stato etico

Concezione dello stato introdotta nel dibattito pubblico dalla filosofia idealistica nel XIX secolo. Accennata nelle ultime opere di Fichte, fu sviluppata da Hegel e ripresa nel XX secolo dal neoidealismo di Gentile e più in generale dal fascismo. Presupposti di tale teoria sono l’opposizione alla dottrina liberale dello stato come patto tra gli egoismi individuali e la concezione della società, e quindi dello stato, come comunità organica. Per i liberali l’individuo, con i suoi diritti inalienabili, era il fine della politica e lo stato solo il mezzo per la regolazione della vita sociale, senza il diritto di limitare le libertà personali più di quanto fosse necessario per impedire reciproche sopraffazioni. Per gli idealisti, invece, impregnati di spirito romantico, l’individuo trova la propria dimensione universale e concreta solamente nello spirito del popolo cui appartiene. Il vero soggetto della vita sociale e storica diventa così lo stato, espressione organizzata della comunità popolare, di cui l’individuo è come un organo che trova il proprio senso solo nella funzione che esercita all’interno del corpo nel suo complesso. Nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel giunse a sostenere la divinità dello stato, che raccoglie in sé tutto ciò che di universale il popolo produce, dall’arte alla religione, alla scienza, alla cultura intesa nel senso più profondo e complessivo. La sostanza etica dell’uomo, per Hegel, si realizza nelle istituzioni concrete che danno forma alla sua vita, cioè la famiglia, le articolazioni della società civile e lo stato, inteso come manifestazione dello spirito del popolo e non come mero strumento di amministrazione della vita sociale. La vera coscienza etica non ha sede nell’individuo, ma nella tradizione e nella cultura del popolo, per cui il singolo realizza la propria vera libertà, che è vita spirituale, solo nello stato. Non qualunque stato è etico per Hegel, ma solo quello che esprime l’unità e l’articolazione del popolo ed è quindi monarchico, costituzionale, con leggi uguali per tutti e con rappresentanza in sede istituzionale di ogni corpo sociale (per cui lo stato etico è anche corporativo). Gentile riprese la teoria hegeliana dello stato come incarnazione della moralità e la trasmise alla dottrina fascista. Il fascismo affermò di voler superare sia l’individualismo del 1789, cioè il liberalismo affermatosi a partire dalla Rivoluzione francese, sia il collettivismo del 1917, vale a dire il comunismo realizzato dai bolscevichi russi, proponendosi di unificare nello stato – sintesi di tutti i valori nazionali – la molteplicità del popolo. Il principio monocratico, culminante nella figura del duce, divenne così la giustificazione teorica dell’autoritarismo, non potendo lo stato tollerare alcuna forma di pluralismo che ne scalfisse la compattezza. Fu giustificata l’eliminazione dei partiti e dei sindacati e di qualsiasi articolazione della società che non fosse diretta emanazione dello stato. Ai principi della lotta di classe il fascismo contrappose quelli del corporativismo. Lo stato fascista, in quanto sostanza etica del popolo, fu anche totalitario, almeno nelle intenzioni: volle cioè intervenire in ogni aspetto della vita pubblica e privata dei cittadini, controllando la cultura, l’informazione, l’educazione, l’organizzazione del tempo libero, le scelte morali e i codici di comportamento (totalitarismo). Il nazionalsocialismo riprese dal fascismo gran parte delle tematiche che compongono la teoria dello stato etico, ma le assorbì in una filosofia razzista estranea al pensiero fascista originario.