forze armate

  1. Definizione del termine
  2. Le forze armate nell’antichità
  3. Le forze armate nella vicenda dello stato moderno
  4. Gli sviluppi dell’età contemporanea e le prospettive del dopo-1989
1. Definizione del termine

Le forze armate costituiscono un’organizzazione estremamente complessa la cui principale finalità è la conduzione della guerra. Come tali, vanno distinte da altre formazioni militari e paramilitari funzionalmente destinate al mantenimento dell’ordine interno. Nell’epoca contemporanea sono andate pressoché universalmente distinguendosi in tre branche: esercito, marina e aviazione. Vi sono però alcune importanti eccezioni, quali quella degli Stati Uniti d’America, che prevedono nel proprio ordinamento un quarto e autonomo corpo, quello dei Marines, posto alle dipendenze del dipartimento della Marina e responsabile della guerra anfibia. Storicamente l’evoluzione delle forze armate ha gravitato soprattutto attorno al ruolo della fanteria, la cui centralità in battaglia per secoli – e ben oltre la comparsa delle moderne armi da fuoco (armi e armamenti) – è stata seriamente contesa soltanto dalla cavalleria. A una prima approssimazione, si potrebbe affermare che l’evoluzione delle forze armate è stata scandita con una certa regolarità dall’alternarsi di fasi nelle quali tendevano a prevalere eserciti di massa a bassa specializzazione e di altre fasi in cui diveniva prevalente la funzione di corpi d’élite. In realtà, lo sviluppo delle forze armate è legato anche ad altri, ben più complessi, fattori di carattere socio-istituzionale da un lato e di tipo ideologico-strategico dall’altro. Creati per combattere in guerra, gli eserciti non hanno potuto che adattarsi di volta in volta alle differenti esigenze delle diverse formazioni politiche che della guerra si facevano protagoniste.

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2. Le forze armate nell’antichità

Nell’antichità si trovano realizzate tutte le forme di organizzazione militare che furono poi tipiche dell’età moderna: dai corpi di professionisti, ai mercenari, ai soldati reclutati con la leva popolare. Gli egizi, ad esempio, erano dotati di un esercito permanente guidato da ufficiali di professione e composto da truppe di coscritti. Così pure gli assiri erano in grado di schierare reparti altamente specializzati e burocratizzati di cavalieri, di genieri e guastatori addestrati alla guerra d’assedio, o ancora di soldati dediti esclusivamente all’organizzazione della logistica e, al tempo stesso, di radunare forze di cento o duecentomila uomini. I persiani, infine, all’apice della loro espansione imperiale riuscirono a schierare il più imponente esercito di leva dell’antichità: trecentomila uomini. Procedendo lungo un ipotetico continuum che va dalla città-stato all’impero, al primo estremo trova posto il cittadino-soldato, esempio di straordinaria integrazione tra funzione civile e militare; e, seguendo un rigido principio di proporzionalità, la distribuzione delle cariche militari rispecchia le differenze di censo tanto ad Atene nel V secolo a.C. quanto a Roma nel VI secolo a.C. Nella sua forma originale e più pura, la falange – la formazione di fanteria schierata su più linee e armata di lance, affiancata di volta in volta da reparti di cavalleria leggera, di arcieri e di frombolieri – era composta da uomini che ben si conoscevano; e la sua forza d’urto era data anche dalla coesione che nasce dalla consapevolezza di combattere fianco a fianco con familiari e amici appartenenti alla stessa comunità. All’estremo opposto il mercenariato, come ricorso sistematico e non più soltanto episodico, a soldati mossi dall’attrattiva del lucro, era visto come una sorta di patologia sociale, legata alla disgregazione della comunità politica. Il suo sviluppo è solitamente legato ai processi di colonizzazione e all’instaurazione della tirannide. All’esperienza imperialistica, in particolare quella romana, era legata invece la figura intermedia dei soldati professionisti: di solito si trattava di cittadini romani, soggetti a un vero e proprio processo di proletarizzazione che li costringeva a intraprendere l’attività militare in assenza di altri sbocchi, o di stranieri sottomessi a Roma, che attraverso il servizio nell’esercito contavano di acquisire i diritti di cittadinanza.

