Spencer, Herbert

(Derby 1820, † Brighton 1903). Filosofo inglese. Tra gli esponenti più significativi del positivismo, elaborò una metafisica evoluzionistica che esercitò grande influenza nella cultura europea e nordamericana della seconda metà del XIX secolo. Al contrario di Darwin, che in sede scientifica aveva limitato la portata del suo evoluzionismo al campo della biologia, Spencer fece dell’evoluzione il principio dell’intera realtà, inorganica, organica e spirituale. Nelle sue opere – Statica sociale (1850), Principi di psicologia (1855), Primi princìpi (1862), Principi di biologia (1864-67), Principi di sociologia (1876-96), Principi di etica (1879-92), Individuo e stato (1884) – egli interpretò tale principio come un movimento progressivo, che da stati più semplici e omogenei genera stati sempre più complessi e articolati. L’evoluzione è conseguenza delle stesse leggi della fisica, di cui Spencer affermò la conoscibilità solo relativa. L’uomo è in grado di conoscere soltanto le relazioni osservabili e misurabili tra i fenomeni, mentre la verità assoluta e i princìpi primi del reale sono inconoscibili: non soltanto in sede scientifica, ma anche in sede filosofica, essendo la filosofia la più ampia generalizzazione delle conoscenze, sempre relative, delle scienze. Con tale convinzione, Spencer intese salvare per la religione uno spazio (quello, appunto, del mistero) che la tumultuosa crescita del sapere scientifico sembrava mettere in pericolo. Rigorosamente fedele ai princìpi evoluzionistici fu la concezione spenceriana dell’uomo, visto come il frutto di un lungo processo di adattamento nel corso del quale si sono formate le sue strutture fondamentali, sia fisiche che psichiche. La stessa storia sociale dell’umanità è un progressivo evolversi dal semplice al complesso. Le forme sociali e politiche più arcaiche sono caratterizzate dall’imposizione “militaristica” di un’unica volontà all’intero corpo sociale. Il progresso – di cui la forma più avanzata è la società industriale – si fonda sull’affermazione della complessità pluralistica di una società liberale, che lascia spazi sempre più ampi di autonomia ai singoli soggetti. Ogni forma di intervento statale nella regolamentazione della vita economica e sociale è un residuo del vecchio centralismo, che ostacola il trionfo del nuovo ordine liberale. Per questo Spencer era convinto che le idee democratiche e socialiste (e tutte le ideologie tendenti ad affermare il principio dell’intervento dello stato nella vita sociale) fossero arretrate e pericolose per il progresso. Come nel mondo biologico opera la selezione naturale, così nel mondo sociale deve esserci una “selezione sociale delle occupazioni”, che premiando i migliori consenta lo sviluppo dinamico dell’intera società. Il pensiero spenceriano, con la sua tonalità ottimistica, diede espressione alle grandi attese che la continua crescita del sistema industriale, soltanto rallentata dalle crisi cicliche, produsse nella società borghese ottocentesca.