rivoluzione scientifica

Con l’espressione “rivoluzione scientifica” si intende la trasformazione dell’immagine dell’universo fisico e dei metodi per indagarlo che maturò nel periodo compreso tra la rivoluzione copernicana (con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium nel 1543) e la sistematizzazione della fisica classica nei Principia mathematica philosophiae naturalis (1687) di Newton. Le sue tappe fondamentali furono l’elaborazione copernicana della teoria eliocentrica; la scoperta di Keplero della natura ellittica e non circolare dei moti dei pianeti; le numerose scoperte galileiane, grazie anche all’invenzione del cannocchiale; la scoperta della gravitazione universale e la costruzione del sistema del mondo (la natura come ordine geometrico di leggi) a opera di Newton. L’insieme di questi sviluppi – in tal senso “rivoluzionari” – ebbe l’effetto di smantellare la concezione della natura e del cosmo che aveva accompagnato la scienza e la cultura per tutta l’età antica e medioevale. All’immagine aristotelica, tolemaica e poi tomistica dell’universo – geocentrico, finito e diviso in due regioni, la sublunare e la celeste, governate da leggi diverse e dotate di differenti livelli di perfezione – si sostituì l’immagine di un universo eliocentrico, secondo molti pensatori infinito e unitario nelle proprie leggi. Ne risultò sconvolta la gerarchia tradizionale dei valori, da sempre fondata sull’idea della centralità nel mondo della Terra, di cui l’uomo è il signore. Per questo e per il suo contrasto con alcuni passi della Bibbia (che attribuivano al Sole il movimento intorno alla Terra), la nuova scienza fu avversata con vigore dalla cultura tradizionale e dalle chiese, in particolare dalla cattolica la quale, nel clima della Controriforma, usò gli strumenti dell’Inquisizione per frenare le ricerche e la diffusione delle nuove idee (si pensi ai processi contro Giordano Bruno e Galileo Galilei). Ciò provocò un intenso dibattito anche all’interno del mondo scientifico. Alcuni pensatori cercarono di presentare queste nuove rappresentazioni dell’universo come pure ipotesi (Osiander, Bellarmino); altri, invece, sostennero con coraggio la tesi della loro realtà fisica. Galilei teorizzò anche l’autonomia della scienza dalla fede, insegnando la prima “come va il cielo”, la seconda “come si va in cielo”. Nel Seicento prese corpo la concezione meccanicistica dell’universo, che, forte dei risultati della spiegazione meccanica dei fenomeni fisici e astronomici, estese lo stesso modello all’intera realtà materiale, riducendo anche la spiegazione del mondo biologico e perfino umano alle leggi della materia e del movimento. Il Seicento fu anche il secolo del dibattito sul metodo della scienza e della conoscenza, nel quale si impegnarono tutti i principali intellettuali, da Bacone a Galilei fino a Cartesio. Si scontrarono una concezione ancora qualitativa della scienza (Bacone), che sopravvisse nell’ambito di alcune scienze naturali (botanica, zoologia, ecc.), e la concezione quantitativa (Galilei), che si affermò fino a fare della scienza moderna nel suo complesso un grande progetto di matematizzazione della natura. Si aprì una divisione anche tra i sostenitori del primato dell’esperienza e del metodo sperimentale (empiristi) e i teorici del metodo assiomatico-deduttivo sul modello della geometria euclidea (razionalisti). Il metodo sperimentale si arricchì di un sempre più stretto e fecondo rapporto tra scienza e tecnica, inaugurato simbolicamente dall’invenzione galileiana del cannocchiale e proseguito da invenzioni di straordinaria efficacia scientifica (microscopio, termometro, pendolo, barometro). La vecchia immagine magico-sacerdotale del filosofo naturale fu sostituita dal principio della collegialità del lavoro scientifico e della pubblicità dei risultati. Per favorire il coordinamento delle ricerche furono fondate numerose accademie e istituzioni scientifiche, con finanziamenti sia pubblici che privati. Le più importanti furono l’Accademia dei Lincei, fondata a Roma nel 1603; l’Accademia del Cimento (1657); l’inglese Royal Society (1662); la francese Accademia delle Scienze (1663). Un’acquisizione importante del nuovo clima culturale fu l’abbattimento del principio d’autorità (l’ipse dixit) e l’affermazione della concezione del sapere come progresso continuo nel tempo: si diffuse la convinzione che “la verità è figlia del tempo” (Bacone) e che i moderni sono come nani sulle spalle dei giganti, in grado di vedere più in là degli antichi perché in possesso di una maggiore esperienza, accumulata nei secoli (“i veri antichi siamo noi”). L’idea del progresso divenne così un asse portante della coscienza europea nell’età moderna.