Bibbia

Con questa parola, in uso presso le chiese cristiane e fatta propria dalla cultura occidentale, si indica il complesso dei libri sacri della tradizione ebraica e cristiana (ebraismo, cristianesimo). Gli ebrei, però, si riferiscono a tale complesso con l’acrostico tenak, che deriva dalle tre parole torah (Legge), nevi’ìm (Profeti) e ketubìm (Scritti), che contrassegnano le tre grandi sezioni della Bibbia ebraica. I cristiani dividono la Bibbia in quattro sezioni, in quanto quella dei Profeti è a sua volta suddivisa in due parti: Libri Storici e Libri Profetici. La Bibbia (dal greco bìblia, libri) è dunque formata da molti libri, raccolti in più gruppi. I libri considerati sacri formano il “canone”. Né tutte le chiese né gli ebrei hanno il medesimo canone, cioè non tutte le confessioni considerano sacri gli stessi libri. Il canone più ristretto è quello ebraico. I libri che lo compongono sono accettati anche da tutte le chiese cristiane. Per gli ebrei questi libri sono la Bibbia; per i cristiani formano solo la prima parte della Bibbia, che è detta Antico Testamento, in contrapposizione al Nuovo Testamento, che comprende gli scritti propriamente cristiani. La parola “Testamento” è la traduzione dotta del greco diathèke, che nel greco del tempo delle origini cristiane significava anche “patto”, cioè l’unione particolare stabilita da Dio col suo popolo. I libri della Bibbia ebraica sono, nell’ordine in cui appaiono nelle bibbie cattoliche e secondo i nomi oggi in uso: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio (che formano il “Pentateuco”); Giosuè, Giudici, Rut, I e II Samuele, I e II Re, I e II Cronache, Ezra, Neemìa, Ester (“Libri Storici”); Giobbe, Salmi, Proverbi, Qohélet o Ecclesiaste, Cantico dei Cantici (“Libri Sapienziali”); Isaia, Geremia e Lamentazioni, Ezechiele, Daniele (i “Grandi Profeti”); Osea, Gioele, Amos, Abdìa, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonìa, Aggeo, Zaccarìa, Malachìa (i “Dodici Profeti” o “Profeti Minori”). I cristiani usarono, però, fin dai primi secoli un canone più vasto, che comprendeva altri sette libri: Tobia, Giuditta, I e II Maccabei (sezione “Libri storici”); Baruc (sezione “Profeti”); Siracide o Ecclesistico e Sapienza (“Sapienziali”). Il canone ebraico dell’Antico Testamento fu difeso da Lutero come unico valido anche per i cristiani e come tale è accettato da tutte le chiese protestanti. I cattolici continuano invece a considerare canonici, anche gli altri sette libri i quali, dopo il concilio di Trento (1545-63), sono stati sistemati in un secondo canone, da cui il nome di “deuterocanonici”. Questi libri furono scritti originariamente in greco (o forse si è perso l’originale ebraico, di cui ora abbiamo solo frammenti). I libri del Nuovo Testamento sono i tre vangeli di Matteo, Marco e Luca, detti “sinottici” per la loro somiglianza strutturale; il vangelo di Giovanni; gli Atti degli apostoli; le epistole paoline (alcune sicuramente autentiche, altre discusse, certamente apocrifa quella Agli Ebrei); l’epistola di Giacomo, le due di Pietro, le tre di Giovanni, quella di Giuda; l’Apocalisse di Giovanni. I libri biblici hanno datazioni diverse, spesso discusse. I più antichi sono quelli di Osea e di Amos (fine VIII secolo a.C.), a noi giunti in un’edizione del V secolo. I più recenti sono, ovviamente, quelli cristiani. La divisione in capitoli è relativamente recente, e fu introdotta da Stefano Lengton, arcivescovo di Canterbury, nel 1228 nel testo della “Vulgata”. In seguito fu assunta anche dalla tradizione greca ed ebraica. La lingua originale della Bibbia è l’ebraico, salvo alcune parti scritte in aramaico (Ezra 4, 8 – 6, 18 e Daniele, 2, 4b – 7, 28). I libri deuterocanonici