Partito repubblicano italiano

Formazione politica costituita nel 1895 per raccogliere l’eredità storica e ideale delle dottrine di Mazzini e Cattaneo e del risorgimentale Partito d’azione. Presente soprattutto nei ceti medi democratici, raggiunse una certa diffusione di massa in alcune zone dell’Emilia-Romagna e della Sicilia. I punti qualificanti del suo programma furono fin dalle origini la rivendicazione della repubblica democratica fondata sul suffragio universale, della progressività delle imposte, della laicità dello stato e dell’istruzione, del decentramento regionale, del liberismo economico e l’irredentismo. Entrato nel parlamento con 22 deputati nel 1897, fece parte, con radicali e socialisti, dell’“estrema sinistra” che nel 1899 impedì, dopo un lungo ostruzionismo parlamentare, l’approvazione del liberticida disegno di legge Pelloux. Nel 1900 ebbe 80.000 voti e 29 deputati. Diversamente dai radicali, il PRI, coerente con la pregiudiziale antimonarchica, non entrò nei governi giolittiani e rimase costantemente all’opposizione per tutta la durata della monarchia. Nel 1914 partecipò, con anarchici e socialisti, alla “settimana rossa”. Durante la prima guerra mondiale, il PRI, una parte del quale aveva già approvato l’invasione della Libia del 1911, sostenne l’interventismo democratico e irredentista. Nel 1922, dopo qualche iniziale incertezza, dovuta al timore del rafforzamento del movimento socialista nell’immediato dopoguerra, si schierò risolutamente contro la montante violenza fascista. Dopo il delitto Matteotti partecipò alla secessione “aventiniana” e nel 1926 fu soppresso dalle leggi fasciste. Nel 1927 i repubblicani fuoriusciti fondarono a Parigi, con altri partiti, la Concentrazione antifascista. Insieme con socialisti, comunisti e con Giustizia e Libertà, alcuni repubblicani, tra i quali Randolfo Pacciardi (futuro segretario del partito), parteciparono alla guerra civile spagnola. In Italia il PRI fu ricostituito nel 1943 da Giovanni Conti ed ebbe come rivista “La voce repubblicana”. Pur partecipando alla Resistenza, non entrò nel CLN per intransigenza sulla pregiudiziale istituzionale. Alle elezioni dell’Assemblea costituente del 2 giugno 1946, il PRI ottenne il 4,6% dei voti e 23 deputati, confermandosi come punto di riferimento per il ceto medio di area laica e radicale. Nei dibattiti dell’Assemblea costituente si schierò contro l’art. 7, che inseriva nella nuova costituzione repubblicana il Concordato con la chiesa cattolica voluto e realizzato da Mussolini nel 1929. Successivamente fu arricchito dalla confluenza di una parte del disciolto Partito d’azione (Oronzo Reale, Michele Cifarelli) e della Concentrazione democratica repubblicana (Ferruccio Parri, Ugo La Malfa), anch’essa proveniente da una scissione del Pd’A del 1946. All’inizio della guerra fredda disapprovò la divisione del mondo in blocchi contrapposti e vi fu, al suo interno, chi, come Pacciardi, si dichiarò favorevole a continuare l’esperienza dei governi di unità nazionale con il PCI. Alla fine del 1947, invece, il PRI fece la scelta atlantica, europeista e filo-occidentale ed entrò nella coalizione quadripartitica di De Gasperi, caratterizzata dall’esclusione delle sinistre concordata con l’alleato americano. La subalternità alla Democrazia cristiana non giovò all’immagine del partito, che conobbe più di un insuccesso elettorale, scendendo nel 1948 al 2,5% e nel 1953 all’1,6%, per poi stabilizzarsi. L’appoggio alla “legge truffa” provocò a sinistra la scissione di “Rinascita repubblicana” (Ferruccio Parri). Quest’ultima costituì, insieme con alcuni socialdemocratici dissidenti, l’“Unità popolare”, che, nonostante i pochi voti (170.000), fu decisiva per far fallire il meccanismo della “legge truffa”. Unità popolare, priva di una base sociale, sopravvisse solo fino al 1957 e poi in parte rientrò nel PRI, in parte confluì nel PSI. Alla fine degli anni Cinquanta il PRI si divise sulla questione dell’ingresso dei socialisti nell’area di governo. Prevalse la linea di Ugo La Malfa, favorevole all’apertura a sinistra; Pacciardi, contrario, lasciò il partito e fondò Nuova Repubblica, formazione che non ebbe successo. La leadership di Ugo La Malfa si caratterizzò per