Aristotele

(Stagira 384, † Calcide 322 a.C.). Filosofo greco. Allievo di Platone, rimase nell’Accademia fino alla morte del maestro (347). Figlio di un medico della corte macedone, fu incaricato dal re Filippo di istruire il figlio Alessandro. Nel 335 fondò ad Atene la propria scuola, il Liceo (poiché situato accanto al tempio di Apollo Licio) o scuola peripatetica (per l’abitudine di discutere nel viale del passeggio, “peripatos”). Costretto dal partito antimacedone a lasciare Atene dopo la morte di Alessandro Magno (323), riparò a Calcide, dove morì l’anno seguente. Della sua opera enciclopedica sono rimasti quasi tutti gli scritti “esoterici” (rivolti agli studenti), suddivisi nel I secolo a.C. in opere logiche, fisiche, metafisiche, pratiche e poietiche. Sono andate perdute le opere “essoteriche”, rivolte al pubblico. Aristotele si allontanò dall’idealismo platonico negando l’esistenza di idee separate dalle cose e proponendo l’immagine di un mondo di sostanze in cui le forme, caratteri comuni agli enti di una stessa specie, sono indissolubilmente congiunte (in un “sinolo”) con la materia. Spiegò finalisticamente il divenire con la tendenza di ogni ente a tradurre in atto ciò che ha in potenza, in un quadro teologico che vede in Dio il fine supremo e il motore immobile del movimento universale. Divise l’universo fisico in due regioni, inaugurando una tradizione cosmologica che dominò fino all’avvento della scienza moderna (Galilei): la regione sublunare, costituita dagli elementi il cui moto naturale è rettilineo (terra, acqua, aria, fuoco), e quella celeste, eterea, dotata di movimento perfettamente circolare. Esercitò enorme influsso sul pensiero successivo anche con le teorie sull’anima, sulla conoscenza, sulla logica, sulla poetica e sulla morale. Nella Politica affermò la natura essenzialmente socievole e politica dell’uomo (zoon politikòn), poiché solo una bestia o un Dio possono vivere nell’isolamento. Sostenne la centralità della famiglia, comprendente gli schiavi, come cellula della vita sociale, politica ed economica, organizzata in base a rapporti di potere che prevedono la supremazia del pater familias su moglie, figli e schiavi. Individuò nello stato, unione di più villaggi (a loro volta unione di più famiglie), la condizione perché la comunità possa vivere nella virtù e nella prosperità. Attribuì importanza non tanto alla forma di governo dello stato, che può essere monarchica, aristocratica o democratica, quanto al fatto che il soggetto della sovranità non perda di vista il bene comune. Si espresse comunque a favore di una forma mista di governo e di una società di medie dimensioni e in cui le classi medie prevalgano su quelle troppo ricche o troppo povere. Già nell’Etica aveva identificato la virtù col giusto mezzo tra gli estremi. La sua teoria delle forme di governo – fondata sul duplice criterio del “chi” governa (in base al quale si distinguono le tre forme sopra citate) e del “come” si governa (in base al quale ognuna delle tre forme si articola ulteriormente in un tipo “retto” e in un tipo “degenerato” – rimase in ogni caso per secoli, fino alle soglie del Novecento, un punto di riferimento obbligato della filosofia politica occidentale. L’aristotelismo ebbe un posto di primo piano nel pensiero antico e nel medioevo sia cristiano, sia arabo (Averroè). Attraverso la rielaborazione di Tommaso d’Aquino influenzò a lungo la filosofia e la cosmologia ufficialmente accettate dalla Chiesa. In età rinascimentale servì anche a rilanciare un razionalismo laico, spregiudicato ed ereticheggiante (Pomponazzi). Singoli aspetti del pensiero di Aristotele entrarono in crisi irreversibile a partire dalla rivoluzione scientifica moderna, ma l’impianto metafisico di fondo è tuttora accettato dalla corrente neotomistica.