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3. Le forze armate nella vicenda dello stato moderno

All’indomani dell’eclissi del modello imperiale, la frammentazione del potere nella molteplicità delle sovranità feudali ridusse la funzione militare a compito esclusivo di una ristretta cerchia di cavalieri. L’alta nobiltà era l’unica forza sociale che disponeva delle risorse economiche e del tempo necessari ad allestire e addestrare i reparti di quella potente cavalleria d’urto contro cui ben poco potevano le residue formazioni di fanteria. Un’inversione di tendenza cominciò a manifestarsi nel momento in cui il processo di accumulazione della ricchezza, reso possibile dalla diffusione di metodi moderni di esazione fiscale, pose i sovrani in una condizione di crescente superiorità nei confronti dei propri vassalli – quei cavalieri che essi avevano chiamato al proprio servizio offrendo loro in cambio vaste proprietà terriere e il controllo dei contadini necessari a coltivarle, creando così i presupposti di una loro crescente autonomia. L’aumento della circolazione monetaria rese possibile la riscoperta della fanteria, sopravvissuta come arma tipicamente esclusiva delle entità comunali, e ora in grado di offrire sul mercato reparti mercenari addestrati all’uso delle nuove armi da getto, delle picche e delle alabarde. Gli arcieri inglesi e i quadrati di picchieri svizzeri, poi ancora i Landsknechte tedeschi e i tercios spagnoli – quadrati di picchieri ormai schierati su poche file, e vuoti quindi al proprio interno, rafforzati dalla presenza sui fianchi di gruppi di archibugieri o moschettieri – invasero i campi di battaglia, mentre i feudatari furono chiamati alle armi soltanto in casi di estrema necessità. Intorno alla metà del XV secolo, lo stato cominciò ad assumere in proprio il reclutamento dei mercenari, sottraendo tale funzione ai singoli capitani di ventura, privati infine di un potere di contrattazione che aveva permesso loro a volte di porsi su un piede di parità con lo stesso sovrano. Da questo momento ebbe inizio un processo di differenziazione funzionale che entro breve andò ben oltre la tradizionale dicotomia fanteria-cavalleria, per far fronte a uno sviluppo senza precedenti dell’artiglieria, alle sempre nuove esigenze della logistica e alla crescente sofisticatezza delle teorie strategiche e dell’arte della costruzione delle fortificazioni. Nel lungo percorso storico che portò dalle monarchie assolute fino ai regimi parlamentari, liberali prima democratici poi, il problema del reclutamento della truppa si è progressivamente distinto da quello dei criteri di accesso e di carriera nel corpo degli ufficiali. Per quanto riguarda la truppa, la Rivoluzione francese diffuse l’adesione al modello della leva in massa che, in precedenza, era rimasto prerogativa esclusiva di alcuni grandi innovatori: Gustavo Adolfo di Svezia lo aveva già sperimentato all’inizio del XVII secolo, reclutando la milizia tra i giovani dai diciotto ai venticinque anni. L’estensione dell’obbligo del servizio militare a fasce sempre più ampie di cittadini non fu altro che la generalizzazione di un dovere legato all’universalizzazione di una serie di diritti civili e politici (primo fra tutti il diritto di voto). La piena realizzazione di questo modello comportò allora la graduale scomparsa di quelle forme di esonero e sostituzione che ancora per quasi tutto l’Ottocento permisero ai figli dei ceti borghesi più abbienti di pagare il privilegio della propria esclusione dai ruolini d’arruolamento; e i timori di armare il popolo consentirono comunque ai governi di limitarne l’applicazione ai tempi di guerra e non anche a quelli di pace – è questo, ad esempio, il caso della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America, che fecero ricorso alla leva in massa nelle due guerre mondiali solo a conflitto già in corso. Per quanto riguarda il corpo ufficiali, dal mero criterio dell’appartenenza di ceto si passò progressivamente all’introduzione del principio della qualificazione personale, da perseguire attraverso la creazione di apposite scuole militari. Ancora nel XVII secolo, infatti, prevaleva in tutta Europa la convinzione che i figli della nobiltà possedessero una propensione naturale al combattimento, e che l’esperienza diretta sul campo di battaglia rendesse superfluo qualsiasi insegnamento teorico; cosicché era diffusa l’usanza, soprattutto tra i figli cadetti, di entrare in servizio già all’età di 14-15 anni, come volontari o grazie all’acquisto di un brevetto di sottotenenti. L’impulso maggiore alla creazione delle accademie militari giunse in questo caso dalla Prussia che, dopo le gravi sconfitte subite a opera di Napoleone, avviò un radicale processo di rinnovamento dell’esercito, grazie soprattutto all’impegno di Stein e di Scharnhorst. Per quanto successivamente in parte rinnegati dagli stessi prussiani, i principi riformatori dell’educazione e della promozione per merito si affermarono definitivamente come i criteri guida del moderno corpo degli ufficiali.

