armi e armamenti

  1. Definizione del termine e classificazione
  2. Le tappe fondamentali dello sviluppo tecnologico delle armi
  3. L’era nucleare e il problema del controllo degli armamenti
1. Definizione del termine e classificazione

Il termine “arma” si ritiene possa derivare dal latino armus (l’omero, la parte superiore del braccio) e sembra che in origine identificasse quegli oggetti per la difesa o l’offesa che si portavano appesi alla spalla. Nelle sue accezioni più comuni la parola definisce oggi, da un lato, qualsiasi strumento atto a infliggere un danno o a distruggere; dall’altro, una specializzazione, un particolare complesso di truppe (fanteria, cavalleria, ecc.) all’interno delle forze armate. “Armamenti” (dal plurale latino armamenta: corredo, attrezzatura) definisce invece l’insieme di armi terrestri, navali e aeree che concorrono a formare il potenziale bellico di uno stato. Un primo criterio generale di classificazione delle armi è quello che consente di distinguerle a seconda del raggio breve, medio o lungo del loro campo d’azione, vale a dire della distanza che permettono di interporre tra se stessi e il proprio avversario. Sin dall’antichità, infatti, alle armi necessarie per i combattimenti corpo a corpo – la mazza, la daga, la spada – è stato abbinato l’impiego di altre armi che mettevano il combattente in condizioni di atterrare il nemico prima che si giungesse allo scontro diretto – la lancia, la fionda, l’arco. Una linea tendenziale di sviluppo potrebbe essere individuata proprio nella propensione a dotarsi di apparati di distruzione che consentissero di rinviare il più possibile il momento del duello frontale, se non di superarlo del tutto. Grazie allo sviluppo tecnologico, questa logica ha prodotto i suoi esiti estremi con l’invenzione dei missili intercontinentali, che hanno messo per la prima volta l’uomo nelle condizioni di annientare il nemico da un’enorme distanza, rendendo così superfluo qualsiasi procedimento di mobilitazione. Il fatto poi che tali missili siano stati dotati di testate termonucleari costituisce il punto di arrivo di un secondo percorso, che ha sommato all’effetto già di per sé indiscriminante della crescente gittata delle armi le conseguenze indiscriminate di un potenziale distruttivo senza precedenti. Al termine della seconda guerra mondiale (1939-45) le armi cominciano a essere distinte in convenzionali e nucleari, a seconda del tipo di energia da cui sono alimentate. Si tratta di una distinzione qualitativa e non meramente quantitativa. Lo dimostra il fatto che il dibattito sulla questione nucleare non riesce a mantenersi entro i tradizionali confini del discorso politico-strategico, ma tende sempre più ad assumere i contorni della disputa filosofico-morale sulla possibilità stessa di giustificare ancora una guerra che, qualora venisse davvero combattuta, provocherebbe con ogni probabilità la definitiva scomparsa del genere umano.

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2. Le tappe fondamentali dello sviluppo tecnologico delle armi

Il progresso nel campo degli armamenti è stato storicamente scandito da una serie di innovazioni che hanno avuto conseguenze significative anche dal punto di vista della tattica, intesa come “l’arte di impiegare le armi in combattimento per ottenerne il migliore rendimento”. Armi e armature fecero la loro comparsa già nella civiltà della Mesopotamia intorno al 3500 a.C. La prima vera rivoluzione risale tuttavia al 1800 a.C., quando fu introdotto il carro leggero con due ruote a raggi, sul quale trovava posto, oltre all’auriga, un arciere. Tra il 1400 e il 1200 a.C., l’invenzione del ferro, più economico del bronzo e del rame, provocò una sorta di “democratizzazione” della guerra. La maggior disponibilità di armi coincise con la rivalutazione della fanteria, che rimase tuttavia fino al XIV secolo d.C. facile preda degli attacchi della cavalleria pesante dotata di corte lance e di daghe. Un nuovo salto di qualità fu reso possibile, a quell’epoca, dalla crescente diffusione anche in Europa di armi balistiche quali la balestra e poi l’arco lungo. In uso presso i cinesi già nel 500 a.C., la balestra in particolare presentava rispetto all’arco il vantaggio di una maggior facilità d’uso che consentiva di ridurre i tempi d’addestramento; la sua efficacia, inoltre, era tale da aver ragione delle corazzature dei cavalieri a una distanza superiore ai duecento metri. Sul piano della tattica, tali armi produssero la riscoperta delle formazioni di fanteria – già note agli antichi greci (la falange macedone) – composte appunto da balestrieri o arcieri affiancati da fanti armati di picche lunghe fino a sei metri e da reparti di cavalleria leggera che avevano il compito di proteggere i fianchi e di inseguire il nemico in rotta. Nella guerra dei Cent’anni (1337-1453) gli arcieri inglesi riuscirono in tal modo a prevalere sulle migliori cavallerie feudali. Tre secoli più tardi, durante la guerra dei Trent’anni (1618-48) le armi da fuoco cominciarono a dimostrarsi efficaci grazie soprattutto all’invenzione, da parte del re di Svezia Gustavo Adolfo, della cartuccia di carta che consentiva un caricamento molto più veloce dell’arma. Fino ad allora, infatti, il moschetto si era dimostrato un’arma relativamente inefficace soprattutto per la sua imprecisione nel tiro e per i limiti della sua gittata (20-30 metri). Per un miglioramento davvero significativo fu necessario aspettare il XIX secolo e l’invenzione, da parte americana, di un fucile a canna rigata (Kentucky Rifle) la cui gittata e precisione risulta triplicata rispetto alle vecchie armi a canna liscia. Sul piano della tattica, questi miglioramenti produssero un graduale passaggio dalla massiccia formazione a quadrato alla formazione in linea: lunghe linee di fanteria addestrate a far fuoco e a lanciarsi poi all’assalto del nemico dopo aver innestato una corta spada (baionetta) alla volata del moschetto. Progressi analoghi furono compiuti, nel corso dell’Ottocento, nel campo dell’artiglieria pesante – che vide la sostituzione del cannone ad avancarica e a canna liscia con cannoni a retrocarica e canna rigata e, soprattutto, la comparsa delle prime mitragliatrici, che tanto posto ebbero poi nel corso delle battaglie di trincea della prima guerra mondiale (1914-18) – nonché degli armamenti navali: dopo secoli di modestissimi progressi, la situazione fu rapidamente modificata prima dall’invenzione del motore a vapore e poi dalla costruzione delle prime navi con lo scafo in ferro e poi in acciaio; infine, dalla costruzione dei primi sommergibili. Fu soprattutto la seconda guerra mondiale (1939-45), con la completa riconversione a fini bellici degli apparati produttivi di tutte le principali potenze industriali dell’epoca, a segnare il maggior numero di innovazioni nel campo degli armamenti. L’intero arsenale degli stati in guerra fu rivoluzionato nel corso del conflitto. La potenza di fuoco delle armi in dotazione alla fanteria fu quintuplicata rispetto a quella raggiunta nel corso della prima guerra mondiale; al tempo stesso, la capacità operativa dei mezzi corazzati migliorò al punto che il carro armato tornò a svolgere sul campo di battaglia il ruolo che cinque-sei secoli prima era stato prerogativa della cavalleria. Nuovi cannoni, anche semoventi, raggiunsero rapidità di tiro e gittata senza precedenti. La corazzata, divenuta obsoleta e vulnerabile nell’arco di poche decine d’anni, fu sostituita dalla portaerei che diede un impulso decisivo alla guerra aerea, la quale ai veloci aerei da caccia affiancò ben presto vere e proprie fortezze volanti, bombardieri strategici in grado di trasportare fino a novemila chili di bombe a oltre tremila miglia di distanza. Sempre durante la seconda guerra mondiale fu realizzata un’organizzazione dell’innovazione tecnologica a fini militari senza precedenti: nel “progetto Manhattan” per la costruzione della prima bomba atomica furono impiegate centoventimila persone con un costo superiore ai due miliardi di dollari dell’epoca.

