Robespierre, Maximilien François

(Arras 1758, † Parigi 1794). Uomo politico francese. Di origini borghesi, avvocato di formazione illuminista particolarmente influenzato dal pensiero politico di Rousseau, nel 1789 rappresentò il Terzo Stato della provincia dell’Artois agli Stati generali. Fece quindi parte dell’Assemblea nazionale, nell’ambito della quale espresse una posizione democratica avanzata, come dimostrano alcuni suoi interventi in favore della libertà di pensiero e di espressione, del suffragio universale, dell’istruzione gratuita e obbligatoria. Tra i fondatori del club dei giacobini, di cui nel marzo 1790 divenne presidente, vi impose progressivamente la sua linea politica fino a provocare, nel luglio 1791, la scissione del gruppo moderato (che diede vita ai foglianti). La fuga di Luigi XVI (21 giugno 1791) lo portò poi ad assumere una posizione risolutamente antimonarchica, ben espressa nella sua (in quel momento isolata) richiesta di processo al re. Non entrò poi nell’Assemblea legislativa (egli stesso aveva voluto che non fossero eleggibili coloro che avevano fatto parte dell’Assemblea nazionale), ma come leader carismatico dei giacobini si impegnò in un’intransigente opposizione alla volontà bellicista dei girondini, vedendo nella guerra esterna una minaccia alle conquiste e al proseguimento del processo rivoluzionario e una concreta possibilità di successo per le forze controrivoluzionarie. Fallito il tentativo di scongiurare il conflitto, di fronte alla minaccia di invasione, si fece però assertore della difesa a oltranza della patria. Membro della Comune insurrezionale di Parigi (costituitasi il 10 agosto 1792), fu poi eletto alla Convenzione nazionale (20 settembre 1792) dove si impose come figura di primo piano dei montagnardi e come irriducibile avversario dei girondini (dai quali fu apertamente accusato di mire dittatoriali). La sua opposizione alla maggioranza girondina in seno alla Convenzione toccò i momenti più drammatici nel corso del processo a Luigi XVI (dicembre 1792 – gennaio 1793) quando egli si espresse per una condanna politica del sovrano, e poi nel momento in cui, a seguito del tradimento del generale Dumouriez (marzo 1793), spinse il popolo parigino all’insurrezione che portò alla caduta della Gironda (31 maggio – 2 giugno). Membro del Comitato di Salute pubblica (organo esecutivo della Convenzione) fin dall’aprile 1793, fu però dopo il suo rimpasto (luglio 1793) che vi svolse un ruolo fondamentale divenendo in breve l’anima della dittatura giacobina. Costituì allora intorno a sé un governo radicale di minoranza, espressione della piccola e media borghesia ma forte dell’appoggio delle masse popolari (in particolare dei sanculotti parigini), il cui proposito era quello di mobilitare la nazione contro i nemici interni ed esterni attraverso il ricorso al Terrore. Profondamente legato a una concezione etica da tradurre nella prassi politica, concepì la “virtù” repubblicana come il collante dei vari strati sociali. Difese energicamente tutti i provvedimenti presi dal Comitato (dall’istituzione della leva in massa all’introduzione del maximum dei prezzi e dei salari, alla repressione della rivolta nella Vandea) e contribuì in modo fondamentale all’elaborazione di una nuova costituzione repubblicana (approvata il 24 giugno 1793 ma rinviata nella sua applicazione alla fine della guerra). Vicino al deismo, istituì il culto dell’Essere supremo, che avrebbe dovuto tradurre in forme razionali il sentimento religioso e favorire l’attaccamento del popolo alla patria, mentre si oppose a una radicale politica di scristianizzazione come avrebbero voluto gli hebertisti. Alla ricerca di un difficile superamento dei contrasti sorti fra le diverse componenti che sostenevano il potere giacobino, dall’autunno 1793 procedette all’eliminazione delle ali estreme, rappresentate dagli “indulgenti” legati a Danton e Desmoulins e dagli “arrabbiati” di Roux e i seguaci di Hébert (marzo – aprile 1794). Non riuscì però a evitare che, proprio nel momento in cui la minaccia esterna era sventata e la guerra volgeva a favore degli eserciti rivoluzionari, il regime del Terrore si rivelasse sempre più odioso e ingiustificato e si approfondisse la frattura fra i giacobini e i sanculotti (che volevano più severe misure di controllo della produzione, della distribuzione e dello stesso esercizio del potere politico). La crescente opposizione nei suoi confronti portò quindi alla sua caduta (9 termidoro anno II: 27 luglio 1794) e alla sua esecuzione il giorno seguente.