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4. Gli sviluppi dell’età contemporanea e le prospettive del dopo-1989

La Rivoluzione francese e il periodo napoleonico costituiscono, quindi, lo spartiacque tra vecchie e nuove forze armate. L’idea della nazione in armi, da allora, è andata diffondendosi ovunque, giungendo ad esprimere tutto il proprio potenziale nel corso delle due guerre mondiali del XX secolo (1914-18 e 1939-45). Dopo il 1945, la pace del terrore imposta dalle armi termonucleari (guerra fredda) non ha comunque impedito un’ulteriore sviluppo degli eserciti, a seconda dei contesti interni e in conseguenza anche dei condizionamenti imposti dal sistema internazionale, lungo due direttrici per molti versi contrastanti. In primo luogo, il principio dell’obbligo del servizio militare – cui, in molti stati democratici, si è continuato ad attribuire una più limitata funzione di formazione e di educazione delle giovani generazioni al rispetto dei valori della cittadinanza e della patria – ha riacquistato nei paesi coinvolti nei processi di decolonizzazione e costretti a lottare per la propria liberazione l’originario significato rivoluzionario, evolvendo nella teoria della guerra di popolo e nella pratica della guerriglia a opera di formazioni irregolari. In secondo luogo, l’insistenza sulla professionalizzazione degli ufficiali ha fatto sì che in molte realtà statali essa diventasse il veicolo di una riappropriazione, per via burocratica, di quella pretesa di appartenenza a una élite che l’educazione e l’apertura dell’arruolamento a nuovi ceti avrebbero dovuto sconfiggere, favorendo, soprattutto in paesi del Terzo e Quarto mondo, la diffusione del fenomeno dell’intervento in politica di militari propensi ad anteporre la fedeltà al corpo alla fedeltà alle istituzioni dello stato. I mutamenti intervenuti nel sistema internazionale a partire dal 1989-91 – con la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale e la disgregazione dell’Unione Sovietica – pongono nuove sfide alle forze armate. Da un lato, e principalmente, si chiede loro con sempre maggiore insistenza di adattarsi a svolgere una funzione di polizia internazionale; compito questo che richiederebbe da parte dei militari una rinuncia alla propria identità nazionale per sottomettersi al comando di una superiore autorità sovranazionale, accettando oltre tutto i nuovi valori di cui essa dovrebbe farsi portavoce. Dall’altro, e all’opposto, in un numero crescente di realtà locali esse si trovano nella necessità di dover resistere alle tensioni disgregatrici che mirano a farne lo strumento di singole fazioni in lotta per il potere; ma per far questo sembra non possano che puntare al recupero proprio del tradizionale valore della fedeltà alla nazione. Più in generale, il livello ormai sempre più sofisticato della tecnologia militare e della guerra contemporanea stanno producendo una nuova e rilevantissima professionalizzazione delle forze armate che, in vari paesi, sta a sua volta ponendo all’ordine del giorno il problema di ristrutturare i tradizionali modelli di difesa e il senso stesso del servizio militare obbligatorio. [Fabio Armao]

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