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3. L’era nucleare e il problema del controllo degli armamenti

Da allora ebbe inizio quella corsa agli armamenti nucleari che ha condizionato in modo determinante la vita dell’intero sistema politico internazionale almeno fino al 1989-91, fino cioè al momento della caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale e della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dopo che il 6 e il 9 agosto del 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, gli USA sganciarono le prime due bombe atomiche della storia sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, i sovietici iniziarono una rincorsa che li portò nel 1949 a sperimentare a loro volta il primo ordigno atomico. Nel 1952 gli Stati Uniti fecero esplodere la prima bomba all’idrogeno – che a differenza dell’atomica, che sfrutta il fenomeno della fissione nucleare, si basa sulla fusione dell’atomo, necessita di un innesco costituito da una piccola atomica e sviluppa un potenziale di circa mille volte superiore all’atomica stessa – seguiti a un anno di distanza dall’URSS. Da quel momento ebbe origine una competizione basata sulla strategia della dissuasione e segnata da momenti di crisi cui si succedettero fasi di relativa distensione, che si concretizzarono in una serie di trattati diretti al controllo o alla limitazione degli armamenti. La crisi dei missili cubani del 1962 fu seguita nel 1963 dalla firma del trattato per la sospensione parziale degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio e sott’acqua; nel 1968 dal trattato di non proliferazione nucleare (rinnovato nel 1995); nel 1972, infine, dagli Strategic Arms Limitations Talks (Salt I) che limitarono i sistemi di missili antibalistici. A segnare una momentanea inversione di tendenza, il Congresso statunitense nel 1979 non ratificò il Salt II, riguardante gli armamenti strategici offensivi e, a partire dallo stesso anno, si assistette in Europa al dispiegamento degli SS-20 sovietici e dei Pershing 2 della NATO. Nel 1981 ebbe inizio un periodo di nuove consultazioni (Start, Strategic Arms Reduction Talks) culminato nel 1987 con la firma del trattato Inf (Intermediate-range Nuclear Force) che determinò lo smantellamento degli euromissili su entrambi i fronti rendendo anche possibili, per la prima volta, reciproche verifiche nelle basi di installazione. Tale trattato pose anche fine, di fatto, alla nuova “iniziativa di difesa strategica”, denominata anche “guerre stellari”, appena avviata in USA dall’amministrazione del presidente Reagan. Il problema della proliferazione, tuttavia, non riguarda soltanto le superpotenze, né concerne a rigore soltanto le armi atomiche e termonucleari. Soprattutto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) e la fine dell’epoca bipolare, vari paesi si sono dotati di arsenali atomici o ne hanno avviato la costruzione (India, Cina, ecc.). I bassi costi di produzione e la facile disponibilità delle tecnologie di base hanno inoltre reso disponibili per un numero imprecisato di stati le cosiddette “atomiche dei poveri”: armi chimiche e batteriologiche che possono essere installate con facilità su munizioni di pezzi del tutto tradizionali. In conseguenza di ciò, e dell’ulteriore crescita del potenziale distruttivo delle normali armi convenzionali, l’unica alternativa a una diffusione senza controlli di strumenti di distruzione di massa sembra essere una politica di controllo e di limitazione degli armamenti che si estenda fino a comprendere sia il momento della produzione sia la fase di commercializzazione dei prodotti bellici. [Fabio Armao]

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