gerontocrazia

Vocabolo, oggi desueto, che deriva dal greco e indica il “governo degli anziani”. L’origine di tale forma di governo è da trovarsi nell’esigenza accertata in molte esperienze politiche delle collettività umane, ma codificata in particolare nella civiltà greca e romana, di immettere nel governo della cosa pubblica il requisito tipico attribuito alla vecchiaia: la saggezza, intesa come un’acquisizione dell’età avanzata. L’antica Sparta offrì il modello perfetto di gerontocrazia. Nella sua costituzione, che la tradizione vuole dettata da Licurgo, la gherusia era l’organo di governo composto da 28 membri, i geronti, di età superiore a 60 anni, che avevano quindi già terminato il lunghissimo servizio militare ed erano eletti a vita dall’assemblea popolare (apella). Alla gherusia competevano poteri di governo (al re spettava solo il comando dell’esercito) e giurisdizionali, nonché di sorveglianza e tutela delle decisioni dell’assemblea. Per Platone i reggitori del governo dovevano essere filosofi e prevedibilmente anziani; nelle Leggi egli stabilì che i 37 membri del “collegio dei custodi delle leggi” avessero più di 50 anni. Il senato romano perpetuò, anche se in forme diverse e attenuate, la tradizione gerontocratica. Essa ritorna in qualche modo anche nel costituzionalismo moderno e contemporaneo il quale, nei sistemi bicamerali, prevede generalmente per il senato limiti d’età più elevati per l’elettorato passivo e attivo.