feudalesimo

Il feudalesimo è un sistema di rapporti interno all’aristocrazia medievale, fondato sullo scambio fra impegno militare da parte di un fedele (vassus) e concessione beneficiaria da parte di un protettore (senior).

  1. Le origini
  2. La “prima età feudale”
  3. La “seconda età feudale”
1. Le origini

Nell’alto medioevo, tra i popoli germanici le fedeltà personali erano spesso usate come sostitutivo del rapporto parentale: erano società ancora poco abituate alla stanzialità e quindi ogni individuo si identificava nel gruppo di persone in cui era inserito e non nel territorio in cui era insediato. Definiti gasindii dai longobardi, criados dai visigoti di Spagna, i fedeli dei capi, oltre a collaborare alla vita domestica, potevano ricevere compiti amministrativi e militari. Tra i franchi il vassus o vassallus o valvassor (tutti sinonimi) era da principio, nel VI secolo, un giovane di corte, un “garzone” addetto a vari incarichi dall’aristocratico protettore (che gli procurava in cambio vitto e alloggio). Negli anni della dinastia dei merovingi soltanto i re potevano avere una trustis, cioè una guardia personale di accompagnatori (leudes o antrustiones) fedeli come i vassalli ma di più alto livello sociale e con compiti essenzialmente militari. In parallelo i maestri di palazzo della dinastia dei carolingi, mentre accrescevano la propria potenza a danno dei re merovingi, usavano sempre più circondarsi di vassi con incarichi militari. Chi giurava fedeltà vassallatica doveva essere in grado di mantenersi il cavallo e l’armatura. Pertanto già dall’inizio del secolo VIII il vassallo era sempre un membro dell’aristocrazia militare. Le “clientele” vassallatiche presero il posto della trustis quando i carolingi assunsero la corona e anche per gli altri potenti del mondo franco, sia laici (ufficiali regi, grandi latifondisti) sia religiosi (abati, vescovi) divenne normale avere clientele di vassalli. I vassalli del re si distinguevano solo per la loro definizione di vassi dominici. Il rito attraverso cui si stabiliva il rapporto fra il protettore (il senior) e il protetto (il vassus) prevedeva l’“investitura” da parte del signore e l’“omaggio” da parte del vassallo: entrambi in piedi, il primo prendeva fra le sue mani le mani del fedele (immixtio manuum), il secondo giurava la sua fedeltà, che era ormai sempre di contenuto militare (il vassus si impegnava cioè a combattere per il senior ogni qual volta fosse necessario). Altri elementi gestuali facoltativi potevano completare il rito: uno dei più frequenti era il bacio (osculum). Nel rapporto vassallatico del pieno secolo VIII la concessione di un compenso in cambio di questa fedeltà era ancora facoltativa. Gradualmente, poi, divenne abituale remunerare la fedeltà con un beneficio: una rendita, qualche bene prezioso, prevalentemente una terra. I documenti altomedievali usano di preferenza il termine beneficium per indicare questo compenso, ma a poco a poco si affiancò un altro termine, feudum, latinizzazione di un termine germanico (fehu, feo) che in passato – negli anni del seminomadismo – era usato per indicare un pagamento di servizi, prevalentemente sotto forma di capi di bestiame, e talora come equivalente di “gregge”. Nella cultura successiva il termine “feudo”, proprio per la forte caratterizzazione derivante dal suo sapore esotico, ebbe maggior successo.

