Partito della Rifondazione comunista

Formazione politica italiana, fondata nel 1991 da una parte dei dirigenti del disciolto Partito comunista italiano (Armando Cossutta, Sergio Garavini, Lucio Libertini), contrari alla scelta di Achille Occhetto di abbandonare il nome, la tradizione e l’ideologia del movimento comunista dando vita al Partito democratico della sinistra. Nel mese di giugno dello stesso anno anche Democrazia proletaria, guidata da Giovanni Russo Spena, decise di confluire nel nuovo partito, sciogliendosi come formazione politica autonoma.

L’esistenza di una notevole base sociale per Rifondazione comunista fu dimostrata dal discreto successo elettorale riportato alle politiche del 5 aprile 1992, quando il partito ottenne il 5,6% dei voti e 35 deputati. La stessa situazione socioeconomica del paese – che rivelava evidenti elementi di crisi con effetti rilevanti sui livelli occupazionali e con la produzione di fenomeni di povertà e di emarginazione – consentì la formazione di un certo consenso di massa intorno al nuovo partito. La politica dei sindacati tradizionali e dei partiti della sinistra riformista appariva sempre meno incisiva agli occhi di una parte dei lavoratori, ai quali venivano in quegli anni sottratti, uno dopo l’altro, numerosi diritti conquistati in tanti anni di lotte.

Nel 1993 si aprì un contrasto interno al partito tra il segretario, Sergio Garavini, da un lato, e, dall’altro il presidente, Armando Cossutta, e Lucio Libertini. Garavini era propenso a fare di Rifondazione comunista il punto di riferimento per i movimenti di lotta in atto nella società italiana ed era favorevole ad ampie alleanze con il resto della sinistra, mentre Cossutta e Libertini insistevano sulla specificità del movimento comunista e volevano che il PRC si desse una solida struttura organizzativa di partito. La vittoria della linea di Cossutta e Libertini indusse Garavini a rassegnare le dimissioni dalla segreteria del partito. Le elezioni amministrative parziali del 1993 confermarono la buona presenza di Rifondazione comunista, che in alcune grandi città operaie del nord (Torino, Milano) fu il partito più forte della sinistra, con più voti del PDS. In occasione delle prime elezioni politiche celebrate nel 1994 con il sistema elettorale semi-maggioritario (all’adozione del quale era stata contraria), il PRC si presentò nelle liste dello schieramento progressista in alleanza con PDS, PSI, Verdi, Rete, Alleanza democratica e il Movimento cristiano-sociale. Durante la campagna elettorale il nuovo segretario del partito, Fausto Bertinotti, alimentò il dibattito politico con alcune proposte radicali, non condivise dal resto dello schieramento progressista, come la tassazione degli investimenti in Bot superiori ai 200 milioni di lire e la fuoriuscita dell’Italia dalla NATO. Lo schieramento progressista nel suo complesso fu sconfitto dalle destre. Il PRC ebbe il 6% dei voti, risultato leggermente superiore a quello del 1992 e giudicato soddisfacente da Bertinotti e Cossutta, intenzionati a ricostruire una radicale opposizione di sinistra.

Alle elezioni del 1996 il partito decise di sostenere dall’esterno la coalizione di centrosinistra dell’Ulivo, risultata poi vincente alla consultazione elettorale. Diede quindi il proprio appoggio al governo Prodi, determinandone anche la caduta nel 1998. In seguito a un aspro dibattito politico tra chi era intenzionato a sostenere ulteriormente l’esperienza del governo di centrosinistra e chi invece riteneva necessario schierarsi all’opposizione, il partito andò incontro a una grave scissione, che portò alla nascita dei Comunisti italiani di Armando Cossutta, i quali diedero il proprio appoggio al governo D’Alema (1998-2000) e Amato (2000-01). Il PRC invece, sotto la guida di Bertinotti, passò all’opposizione, rimanendovi anche dopo la caduta di D’Alema e la nascita del governo Amato nella primavera del 2000.

Presentatosi isolato alle elezioni politiche del 2001, ottenne 11 deputati e 3 senatori restando all’opposizione. Tra 2001 e 2003, in concomitanza col ritorno del centrodestra alla guida del paese e al riaccendersi delle tensioni tra USA e Iraq, il partito intensificò i rapporti con i movimenti no-global, accentuando la propria linea pacifista, non violenta e antimilitarista. Nel 2006, dopo aver riallacciato il dialogo con l’Ulivo, sostenne la coalizione di centrosinistra – l’Unione – entrando a far parte, con Paolo Ferrero al Ministero per la Solidarietà Sociale, del secondo governo di Romano Prodi. Faustro Bertinotti assunse la carica di Presidente della Camera dei deputati, lasciando la segreteria del partito a Franco Giordano. A seguito di prolungate tensioni per via della politica estera e della politica economica dell’esecutivo, il PRC fu accusato di aver contribuito a minare la stabilità della compagine governativa.

Nelle elezioni anticipate del 2008 il PRC non aderì al progetto unitario del partito democratico e si presentò all’interno del cartello della “Sinistra Arcobaleno”, andando incontro a un clamoroso insuccesso, che ne determinò la fuoriuscita dal parlamento. La grave sconfitta elettorale aprì una fase di intensa polemica interna tra la maggioranza guidata da Paolo Ferrero e la minoranza guidata da Nichi Vendola, cui seguì nel 2009 la scissione di quest’ultima, che confluì di lì a poco nel movimento “Sinistra Ecologia Libertà”. Nello stesso anno, il partito avviò la ricomposizione della frattura avvenuta nel 1998 con il PdCI e, in vista delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, si presentò all’interno di una lista unitaria, Lista anticapitalista, che non riuscì tuttavia a superare lo sbarramento del 4%. Intanto il progetto di ricomposizione interna procedette e, sul finire del 2009, fu dato vita alla Federazione della Sinistra.

In occasione delle elezioni amministrative del 2011 il nuovo soggetto raggiunse il 4,2% dei consensi e, a breve distanza, si mobilitò con successo a favore dei referendum abrogativi su acqua, energia nucleare e giustizia. In occasione dell’ottavo congresso nazionale del partito, svoltosi nell’autunno del 2011, Paolo Ferrero fu riconfermato alla segreteria.
Sul finire del 2012, il partito promosse diverse iniziative volte alla formazione di un polo unitario della sinistra in grado di presentarsi autonomamente alle elezioni politiche del 2013. All’indomani dell’annuncio della candidatura a premier da parte dell’ex magistrato Antonio Ingroia, il PRC confluì nella coalizione guidata da quest’ultimo, Rivoluzione civile, comprendente al proprio interno anche il PdCI, i verdi, l’Italia dei valori e il Movimento arancione del sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Fermandosi al di sotto della soglia di sbarramento, il partito restò fuori dal parlamento. In conseguenza dell’insuccesso elettorale, la segreteria rassegnò le dimissioni, che però non furono accettate dal Comitato nazionale.