alienazione

Processo di separazione ed estraniazione dell’individuo dai rapporti sociali nei quali è inserito e dai prodotti della sua azione, che per ciò stesso lo fronteggiano come forze coercitive, nonché stato soggettivo di estraneità e perdita della capacità di autorealizzazione. Concetto di matrice filosofica, già elaborato nel Settecento da Rousseau e nell’Ottocento da Hegel e da Feuerbach, esso trovò cittadinanza nelle scienze sociali a seguito dell’analisi marxiana del lavoro alienato. Benché Marx stesso individui fenomeni di alienazione in molte aree dell’agire sociale – alienazione filosofica, religiosa, economica, ecc. – egli ne sposta il baricentro strutturale, individuandone la fonte originaria nell’attività di trasformazione della natura e le cause nel modo di produzione capitalistico, e non più genericamente nella società o nella natura umana. Nel capitalismo, all’esternalizzazione e oggettivazione dei rapporti sociali e dei prodotti dell’agire si aggiunge, secondo tale concezione, l’espropriazione da parte del capitalista del surplus di ricchezza prodotta dall’operaio (sfruttamento). La trasformazione del “lavoro vivo” in “lavoro morto”, unita alla riduzione della forza-lavoro a merce e alla subordinazione al comando del capitalista, genera uno stato soggettivo di negazione della propria umanità, intesa come capacità di creazione e di autorealizzazione. Nella prima metà del Novecento una rinnovata sensibilità per il fenomeno dell’alienazione ha indotto alcuni autori a rielaborare la concezione marxiana, arricchendola di valenze psicologiche e simboliche. Tra questi Lukács, che interpreta l’alienazione come estraniazione e reificazione; Sartre, che la collega alla scarsità naturale e alla connessa competizione tra gli uomini per l’appropriazione delle risorse; Fromm che, integrando elementi marxiani con altri derivati dalla psicoanalisi, analizza l’alienazione quale limitazione dei bisogni espressivi di base dell’uomo. In sociologia, alla tradizione marxista che, con alterne fortune, perdura a lungo, si affiancano, fino a diventare prevalenti, altre accezioni dell’alienazione, che si sviluppano secondo due prospettive. In una prima prospettiva l’alienazione non è più intesa come una prerogativa della società capitalistica, bensì come una costante della società industriale e, più in generale, di ogni tipo di società complessa e razionalizzata, come dimostra anche il suo riprodursi nelle società socialiste. La perdita di controllo sulle decisioni e la disaffezione sono, infatti, endemiche in società in cui gli individui, l’attività produttiva e il potere si concentrano in grandi organizzazioni burocratiche e impersonali. In una seconda prospettiva, l’alienazione è definita come uno stato psicologico, più che come una condizione strutturale, che è osservata e misurata secondo varie dimensioni, quali la perdita di potere, la mancanza di significato, l’assenza di norme, l’isolamento, l’autoestraneazione. L’indebolimento e la dilatazione del concetto a molteplici dimensioni psicologiche e l’ineliminabile intrinseca valenza filosofica dello stesso, ne hanno alla lunga pregiudicato lo status scientifico, così da farne un concetto e un campo di analisi periferico nelle scienze sociali contemporanee, e ciò ad onta della sua profondità e ricchezza di significati.