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2. La “prima età feudale”

In età carolingia si stabilizzò il rapporto vassallatico-beneficiario: un rapporto fra appartenenti allo stesso ceto aristocratico, un rapporto fra pari in cui le parti si assumevano un impegno (l’uno di protezione, l’altro di difesa) e che faceva dunque del vassallo una figura ben diversa da quella del cliens romano. Eppure proprio “clientele” si definiscono i raggruppamenti di vassalli intorno a un potente: queste clientele si ritrovavano insieme solo in circostanze belliche, perché normalmente ogni vassallo risiedeva nella propria casa (spesso un castello) e amministrava i propri beni; oltre alle terre beneficiarie doveva sempre badare alle sue numerose terre in piena proprietà, quelle che gli avevano garantito la ricchezza e lo status sociale che lo avevano condotto a diventare vassallo. Una rete di fedeltà e un mosaico di clientele caratterizzava la società carolingia, che cercava così di adattarsi a realtà estranee alla civiltà germanica (l’insediamento stabile, i territori definiti da confini e con impalcatura statale) con strumenti personali più assimilabili alla tradizione militare e tribale dei franchi. Le clientele vassallatiche potevano prendere il posto dell’“esercito di popolo” dei franchi, sempre più difficile da mobilitare: i vincoli di coesione concreta (naturali al tempo delle invasioni e dei grandi trasferimenti di massa) si erano allentati ed erano stati sostituiti da altri vincoli, sempre di natura personale. Nessun nobile franco si sentiva solo: le reti parentali e i legami vassallatici mantenevano in lui il senso di appartenenza. Nei regni carolingi l’istituto vassallatico-beneficiario servì per integrare l’apparato dello stato. La prima forma di integrazione la si vede se si considera che, alla rete dei suoi ufficiali (conti, marchesi, missi), il re affiancava la rete dei suoi “vassi dominici”, che talora avevano responsabilità politiche: funzioni di controllo, missioni di fiducia, incarichi militari in aree delicate del regno. Fino agli anni di Ludovico I il Pio (814-40) era addirittura possibile che i conti non fossero vassalli. In seguito si preferì che il reclutamento degli ufficiali regi avvenisse sempre all’interno della clientela regia, dove il sovrano poteva contare sulle persone maggiormente fidate, la cui obbedienza era rafforzata dal vincolo vassallatico. Tuttavia, anche dopo Ludovico il Pio, non ci fu mai identificazione tra vassalli e ufficiali (conti e marchesi): il vassallo non scelto come ufficiale non aveva poteri giurisdizionali delegati dal re. Se ai vassalli che non erano ufficiali del regno si aggiungono tutti coloro che avevano giurato fedeltà vassallatica a personaggi diversi dal re, ben si capisce come nella società franca i vassalli fossero molto più numerosi dei conti e dei marchesi. Questi altri vassalli erano preziosi per la seconda forma di integrazione dell’apparato carolingio. Quando il re chiedeva aiuto a un potente (indifferentemente laico o ecclesiastico) sapeva di non fare appello solo a lui o alla sua famiglia, ma anche a quella sorta di milizia privata che era la clientela del potente: così era garantita la massima mobilitazione militare, per di più con milizie di qualità, dato che i vassalli erano dediti essenzialmente all’attività militare. Una situazione di questo genere durò fino al secolo XI, quindi anche dopo la fine dell’impero carolingio. Le caratteristiche di questa fase, che il grande medievista Marc Bloch definì “prima età feudale”, sono le seguenti: il rapporto vassallatico era un correttivo che serviva a tenere collegati i poteri, non a disperderli (infatti è sbagliata la vecchia idea secondo cui il feudalesimo sarebbe stato responsabile della crisi dell’impero carolingio); il “feudatario” non aveva giurisdizione sulle terre beneficiarie e il “feudo” era soltanto un compenso economico della sua fedeltà militare; nasceva interferenza fra la carica di conte e lo status di vassallo solo nel caso, che di tanto in tanto si presentava, che a un vassallo – in cambio della sua fedeltà – fosse stato dato, come contenuto del beneficio, l’ufficio stesso di conte (non era una terra, ma era fonte di introiti, grazie all’esercizio della giustizia e alla riscossione delle imposte). In età postcarolingia la geografia politica europea mutò, e dai secoli X-XI si trasformò in un mosaico di signorie che si ripartivano il potere nelle campagne (signoria). Ognuna di esse poteva essersi formata o solo con terre in piena proprietà del latifondista, o anche con terre beneficiarie (che contribuivano a rendere più vasta la base fondiaria del signore che si stava potenziando). Ma il senior continuava per lo più a dare al vassus una terra senza il diritto di comandare su quella terra, a differenza di ciò che normalmente si crede. Gli atti legislativi più famosi sanciscono il diritto dei discendenti a subentrare al vassallo defunto nell’eredità di terre e di rendite, non di poteri: un diritto previsto come provvisorio (in attesa della decisione del senior) nel capitolare di Carlo il Calvo dell’877 e come definitivo nell’editto di Corrado II del 1037. Non solo la signoria, ma anche altre due realtà dei secoli centrali del medioevo sono “non feudali”: le aziende agrarie e la cavalleria. Nei grandi latifondi, coloro che lavoravano la terra non lo facevano perché impegnati da un qualche vincolo di natura feudale: erano o servi o coloni liberi (che pagavano anche con lavoro – le corvées – l’affitto delle terre avute in gestione), non vincolati da un giuramento di fedeltà. Quindi nel medioevo i caratteri interni della signoria fondiaria e rurale non avevano nulla di feudale. Dai secoli XI-XII in poi ai vassalli (sempre meno fedeli, sempre meno pronti a combattere per il signore, sempre più rassicurati dall’ereditarietà dei loro feudi) cominciarono ad affiancarsi i cavalieri. Ma l’investitura cavalleresca (l’adoubement o addobbamento) non era un rapporto fra pari: era la promozione operata da un membro della nobiltà a vantaggio di un uomo di sua fiducia che, attraverso l’assegnazione di cavallo e armatura, saliva a un rango superiore. Anche il rito era diverso, e il futuro cavaliere era genuflesso davanti al signore.