l’attenzione ai problemi dello sviluppo economico del paese. La Malfa era favorevole alla programmazione economica, a una politica dei redditi che contribuisse al contenimento dell’inflazione e al controllo della spesa pubblica, convinto che solo una politica di rigore avrebbe consentito all’Italia di affermarsi al livello delle grandi potenze dell’Occidente. Negli anni Settanta il PRI fu attivo nella difesa della legge sul divorzio, in occasione del referendum del 1974, e dimostrò, per un certo periodo, un cauto interesse per la possibilità di allargare al PCI la maggioranza governativa. La sinistra del partito prese in considerazione anche l’eventualità di un’alternativa di sinistra (resa attuale dai successi elettorali del PCI in quegli anni) e promosse una linea politica libertaria, vicina a quella del Partito radicale. A frenare tale tendenza era la corrente di destra di Bucalossi, di stampo moderato e neoliberale. Gli anni Settanta furono contrassegnati anche dalla ripresa elettorale, con una crescita dall’1,5/2% al 3,1% nel 1976. Nel 1979 divenne segretario Giovanni Spadolini, che nel 1981 fu il primo presidente del consiglio non democristiano della storia della repubblica. L’autorevolezza del nuovo segretario e capo del governo, oltre alla fermezza del partito nella lotta contro il terrorismo e la loggia massonica P2 e all’impegno nella “questione morale”, consentirono un rafforzamento di immagine al PRI, il cui elettorato crebbe nei primi anni Ottanta dal 3% al 5% (per poi calare al 3,7% alle politiche del 1987, che videro l’affermazione del PSI di Craxi). Giorgio La Malfa (figlio di Ugo), divenuto segretario del partito nel 1987 in seguito alla flessione elettorale, si impegnò nella costruzione, con il PLI, di un “polo laico” in grado di competere con i partiti maggiori, ma i risultati dell’operazione furono modesti. Nel frattempo assunse una posizione sempre più critica nei confronti dei governi di pentapartito, soprattutto per lo scarso rigore della loro politica economica e finanziaria, e nel 1991 ritirò il PRI dalla maggioranza, contribuendo alla crisi di quella formula politica. La scelta di La Malfa fu premiata dall’elettorato alle politiche del 5 aprile del 1992, nelle quali il PRI conquistò il 4,4% dei voti. Il PRI e il suo segretario furono in parte coinvolti nello scandalo delle tangenti, che a partire dal 1992 travolse il sistema dei partiti italiani (“Tangentopoli”). Nel 1993 consentì, con la propria astensione, la formazione del nuovo governo Ciampi. Nel 1994, in occasione delle prime elezioni politiche con sistema semimaggioritario, il PRI non si presentò come partito, ma si divise in due gruppi: il primo, guidato dal leader Giorgio La Malfa, si schierò nel blocco centrista con il Patto per l’Italia di Mario Segni e con il Partito popolare di Mino Martinazzoli; il secondo, comprendente personalità prestigiose come Giorgio Bogi, Bruno Visentini e Giuseppe Ayala, scelse di aderire allo schieramento progressista, nel movimento trasversale Alleanza democratica. Entrambi gli schieramenti furono sconfitti dalle liste di centrodestra riunite nel Polo delle libertà e nel Polo del buongoverno e persero da allora ogni rilievo politico. Sotto la guida di Giorgio La Malfa, i repubblicani appoggiarono i governi Prodi (1996-98), D’Alema (1998-2000) e Amato (2000-01). Alle politiche del 2001 si schierarono con la coalizione di destra Casa delle Libertà ottenendo un seggio parlamentare per il proprio leader. Nello stesso anno Giorgio la Malfa lasciò la segreteria del partito, che passò a Francesco Nucara. Nelle successive elezioni politiche del 2006, il PRI strinse un’alleanza elettorale con Forza Italia, riuscendo a far eleggere due deputati (La Malfa e Nucara) e un senatore (Antonio Del Pennino). Nel 2008, confermando il proprio appoggio alla coalizione di centro-destra, riuscì a far rieleggere La Malfa e Nucara. All’inizio del 2011, in occasione del suo 46° congresso, fu sancita la ricomposizione della scissione avvenuta nel 2001 con la fuoriuscita del Movimento dei repubblicani europei e dei Repubblicani democratici.
Presentatisi autonomamente nelle elezioni politiche del febbraio 2013, non riuscirono a superare la soglia di sbarramento del 4%.