La guerra del Vietnam (1964-1975)

Vietnam Dalla guerra di Indocina alla guerra del Vietnam

Nel frattempo, finita la guerra il Vietnam fu occupato a nord del 16° parallelo dalle truppe cinesi e a sud dalle forze britanniche. Intanto la Francia, che non intendeva rinunciare alla tradizionale politica coloniale in Indocina, aprì nuovamente le ostilità contro la repubblica democratica del Vietnam, riprendendo in breve tempo il pieno controllo del sud del Vietnam e costringendo Ho Chi-minh ad accettare un accordo, siglato nel marzo del 1946, che prevedeva l’indipendenza del Vietnam nel quadro della Federazione indocinese – subentrata alla vecchia Unione indocinese – e dell’Unione francese. Il negoziato fallì ben presto, ostacolato dalle iniziative della potenza europea tese a francesizzare di fatto il Vietnam e dalle richieste di un’integrale autonomia avanzate dagli estremisti del Vietminh. I violenti scontri scoppiati nel novembre del 1946 ad Haiphong e repressi nel sangue dalle truppe francesi segnarono l’inizio della guerra d’Indocina fra la Francia e il Vietminh, le cui forze militari furono guidate dal generale Giap. Nel 1949 i francesi tentarono di contrapporre all’autorità di Ho Chi-minh l’ex imperatore dell’Annam Bao Dai nella parte meridionale del Vietnam mentre la Cina popolare e l’Unione Sovietica riconoscevano il governo di Ho Chi-minh. La guerra si protrasse fino al 1954, quando il generale Giap sconfisse definitivamente i francesi a Dien Bien Phu il 7 maggio; già alla fine di aprile, peraltro, la guerra d’Indocina era stata oggetto di trattative internazionali a Ginevra, dove divenne del tutto evidente come il conflitto si inserisse ormai all’interno di dinamiche internazionali che trascendevano i confini della politica coloniale francese. Durante il conflitto gli Stati Uniti, che in un primo tempo si erano mostrati favorevoli alla politica nazionalista di Ho Chi-minh, incominciarono ad appoggiare apertamente la Francia, pur senza intervenire militarmente al fianco di Parigi. La rivoluzione cinese del 1949 aveva infatti dato un nuovo significato alla guerra di liberazione nazionale del Vietnam, che iniziò a essere interpretata dagli Stati Uniti come un riflesso dell’influenza comunista nell’area asiatica. Gli accordi di Ginevra, siglati il 21 luglio del 1954, videro la partecipazione, oltre che delle due parti in causa, della Cina, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica: essi sancirono l’indipendenza della Cambogia e del Laos, nei quali fu fatto divieto di installare basi militari; si lasciò invece in sospeso il problema dell’unificazione del Vietnam, che venne diviso in due zone lungo la linea del 17° parallelo: il nord, sotto il completo controllo della repubblica democratica di Ho Chi-minh, con sede a Hanoi, e il sud che rimase zona d’occupazione francese. Le elezioni del 1956 avrebbero dovuto portare alla riunificazione del Vietnam. Gli Stati Uniti non firmarono gli accordi e, con il consenso della Francia, instaurarono nel sud un regime anticomunista con sede a Saigon. Le elezioni previste dalla conferenza di Ginevra non ebbero mai luogo, mentre i contrasti fra nord e sud del paese si inasprirono ulteriormente in connessione con la crescente tensione internazionale nella regione. Nel nord il nuovo regime, con i cospicui aiuti della Cina e dell’Unione Sovietica, si sforzò di perseguire una politica di riforme economiche finalizzate alla collettivizzazione della proprietà e a una riforma agraria che permettesse lo sviluppo del paese; nel sud, la riforma agraria non apportò miglioramenti sostanziali nelle condizioni di vita della popolazione rurale e l’economia del paese finì per appoggiarsi sempre più agli interessi statunitensi; fu attuata nel contempo una rigida e capillare repressione anticomunista, che ebbe il suo campione nel cattolico Ngo Dinh Diem, eletto capo dello stato nell’agosto del 1955. Il suo regime oppressivo e corrotto finì per favorire la nascita di un ampio movimento rivoluzionario sotto l’egemonia dai comunisti e sostenuto da Hanoi, che andò sempre più rafforzandosi quando apparve evidente che il governo di Diem non avrebbe organizzato le elezioni previste dagli accordi di