Uruguay

Stato attuale dell’America meridionale.

  1. Il periodo coloniale
  2. La repubblica
1. Il periodo coloniale

Scoperto da Juan Diaz de Solís, che esplorò il bacino del Río de la Plata nel 1516, l’Uruguay, situato sulla riva orientale del fiume omonimo (da qui il nome di Banda Oriental), rimase per lungo tempo al riparo della colonizzazione europea, in parte per la relativa mancanza di ricchezze naturali e in parte per il carattere bellicoso delle popolazioni locali, i charrua, che si opposero strenuamente agli insediamenti stranieri, fatta eccezione per alcune missioni di gesuiti spagnoli. I primi a stabilire una base duratura nella regione furono i portoghesi del Brasile che fondarono nel 1680 Nova Colonia do Sacramento alla foce del Plata. Temendone l’espansionismo, gli spagnoli costruirono nel 1726 la città-guarnigione di Montevideo. Si aprì quindi una fase di conflitto tra le due potenze imperialistiche per il possesso della Banda Oriental (collocata ai limiti della linea fissata dal trattato di Tordesillas del 1494) che si concluse con il definitivo passaggio di questa alla Spagna nel 1776 e il suo inglobamento nel viceregno del Río de la Plata. L’indipendenza dell’Uruguay si realizzò nel quadro del più generale processo di emancipazione dalla dominazione coloniale che investì l’America Latina in seguito all’invasione napoleonica della Spagna. La spinta rivoluzionaria venne da Buenos Aires, insorta nel 1810. L’Uruguay si schierò a fianco degli argentini e sotto la guida di José Gervasio Artigas, postosi a capo di un esercito di gauchos, sconfisse gli spagnoli a Montevideo (1811). La lotta per l’indipendenza si protrasse per anni. I patrioti uruguaiani difesero strenuamente il proprio diritto all’autonomia sia contro gli spagnoli e i portoghesi loro alleati sia contro la giunta argentina, fautrice di una soluzione unitaria per le province dell’ex viceregno del Río de la Plata. Battuto definitivamente dai portoghesi nel 1820 Artigas si ritirò in esilio e l’Uruguay fu annesso al Brasile. Il movimento riprese nel 1825 per iniziativa di Juan Lavalleja, un luogotenente di Artigas, il quale riuscì a trascinare l’Argentina in una guerra contro il Brasile conclusasi nel 1828 col trattato di Río de Janeiro, che impegnò i due stati maggiori a riconoscere e rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’Uruguay. Con l’approvazione della nuova costituzione (1830) venne ufficialmente proclamata la repubblica, alla cui presidenza andò il generale Fructuoso Rivera.

