Dewey, John

(Burlington, Vermont, 1859, † New York 1952). Filosofo statunitense. Opere principali: Etica della democrazia (1888), Il mio credo pedagogico (1897), Scuola e società (1899), Come pensiamo (1910), Democrazia ed educazione (1916), Esperienza e natura (1925), Logica, teoria dell’indagine (1938). Fondò a Chicago, nel 1896, la scuola-laboratorio in cui applicò i suoi principi di attivismo pedagogico. Con Mead e la cosiddetta “scuola di Chicago” elaborò il pensiero noto come “strumentalismo”, destinato a esercitare grande influenza sulla cultura nordamericana ed europea del XX secolo. Profondamente democratico, appoggiò e in parte influenzò con le proprie idee il New Deal di F.D. Roosevelt. Nel 1937 diresse la commissione di inchiesta sulle irregolarità dei processi staliniani e in particolare sul caso Trockij. Elaborò una teoria strumentalistica, che assorbì in una sintesi originale suggestioni tratte dall’hegelismo, dall’evoluzionismo darwiniano e dal pragmatismo di Peirce e di James, contrapponendosi a numerose correnti presenti nella cultura americana, come l’idealismo, il positivismo e l’empirismo logico. Ad esse oppose un nuovo concetto di esperienza, intesa come interazione tra organismo e ambiente, come “transazione” in cui ogni atto muta i termini della relazione. Concepì il pensiero come strumento per risolvere le situazioni problematiche, capace di indicare schemi di azione grazie a rigorose indagini fondate su tentativi ed errori, ipotesi e verifiche. Svincolò l’etica dalla ricerca di valori assoluti, per ricondurla a una continua messa in discussione di fini e mezzi, per rendere l’esperienza umana sempre più soddisfacente. Fu tra i più convinti sostenitori della democrazia, intesa non come puro meccanismo istituzionale, ma come partecipazione di tutti all’organizzazione sociale. Teorizzò la società come Grande Comunità, sintesi di collaborazione attiva e di rispetto della libertà, cioè del diritto alla differenza e alla critica. Valorizzò l’importanza centrale dell’educazione per la crescita della democrazia, purché la scuola sia una “comunità in miniatura”, fondata non sul nozionismo, ma sullo sviluppo delle potenzialità, degli interessi e della partecipazione dello studente alla vita del gruppo. Contro l’ottimismo e il pessimismo aprioristici, sostenne la fiducia “miglioristica” nel riformismo e nell’impegno democratico.