Guicciardini, Francesco

(Firenze 1483, † Santa Margherita in Montici, Arcetri 1540). Storico e uomo politico fiorentino. Studiò giurisprudenza a Firenze, Ferrara, Padova e Pisa. Nel 1509 scrisse le Storie fiorentine, narrazione delle vicende cittadine intercorse dal tumulto dei Ciompi (1378) alla battaglia della Ghiaradadda (1509), secondo i canoni tipici della storiografia umanistica. Nominato nel 1511 ambasciatore di Firenze alla corte di Ferdinando II il Cattolico, vi rimase fino al 1514. A questo periodo risalgono il Diario del viaggio in Spagna, Sulle condizioni d’Italia dopo la giornata di Ravenna e la stesura di un primo nucleo dei Ricordi. Dopo la caduta della repubblica fiorentina e il ritorno dei Medici proseguì la carriera politico-diplomatica. Nel 1516 iniziò una ventennale collaborazione con la curia pontificia, allora guidata da membri della famiglia medicea: fu nominato da Leone X governatore di Modena, poi di Reggio (1517-23) e di Parma (1521-22), riuscendo a difendere quest’ultima dall’assalto delle truppe francesi. Nel 1521 scrisse la Relazione della difesa di Parma e avviò la stesura del dialogo Del reggimento di Firenze, completato nel 1526, in cui appare per la prima volta l’espressione “ragion di stato” e in cui si sosteneva la necessità per Firenze di un regime aristocratico sul modello veneziano. Nel 1524 fu nominato da Clemente VII presidente del governo della Romagna. Per conto della chiesa si adoperò per la creazione della lega di Cognac in funzione antispagnola, e assunse la carica di luogotenente generale dell’esercito pontificio. Dopo il sacco di Roma (1527) cadde in disgrazia. Ritiratosi a vita privata, compose, oltre a una serie di orazioni volte a difendere il suo precedente operato, una storia di Firenze che tuttavia non portò a termine. Trasferitosi a Roma, nel 1529 ultimò le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio. Condannato nel 1530 per aver tramato contro la repubblica, rientrò a Firenze in seguito alla restaurazione dei Medici. Dal 1531 al 1534 ricoprì l’incarico di vicelegato pontificio, e fu consigliere dei Medici sino al 1537. In questo periodo scrisse i Discorsi del modo di riformare lo Stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al Duca Alessandro. Ritiratosi nuovamente a vita privata nel 1537, completò la Storia d’Italia, l’unica opera esplicitamente scritta per la stampa. In essa si narrano, attraverso una suddivisione di carattere annalistico ma in una prospettiva europea, gli avvenimenti compresi fra la morte di Lorenzo il Magnifico (1492) e quella di Clemente VII (1534), privilegiando l’aspetto politico-militare. Contraddistingue la storiografia di Guicciardini un’analisi realistica e disincantata della situazione politica italiana, che non lascia adito alla speranza in una rinascita nazionale. Nella sua opera si evidenziano inoltre la costante attenzione ai fatti e al “particulare” colto nella sua irriducibile peculiarità grazie alla “discrezione”, una concezione eroica tipicamente rinascimentale e una grande capacità di penetrazione psicologica e di rappresentazione di caratteri e ambienti. In un contesto di incipiente decadenza ormai dominato dallo scontro di interessi individuali, la sua attenzione di storico si sofferma dunque sui singoli, con l’intento di tramandarne la gloria e mantenere la memoria di ciò che è avvenuto. Questi elementi, presenti nelle sue opere storiche, si arricchiscono nel Dialogo sul reggimento di Firenze di considerazioni politiche legate alla ricerca della miglior forma di governo, individuata in un’oligarchia moderata, nella quale un gonfaloniere a vita venga sottoposto al controllo di un consiglio e di un senato costituito dalle famiglie più illustri. A eccezione della Storia d’Italia, uscita postuma nel 1567, e dei Ricordi (la cui parziale pubblicazione risale al 1576) la maggior parte delle sue opere rimasero inedite sino all’Ottocento.