nobiltà

Il termine, che ha origine romana e deriva dal verbo latino noscere, stava a indicare la condizione di persone note e distinte, appartenenti a famiglie molto eminenti per funzioni pubbliche e ricchezza. Per influsso germanico nel medioevo attributi della nobiltà divennero il valore militare e le capacità di guidare uomini in guerra. Nell’Europa del XII-XIII secolo alla nobiltà venne attribuito uno status giuridico distinto ed ereditario nel quadro delle strutture della società feudale. I nobili si trovarono a loro volta suddivisi in una gerarchia che ne definiva il rango in base alla diversità di ricchezza, funzioni e potere. Così si andava dai sovrani ai principi e fino ai cavalieri. La nobiltà feudale aveva le proprie radici nella proprietà terriera e nelle funzioni militari. Accanto ad essa si collocava, per uno status di assoluta preminenza sociale e giuridica, il patriziato sviluppatosi nelle città libere in Italia, Svizzera, Germania e Paesi Bassi, le cui origini erano da collocarsi nell’esercizio del commercio, delle attività produttive urbane e nelle funzioni amministrative. Nell’Italia settentrionale e centrale nell’età tardomedievale e moderna si giunse a un vero e proprio amalgama tra nobiltà e patriziato, che vennero a costituire tra il XIV e il XV secolo la classe economicamente e politicamente dominante. Un diverso decorso ebbe tra Quattro e Seicento lo sviluppo della nobiltà da un lato nell’Europa continentale e dall’altro in Inghilterra. Nella prima la nobiltà andò differenziandosi dagli altri strati sociali sia per avere le radici della propria preminenza nella proprietà fondiaria, nel monopolio degli alti gradi militari, nel possesso di privilegi sanzionati giuridicamente, sia per la sua chiusura in uno strato che definiva i suoi invalicabili confini in base a un’identità “razziale” (il sangue blu). Nella seconda ebbe luogo una profonda trasformazione, in seguito a un processo di amalgama tra nobiltà di matrice feudale e strati superiori della borghesia, in quanto una parte notevole dei nobili tradizionali si era aperta alle attività commerciali, imprenditoriali e all’esercizio delle professioni; il che li aveva avvicinati ai borghesi. Sicché la nobiltà inglese si trovò a essere composta insieme dall’aristocrazia di sangue e da quella sociale, in una posizione che conferiva agli uni e agli altri la caratteristica di gentlemen. Anche in Francia a partire dalla fine del XV secolo andò formandosi una nobiltà diversa da quella di sangue, vale a dire la nobiltà degli uffici, detta anche “di toga”. Si trattava di uno strato di alti funzionari nobilitati dalla corona e dotati di privilegi come l’essere esentati dal pagamento della taille. Se non che questi nuovi nobili francesi, a differenza dei gentlemen inglesi, per un verso vennero formalmente inquadrati nei ranghi della nobiltà, per l’altro incontrarono l’ostilità della nobiltà di sangue, che avanzava la pretesa che la nobiltà francese avesse le sue uniche radici legittime nella discendenza dalla razza dei conquistatori franchi. Preoccupazione dominante nella nobiltà europea divenne quella di impedire che il frazionamento del patrimonio creasse le condizioni per un declassamento economico-sociale della famiglia. Sicché a partire dal XVI secolo andò radicandosi l’istituto del fedecommesso, spesso unito a quello del maggiorascato. In base al primo le proprietà immobili venivano trasmesse alla discendenza per più generazioni e anche in perpetuo; in base al secondo il figlio maggiore ereditava l’intero patrimonio. L’effetto fu che mentre al primogenito era affidato il compito di garantire la continuità della potenza del casato, agli altri figli si aprivano in primo luogo le strade della carriera militare ed ecclesiastica, i cui alti gradi vennero perciò pressoché monopolizzati dai nobili cadetti che ne godettero dei relativi benefici. La base dominante della proprietà soprattutto della grande nobiltà europea era costituita dal possesso della terra, cui si accompagnavano anche le rendite fondiarie e quelle di matrice feudale. Ma non mancavano in