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3. La “seconda età feudale”

Quella che Marc Bloch definì “seconda età feudale”, successiva al secolo XI, spiega in gran parte la fortuna dell’idea di feudalesimo. Negli anni in cui lo sviluppo signorile stava apportando profondi mutamenti nelle campagne medievali, il rapporto feudo-vassallatico si rivelò infatti uno strumento utile per redistribuire il potere, oppure per dare copertura formale a potenziamenti di fatto già realizzatisi in modo non istituzionale. Alcuni principi cominciarono a dare come benefici ai loro fedeli non solo le terre ma anche la giurisdizione su di esse. È il cosiddetto “feudo di signoria”. Le caratteristiche che la storiografia ottocentesca e anche molta divulgazione successiva riconoscevano al “feudo” sono reperibili solo in questo specifico “feudo di signoria”, che le fonti spesso chiamavano feudum nobile. Altri signori locali, per dare legittimazione alla loro autorità di fatto, donarono le loro terre a un principe e le ricevettero subito in restituzione come feudi. I diritti che esercitavano per consuetudine venivano da quel momento presentati come delegati da quell’investitura feudale: è il “feudo oblato”. Gran parte dell’Europa tardomedievale, che aveva raggiunto per via spontanea e non feudale la sua fisionomia frammentata, si feudalizzò allora in una sorta di grande finzione – voluta dai giuristi divenuti influenti a partire dal secolo XIII – che faceva così apparire tutti i poteri locali discendenti da un unico grande centro erogatore di legittimità. Gli storici riconoscono oggi qualche validità alla famosa struttura piramidale del potere medievale solo per alcune aree come l’Inghilterra e l’Italia meridionale normanna: ma studi recenti cominciano a mettere in dubbio la piramide feudale anche per questi territori. È altresì difficile trovare caratteristiche simili in altri sistemi del mondo definiti “feudalesimi” solo per proiezione di una terminologia europea. Erano molto diverse sia le concessioni pubbliche dello stato come la pronoia bizantina (con divieto di alienazione e di frazionamento e senza un giuramento contrattuale come l’omaggio) sia le assegnazioni irreversibili di parcelle del demanio come l’iqtâ’ musulmana (usata talora come retribuzione iniziale una tantum per i governatori provinciali). Solo il Giappone ebbe una rete di rapporti simile al feudalesimo medievale franco. [Giuseppe Sergi]

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