comunità Europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato” (art. A) e si propose come obiettivi principali, esposti nell’art. B del trattato istitutivo: la promozione di un progresso economico e sociale equilibrato, mediante la creazione di uno “spazio senza frontiere interne”; il rafforzamento della coesione economica e sociale; l’unione economica e monetaria; una comune politica estera e della sicurezza, in vista di una difesa comune; l’istituzione della “cittadinanza dell’Unione”, allo scopo di rafforzare la tutela dei diritti; la cooperazione nel settore della giustizia. La principale novità consistette nell’unione economica e monetaria (UEM), basata sulla libera circolazione dei capitali, oltre che delle merci e delle persone, e, soprattutto, sull’istituzione della moneta unica europea. La realizzazione dell’ambizioso obiettivo richiese l’impegno dei paesi membri a risanare le proprie condizioni finanziarie, per ottemperare a una serie di parametri, stabiliti dal trattato, relativi a deficit e debito pubblico e al tasso d’inflazione. Nel 1998 il Consiglio europeo stabilì che undici paesi (talvolta dopo politiche finanziarie di grande rigore e rilevanti sacrifici delle popolazioni) avevano i requisiti per istituire la moneta unica, per la quale era stato scelto il nome di “euro” (Consiglio europeo di Madrid, 1995). Fu istituita la Banca centrale europea (BCE) per il governo unificato della politica monetaria e nel 1999 l’euro diventò la moneta ufficiale degli undici paesi, anche se la sua circolazione fisica e il ritiro dalla circolazione delle monete nazionali avvenne solo nel 2002. Non rientrarono nell’area dell’euro la Gran Bretagna, la Danimarca, la Svezia e la Grecia, il cui ingresso fu rinviato per scelta politica o per inottemperanza ai parametri stabiliti a Maastricht. La Grecia riuscì successivamente a unirsi al primo gruppo dei paesi che adottarono l’euro. Importante novità politica fu l’istituzione della cittadinanza dell’Unione Europea, comprensiva della libertà di circolazione e del diritto di voto e di eleggibilità, nelle elezioni municipali ed europee, in qualsiasi Stato membro il cittadino europeo ponga la propria residenza. La libera circolazione, stabilita per i cittadini europei, fu fortemente limitata per gli extracomunitari dalla Convenzione di Schengen, entrata in vigore nel 1995. La politica estera e di sicurezza comune (PESC), prevista dal trattato di Maastricht, si scontrò con la difficoltà dei diversi paesi a esprimere una posizione comune, cosa che si verificò per la prima volta in modo significativo con la decisione di sostenere la guerra del Kosovo contro la Federazione iugoslava di Slobodan Milosevic (1999). Nel 1999 l’italiano Romano Prodi fu nominato presidente della Commissione Europea, organo esecutivo dell’Unione. Nel 2000 l’UE condannò con decisione l’ingresso nel governo austriaco del partito liberal-nazionale di Georg Haider, le cui tendenze xenofobe e simpatie neonaziste erano in assoluto contrasto con i principi democratici dell’Unione. Pur prevedendo un rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo, la struttura istituzionale dell’UE non costituì ancora la risposta all’aspirazione dei federalisti verso un’effettiva unione politica del continente. Il rafforzamento dei legami culturali tra i popoli, la costruzione di meccanismi decisionali continentali sempre più democratici, l’avvicinamento delle istituzioni comunitarie ai cittadini, la risposta alle sfide della globalizzazione economica e l’apertura a nuovi paesi, a partire da quelli dell’Europa orientale e dell’area mediterranea, si posero all’inizio del nuovo millennio come i problemi e le prospettive principali dell’Unione. Con due successivi trattati si cercò di dare almeno in parte riposta a tali esigenze, effettuando al tempo stesso una revisione delle politiche e delle istituzioni comunitarie. Il primo, noto come Trattato di Amsterdam, siglato nel 1997 ed entrato in vigore nel maggio 1999, identificò come obiettivi specifici dell’Unione Europea lo sviluppo dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni generali di vita e di lavoro, la salvaguardia di un’adeguata protezione sociale; garantì al Consiglio dei Ministri il potere di comminare sanzioni in caso di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali ed estese infine al Parlamento il potere di veto su un ampio spettro di materie comunitarie. Il secondo, noto come Trattato di Nizza, siglato nel 2001 ed entrato in vigore nel febbraio 2003, delineò la cornice delle riforme istituzionali necessarie in vista dell’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Europa orientale: in particolare fissò a 27 il numero massimo di seggi alla Commissione, rafforzò i poteri del Presidente della Commissione garantendogli maggiore autonomia rispetto ai governi nazionali, estese il voto a maggioranza qualificata a una trentina di nuovi titoli e infine modificò il numero di deputati al Parlamento europeo per ogni Stato membro. Il processo di allargamento avvenne in due fasi: la prima (2004) interessò Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Unheria; la seconda (2007) interessò Bulgaria e Romania. Questo complesso processo pose tuttavia la necessità di un’ulteriore a revisione dell’assetto istituzionale dell’Unione Europea. A tale scopo fu quindi convocato uno speciale organo straordinario – la Convenzione Europea, istituita nel 2001 e presieduta da Valéry Giscard d’Estaing – al quale fu assegnato il compito di redigere il testo della Costituzione Europea (più precisamente il testo del Trattato per l’adozione della Costituzione europea). Tale Costituzione non entrò mai in vigore, per via della sua mancata approvazione nel 2005 da parte dell’elettorato francese e olandese. Questa inaspettata interruzione del processo di ratifica rappresentò un momento critico per il progetto europeista, il quale tuttavia, soprattutto grazie all’iniziativa del cancelliere tedesco Angela Merkel, fu ripreso e portato avanti grazie all’accordo siglato nel giugno 2007 a Bruxelles e formalizzato nel dicembre dello stesso anno con il Trattato di Lisbona, che istituì la presidenza europea, consolidò i poteri della Commissione Europea, della Corte Europea di Giustizia e del Parlamento Europeo. Il trattato, minacciato di fallire, al pari della costituzione, per via della mancata approvazione da parte dell’elettorato irlandese, entrò infine in vigore nel dicembre 2009. A partire dal 2008, oltre alle difficoltà legate al processo di consolidamento delle proprie istituzioni, l’Unione Europea attraversò una nuova fase di intensa inquietudine, determinata dagli effetti disastrosi della crisi finanziaria globale, che, colpendo duramente alcuni dei suoi stati membri, tra cui il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda, la Grecia e da ultima anche l’Italia, giunse a mettere in dubbio perfino l’esistenza stessa dell’euro.
Mentre Francia e Germania si impegnarono nel processo di stabilizzazione della moneta unica, a partire dal 2010 la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale concessero prestiti cospicui ai paesi maggiormente in crisi. Le gravi difficoltà economiche e l’introduzione di drastiche misure di contenimento della spesa pubblica da parte di quasi tutti gli Stati dell’Unione ebbero forti ricadute anche sul piano sociale e politico: non a caso, tra 2011 e 2012, oltre metà degli stati membri andarono incontro a improvvisi cambi di governo. Nel tentativo di correggere le debolezze strutturali dell’unione, nel marzo 2012 i leader europei firmarono un nuovo patto fiscale, in base al quale fu imposto a ogni Stato membro di limitare il proprio debito pubblico al 3% del PIL. Nello stesso anno fu contestualmente creato il cosiddetto meccanismo europeo di stabilità, un fondo di salvataggio permanente in grado di sostituire le misure provvisorie di intervento.