molti casi i profitti derivanti dalle attività commerciali, finanziarie e, a partire specie dalla seconda metà del secolo XVIII, anche industriali. Infine, soprattutto per i nobili cadetti, fonti di reddito erano gli stipendi e le pensioni reali. La nobiltà europea, in quanto strato sociale dominante, espresse un proprio stile di vita e un proprio linguaggio culturale celebrativo della sua preminenza e del suo prestigio. I nobili – che a partire dal XVII secolo, in concomitanza con lo sviluppo degli eserciti alle strette dipendenze del sovrano, andarono perdendo le proprie preminenti funzioni militari di matrice feudale – assunsero sempre più, specie nell’Europa continentale, il carattere di un ceto ozioso di cortigiani e di redditieri. Essi si astenevano rigorosamente dalle attività non corrispondenti al loro rango a sottolineare la diversità dai non nobili; abitavano in costruzioni intese a celebrare il loro status; improntavano i consumi al gusto del lusso; si avvalevano di una quantità di domestici a seconda del grado di ricchezza. L’esigenza di non rinunciare ad ogni costo a un certo tenore di vita determinò in molti casi una forte inclinazione all’indebitamento. A seconda dei paesi e delle divisioni interne, si andava perciò dalla grande nobiltà ricca alla nobiltà impoverita. Se non che, al di là delle differenze di ricchezza, la nobiltà era unita da un fortissimo senso della propria identità in contrapposizione a borghesi e popolani: un’identità nutrita di senso di orgoglio, superiorità e persino disprezzo. Lo stile di vita nobiliare diventò un modello che la borghesia, soprattutto nello strato superiore, era incline a imitare. Nel corso del secolo XVIII si assistette in vari stati europei, e particolarmente in Francia, a una sorta di reazione nobiliare, intesa a salvaguardare e in molti casi persino a rafforzare i privilegi della nobiltà. Divenne pratica diffusa l’elencazione ufficiale dei nobili accompagnata dai titoli di legittimità e la formazione di “libri d’oro” con l’intento di segnare i confini interni e di espungerne i non aventi propriamente diritto. Questo processo andò compiendosi significativamente mentre nella cultura illuministica il principio tradizionale e i privilegi della nobiltà venivano delegittimati alla luce della concezione che la nobiltà non poteva essere considerata una virtù innata e un privilegio politico e sociale, bensì un attributo da conferirsi alla qualità delle persone e ai loro meriti sostanziali. Tale delegittimazione trovò la propria conclusione nella Rivoluzione francese, la quale, dopo che già la costituzione americana del 1787 aveva negato i titoli e i privilegi nobiliari, distrusse la divisione della società di Francia nei suoi tre ordini tradizionali (clero, nobiltà e Terzo stato) e proclamò la fine dei privilegi nobiliari e l’eguaglianza di tutti in quanto cittadini di fronte alla legge. La Rivoluzione francese con i suoi effetti determinò l’inizio della crisi storica della nobiltà europea sorta nel medioevo. Si trattò però di una crisi che non in tutti i paesi ebbe la stessa ampiezza e gli stessi tempi di decorso. Napoleone creò una nuova nobiltà legata ai meriti verso il proprio regime, senza però restaurare gli antichi privilegi giuridici tipici dell’antico regime. Così la Restaurazione, se restituì alla nobiltà prerivoluzionaria prestigio e proprietà, mantenne in Francia l’eguaglianza giuridica. Diversa fu la situazione della nobiltà in Germania, in Austria, in Ungheria e in Russia. Qui la nobiltà conservò privilegi sostanziali, occupando la gran parte delle cariche maggiori nell’esercito e nella diplomazia, con un’influenza determinante sul governo e sullo stato. Il crollo della potenza della nobiltà negli imperi centrali e nell’impero zarista fu un prodotto della loro sconfitta militare nella prima guerra mondiale. In Italia la posizione della nobiltà dopo la Restaurazione fu negli aspetti sostanziali analoga a quella creatasi in Francia. L’abolizione formale dei titoli nobiliari venne sancita dalla Costituzione entrata in vigore nel 1948. [Massimo L. Salvadori]