Ginevra. L’opposizione crescente alle direttive di Saigon si diede una struttura organizzata nel dicembre del 1960 con la creazione del Fronte nazionale di liberazione del Vietnam del sud che raccolse tutti i dissidenti genericamente definiti come Vietcong (comunisti vietnamiti). Il conflitto fece allora un ulteriore salto di qualità: cessò di essere limitato allo scontro fra i guerriglieri e le forze reazionarie sudvietnamite aiutate economicamente dagli Stati Uniti, per assumere nuove e più tragiche proporzioni. Il sud cominciò ad avvalersi in maniera sempre più massiccia di aiuti, armi e consiglieri americani; la presidenza di Kennedy aumentò la presenza americana da qualche migliaio di unità a trentamila uomini e insediò formalmente a Saigon un comando militare americano. Al tempo stesso si fece sempre più incontenibile l’opposizione contro Diem che, perso l’appoggio americano, fu destituito con un colpo di stato nel novembre del 1963. Le crescenti difficoltà politiche e militari di Saigon causarono continui colpi di stato mentre l’intervento americano, sotto la presidenza di Johnson, assunse dimensioni sempre più ampie (nel 1968 il contingente statunitense superava ormai le settecentomila unità). La gigantesca macchina bellica e l’avanzata tecnologia militare degli Stati Uniti non riuscirono tuttavia ad avere ragione della resistenza dei Vietcong, forti dei crescenti aiuti militari provenienti dalla Cina e dall’Unione Sovietica, dell’appoggio diretto delle truppe nordvietnamite e della collaborazione delle masse contadine. Il governo americano, dopo aver inutilmente tentato di limitare gli aiuti di Hanoi ai partigiani vietnamiti minacciando apertamente il Vietnam del nord qualora Ho Chi-minh non avesse rinunciato alla lotta, con la “risoluzione del Tonchino” (1964) – dietro il pretesto di un presunto attacco di corvette nordvietnamite alla flotta americana – diede inizio a massicci bombardamenti a nord del 17° parallelo. Nel 1966 bombardamenti indiscriminati colpirono Hanoi e il porto di Haiphong. L’escalation statunitense non ebbe però i risultati auspicati: nonostante l’impiego indiscriminato di sofisticate armi di sterminio, le forze congiunte dei Vietcong e dei nordvietnamiti non soltanto resistettero ma passarono all’attacco nel gennaio del 1968 (offensiva del Tet). Nel marzo del 1968 il presidente Johnson, sull’onda anche di una forte opposizione alla guerra nell’opinione pubblica americana e mondiale, decise la cessazione dei bombardamenti sul territorio settentrionale del Vietnam. A Parigi, il 10 maggio del 1968, si aprirono i colloqui preliminari per dibattere i termini di una possibile pace mentre continuavano gli scontri. Sotto la presidenza di Nixon, seppure in modo contraddittorio, si crearono le condizioni per un progressivo disimpegno degli Stati Uniti. Ma il piano progettato per rafforzare il Vietnam del sud e indebolire il Vietnam del nord si rivelò un fallimento. Nonostante le prime trattative diplomatiche, la guerra conobbe nuove atrocità e si estese nel 1970 anche alla Cambogia e al Laos, che furono invasi dagli americani per distruggere le basi militari di appoggio utilizzate dai comunisti vietnamiti; nel 1972 gli Stati Uniti intensificarono i bombardamenti sul Vietnam del nord in seguito a una nuova offensiva del Fronte che ancora una volta aveva evidenziato la debolezza del regime di Saigon retto da Nguyen Van Thieu. Nel gennaio del 1973 a Parigi ripresero le trattative fra Kissinger, principale artefice della politica estera di Nixon, e Le Duc To, plenipotenziario nordvietnamita. Gli accordi stabilirono il cessate il fuoco immediato, il ritiro delle forze americane, la formazione di un governo di coalizione nel sud e una serie di clausole che non ebbero mai applicazione. La guerra si protrasse tuttavia ancora per due anni, fino a quando il 30 aprile del 1975 i comunisti entrarono a Saigon e posero fine al regime di Van Thieu. Fu istituito un governo comunista e nell’aprile del 1976 fu eletta un’assemblea nazionale unica per il nord e per il sud. Il paese fu così unificato nella repubblica socialista del Vietnam, che fu ufficialmente proclamata il 2 luglio 1976 ed entrò a far parte dell’ONU nel settembre del 1977.