Pertini, Alessandro

(Stella, Savona, 1896, † Roma 1990). Uomo politico italiano. Presidente della repubblica dal 1978 al 1985. Durante la prima guerra mondiale combatté come ufficiale di complemento e nel 1918 si iscrisse al PSI. Nel 1922 aderì al PSU riformista e iniziò una tenace lotta antifascista. Arrestato e condannato, nel 1925 e nel 1926, riuscì tuttavia a rendersi irreperibile e a fuggire in Francia, dove organizzò una radio clandestina che trasmetteva in Italia. Condannato in contumacia nel 1927, decise nonostante ciò di ritornare in patria, per combattere il regime con maggior efficacia. Nel 1929 fu arrestato e condannato a dieci anni. Da allora fu recluso in molte carceri (S. Stefano, Turi, Pianosa) e dal 1935 fu costretto al confino, prima a Ponza, poi alle Tremiti e a Ventotene. Fu liberato al crollo del fascismo (1943) e subito dopo fu tra i fondatori del PSIUP a Roma. Nei mesi successivi diventò una figura di primo piano del movimento partigiano e della Resistenza. Nel 1944 riuscì a fuggire da Regina Coeli, dopo essere stato arrestato e condannato a morte dai tedeschi. Fu poi esponente della giunta militare centrale del CLN e dirigente del CLNAI. Nell’aprile del 1945 con Longo e Valiani diresse l’insurrezione di Milano che portò alla liberazione. Nel dopoguerra accompagnò l’attività politica a quella di giornalista. Nel 1945-46 e nel 1950-51 fu direttore dell’“Avanti!”, e dal 1947 de “Il lavoro” di Genova. Eletto nel 1946 all’Assemblea Costituente, fu senatore nella prima legislatura e deputato dal 1953. All’interno del PSI la sua posizione fu sempre piuttosto isolata, lontana dalle correnti e spesso critica nei confronti della direzione. Nel 1946 sostenne l’autonomia dei socialisti pur nell’ambito del patto di unità d’azione con il PCI. Nel 1948 fu contrario alle liste elettorali unificate con i comunisti. Durante il periodo più duro della guerra fredda seguì senza entusiasmo la linea filosovietica del segretario Morandi. Vicino a Nenni dopo il 1956 e la destalinizzazione, ritornò ai vertici del partito nel 1961. Dal 1968 al 1976 fu presidente della Camera dei Deputati. Nel 1978 fu eletto presidente della repubblica. Come capo dello stato ottenne un eccezionale consenso e una notevole popolarità presso l’opinione pubblica e i cittadini comuni, affascinati dalle sue doti di simpatia umana e di cordialità. Tuttavia l’interpretazione del proprio ruolo in termini spesso esasperatamente personalistici e anticonformistici sollevò a volte alcune voci di dissenso. In anni molto difficili per il paese a causa soprattutto della lotta contro il terrorismo, fece energicamente appello all’unità nazionale e al rispetto della Costituzione, insistendo sul nesso irrinunciabile tra giustizia e libertà, esaltando la lotta antifascista come autentico fondamento della repubblica e auspicando più decisi sforzi per la distensione e la pace nel mondo. Gli ultimi due anni del suo settennato furono segnati da sempre più frequenti prese di posizione pubbliche, spesso al di fuori del consueto cerimoniale e in polemica con il governo e il ceto politico, che destarono varie critiche rispetto al ruolo super partes previsto dalla Costituzione per il capo dello stato. Nel 1985, scaduto il suo mandato, continuò l’attività politica come senatore.