sono giunti a noi solo in greco, che per alcuni è anche la lingua originale. Fa eccezione il Siracide, del quale abbiamo vasti frammenti ebraici medievali. La lingua originale del Nuovo Testamento è il greco, ma per i sinottici i materiali potrebbero essere traduzione dall’ebraico. L’Antico Testamento cominciò a essere tradotto in greco ad Alessandria nel III secolo a.C. e nel I secolo a.C. era già certamente tradotto per intero. È il testo dei “Settanta”, così chiamato dalla leggenda che narra come settanta dotti ebrei tradussero in greco la Bibbia, l’uno indipendentemente dall’altro, accorgendosi alla fine di aver fatto tutti la medesima traduzione. Il testo greco diverge da quello della tradizione ebraica in molti punti: il libro più diverso è quello di Geremia. Le scoperte di manoscritti ebraici presso il Mar Morto (manoscritti di Qumran) ci hanno mostrato alcuni frammenti che rappresentano il modello ebraico del testo greco. Le peculiarità del greco dipendono, pertanto, non da libertà di traduttori, ma da una tradizione ebraica antica, che poi si è perduta all’interno della tradizione ebraica stessa. La chiesa occidentale dei primi secoli tradusse la sua Bibbia dal greco: è la cosiddetta Vetus Latina. Verso la fine del IV secolo d.C. San Girolamo, preoccupato per il pessimo stato dei manoscritti latini che circolavano, diede inizio a un’opera di revisione che lo portò a correggere la Vetus Latina sull’ebraico, da lui considerato il testo “vero” (Hebraica veritas). L’opera di Girolamo è detta “Vulgata” e rappresenta il testo più vicino a quello ebraico. Nel giro di alcuni secoli la Vulgata si impose, escluso il libro dei Salmi, del quale lo stesso Girolamo aveva curato due edizioni, una sul greco e una sull’ebraico. La prima si affermò nettamente sulla seconda. Lutero propose però un ritorno ancora più completo all’Hebraica veritas (da qui l’espulsione dei sette deuterocanonici e l’introduzione dei salmi tradotti dall’ebraico). Lo stesso Lutero, per il quale la Bibbia costituiva la base e l’origine della tradizione, tradusse la Bibbia in un volgare aulico, che diventò il tedesco letterario. La necessità teologica di far conoscere a tutti la Sacra Scrittura ebbe effetti positivi sull’alfabetizzazione. Il concilio di Trento (1545-63) rovesciò le posizioni di Lutero riguardo alla Scrittura, affermando che essa era espressione della tradizione e da questa derivava. Inoltre, pur non dichiarando esplicitamente ispirata la Vulgata, tuttavia la indicò come l’unico strumento valido nelle discussioni teologiche. È dalla Vulgata che furono fatte dai cattolici le prime traduzioni in volgare dopo Trento (celebre quella italiana del Martini del 1769), ed essa rimase la base delle traduzioni successive. Solo verso la metà del XX secolo si è ripreso a tradurre la Bibbia dall’ebraico. Le odierne traduzioni si fondano senza eccezioni sull’ebraico. La cultura ebraica ha trasmesso la Bibbia nella propria lingua con estrema cura. Le differenze tra manoscritti, anche appartenenti a scuole diverse, sono nell’insieme minime se confrontate con le varianti esistenti nelle tradizioni occidentali. Il testo ebraico della Bibbia, scritto originariamente in sole consonanti, cominciò verso la fine del I millennio a essere “puntato”, cioè completato di punti aggiunti sopra o sotto le consonanti, adatti a indicare la pronuncia delle vocali e l’intonazione di voce. Con quest’opera il testo biblico fu fissato secondo l’interpretazione che poi è divenuta dominante. I dotti che trasmisero la Bibbia ebraica e la dotarono di punti vocalici sono detti “masoreti”, cioè “tradenti”. In relazione ai tempi, la loro opera rappresenta un monumento di accuratezza filologica. [Paolo Sacchi]