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2. La repubblica

Fino agli inizi del XIX secolo la storia del nuovo stato fu contrassegnata da un susseguirsi ininterrotto di lotte interne, tra le opposte fazioni dei colorados, liberali, e dei blancos, conservatori, appoggiati rispettivamente dal Brasile e dall’Argentina di Rosas. Tra il 1839 e il 1852 infuriò una guerra civile, la cosiddetta “guerra grande” – cui partecipò un corpo di volontari guidati da Garibaldi – che ebbe termine soltanto con la cacciata di Rosas dall’Argentina. Seguì la guerra contro il Paraguay (la cosiddetta guerra di López, del 1864-70), che vide ancora una volta il paese diviso tra i colorados, schierati a fianco dell’Argentina e del Brasile, e i blancos, a fianco del Paraguay. La sconfitta di quest’ultimo segnò l’inizio di una lunga fase di predominio del colorados, ma non la fine della conflittualità interna. La svolta decisiva si ebbe con l’ascesa al potere di un colorado dissidente, José Batlle y Ordóñez, eminente figura di statista, il vero fondatore del moderno Uruguay, che dominò la scena politica dal 1903 al 1929. Sotto la sua guida il paese, che aveva conosciuto negli ultimi decenni del secolo XIX importanti trasformazioni economiche e sociali, si diede un sistema politico fondato su istituzioni liberali relativamente avanzate e una politica sociale progressista, divenendo una delle nazioni più democratiche e stabili dell’America Latina. Batlle fu presidente nel 1903-1907 e nel 1911-15. Il suo primo mandato lo vide impegnato a reprimere l’opposizione dei blancos, culminata in una ennesima guerra civile, e nell’opera di pacificazione nazionale. Durante il secondo mandato egli attuò un programma di riforme che prevedeva una legislazione sociale a tutela dei lavoratori e degli strati meno abbienti; l’istruzione elementare obbligatoria; misure di protezione per l’industria nazionale, la nazionalizzazione delle banche, delle ferrovie e il controllo degli investimenti stranieri; libertà di organizzazione per i partiti politici e suffragio allargato; la separazione tra stato e chiesa. Sotto la sua influenza fu varata nel 1919 una costituzione, modellata su quella svizzera, che stabilì limiti precisi ai poteri del presidente affiancandogli un Consiglio nazionale quale organo esecutivo. La crisi del 1929 ebbe riflessi pesantemente negativi sull’ancor fragile economia uruguaiana e sugli equilibri politici interni. Si ebbe quindi il ritorno a una sorta di caudillismo moderato con la presidenza di Gabriel Terra (1931-38), il quale sospese la costituzione del 1919 e instaurò un regime di tipo personalistico, sciogliendo il Congresso e il Consiglio nazionale. Ma i suoi successori ripresero la politica di Batlle (morto nel 1929), ristabilendo le istituzioni democratiche, schierandosi a favore degli Alleati nella seconda guerra mondiale, ampliando lo stato sociale e l’intervento pubblico nell’economia. Per evitare che il paese potesse di nuovo cadere nella mani di un dittatore, il presidente Andrés Martínez Trueba propose nel 1951 l’abolizione della carica presidenziale e la creazione di un esecutivo collegiale formato da nove membri, sei del partito di maggioranza e tre dell’opposizione. La riforma, sottoposta a referendum, fu approvata dalla popolazione. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta l’Uruguay, che nel dopoguerra aveva conosciuto una fase di espansione legata al ciclo economico postbellico, andò incontro a crescenti difficoltà. Il deficit nella bilancia dei pagamenti e la crisi finanziaria dello stato minarono alla base quell’esperienza riformistica che aveva assicurato al paese stabilità e progresso sociale. Alle elezioni del 1958 il partito colorado, che aveva dominato la vita politica per oltre novant’anni, fu sconfitto dai blancos (ora Partito nazionale), appoggiati dal mondo della finanza e della grande proprietà e da una parte del mondo rurale restato ai margini del processo di modernizzazione. Il governo blanco tentò di arginare la crisi ricorrendo all’indebitamento estero e varando misure che incisero sul tenore di vita della popolazione. Un’ondata di scioperi senza precedenti paralizzò settori vitali per l’economia del paese e indusse il governo ad adottare misure di sicurezza straordinarie per ristabilire l’ordine (1964). Tornati al potere nel 1966 in una situazione caratterizzata da un alto grado di conflittualità politica e sociale, i colorados ristabilirono il regime presidenziale. Il presidente Jorge Pacheco (1967-72) si schierò decisamente sul fronte conservatore: il suo piano di risanamento dell’economia, basato su provvedimenti impopolari, incontrò forti resistenze nella popolazione che reagì con scioperi e dimostrazioni di massa. Pacheco impresse allora al paese una svolta autoritaria che favorì l’affermazione del movimento rivoluzionario dei Tupamaros, le cui azioni terroristiche andarono intensificandosi. Sotto il suo successore, Juan María Bordaberry, si compì il passaggio dell’Uruguay dalla democrazia alla dittatura. Per combattere i Tupamaros egli dichiarò lo “stato di guerra”, sciolse il parlamento sostituendolo con un Consiglio di stato (1973), si appoggiò sempre di più ai militari i quali, nel 1976, alla vigilia della scadenza elettorale che avrebbe potuto portare a un ripristino della legalità, lo destituirono, mettendo al suo posto Aparicio Méndez, esponente del partito blanco. La dittatura dei militari inasprì la repressione nei confronti delle opposizioni, ma fallì nell’obiettivo di risanare l’economia. Per tentare di normalizzare la situazione che rimaneva estremamente tesa, il regime nel 1977 promise elezioni generali per il 1981 ed elaborò una costituzione che prevedeva limitazioni alle prerogative del parlamento, una sorta di tutela dei militari sui futuri governi e un ulteriore rafforzamento del potere esecutivo. La costituzione, sottoposta a referendum, fu respinta dalla popolazione nel 1980. Un programma di progressivo ritorno alla democrazia fu avviato sotto la presidenza del generale Gregorio Alvarez (1981-84), che permise la ricostituzione dei partiti in vista delle elezioni che si svolsero nel 1984. Ottenne la maggioranza il candidato del partito colorado Julio Maria Sanguinetti, il quale adottò una politica di riformismo moderato e di riconciliazione nazionale, suscitando la reazione delle forze della sinistra (comunisti, socialisti ed ex tupamaros), unite nel Frente amplio, che raccolsero le firme per un referendum contro l’amnistia per i reati del passato regime contro i diritti dell’uomo. Il referendum si tenne nel 1989 e la linea del Frente fu battuta di stretta misura. Nello stesso anno si svolsero le elezioni generali, dalle quali il partito governativo uscì sconfitto, pagando il prezzo della perdurante crisi economica. La vittoria andò al candidato dei blancos, Luis Lacalle Herrera, del Partito nazionale, un convinto liberista, ma una buona affermazione ebbe anche il Frente amplio (FA), che conquistò la città di Montevideo nella amministrative svoltesi contemporaneamente. Lacalle, insediatosi nel 1990, formò un governo di coalizione con i colorados e avviò un deciso programma di privatizzazione delle imprese di stato, nonostante l’opposizione dei sindacati e dei partiti del Frente, i quali chiamarono i lavoratori allo sciopero generale contro la politica economica del governo. Nel 1991 egli firmò con Argentina, Brasile e Paraguay un accordo per l’istituzione di un mercato comune (MERCOSUR). L’indirizzo economico liberistico di Lacalle e la riduzione dei servizi sociali ne determinarono la sconfitta alle elezioni del 1994, che riportarono alla presidenza Sanguinetti, che restò in carica fino al 2000, quando lasciò il posto al conservatore Jorge Battle Ibáñez, che fu a sua volta sostituito nel 2005 dal primo presidente di sinistra nella storia dell’Uruguay, Tabaré Vázquez, che orientò la propria azione di governo in vista del risanamento economico del paese e del riequilibrio sociale. Anche le successive elezioni del 2009 videro il successo di un altro candidato del Frente amplio, José Mujica, il quale, sin dall’avvio del proprio mandato, si ispirò al modello riformista incarnato dal presidente brasiliano Luis Inácio Lula da Silva e dal presidente cileno Michelle Bachelet.

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