Gandhi, Mohandas Karamchand

(Porbandar 1869, † Nuova Delhi 1948). Uomo politico indiano. Dopo aver studiato giurisprudenza in India e a Londra, nel 1893 si recò in Sudafrica, dove si era sviluppata una massiccia immigrazione indiana incoraggiata dalle autorità inglesi. Qui iniziò la propria attività di avvocato. Constatando le dure condizioni di vita in cui gli inglesi tenevano gli immigrati indiani, cominciò a impegnarsi nella difesa dei loro diritti. Nel corso di questa lotta iniziò a elaborare e praticare quelle tattiche di non collaborazione e di resistenza passiva e non violenta verso le autorità britanniche che avrebbero caratterizzato la sua azione politica anche negli anni successivi. Tornato in India nel 1915, assunse posizioni sempre più influenti all’interno del movimento indipendentista indiano. Dopo aver puntato sulla possibilità di ampie concessioni delle autorità inglesi in cambio di un pieno sostegno della popolazione indiana nella prima guerra mondiale, visto il fallimento di questo progetto, si adoperò per favorire l’accordo tra il Partito del Congresso (induista) e la Lega musulmana nel comune impegno anticoloniale. Nel 1919 lanciò la prima grande campagna di resistenza passiva in India per protestare contro alcune misure repressive decise dalle autorità inglesi. Nonostante il massacro compiuto in quell’anno ad Amritsar dalle truppe coloniali contro manifestanti indiani, mantenne la scelta della non violenza promuovendo anche negli anni successivi numerose campagne di disobbedienza civile che portarono al suo primo arresto nel 1922. Scarcerato nel 1924 riprese la sua lotta, che ormai puntava alla totale indipendenza dell’India, attraverso tattiche quali il boicottaggio delle merci inglesi e gli scioperi della fame. Condusse inoltre una battaglia contro l’industrializzazione, considerata strumento della penetrazione coloniale inglese, promuovendo il ritorno alle tecniche tradizionali dell’artigianato tessile. Negli anni Trenta si impegnò in particolare nella lotta contro l’emarginazione della casta degli intoccabili. Nonostante i numerosi arresti a cui fu sottoposto dalle autorità britanniche, proseguì nel proprio impegno e la sua azione gli valse una sempre maggiore popolarità non solo in India, ma anche presso larghi settori dell’opinione pubblica internazionale. Durante la seconda guerra mondiale (1939-45) mantenne fermo l’obiettivo della totale indipendenza del paese, subordinando ad essa il sostegno allo sforzo bellico inglese. Nel 1942, unitamente agli altri dirigenti del Partito del Congresso, chiese agli inglesi di lasciare definitivamente l’India. Di fronte al loro rifiuto lanciò una nuova campagna di disobbedienza civile, che gli costò un nuovo periodo di incarcerazione tra il 1942 e il 1944. Alla fine della guerra ebbe un ruolo di primo piano nelle trattative con il viceré inglese lord Mountbatten, che portarono alla proclamazione dell’indipendenza (1947). Decisamente contrario alla scissione tra l’India induista e il Pakistan musulmano, la accettò perché diventata ormai inevitabile, dati i gravissimi contrasti tra le due comunità. Nei mesi successivi, mentre in India si scatenavano gravissime persecuzioni contro la minoranza musulmana, si impegnò in un nuovo sciopero della fame per sollecitare la conciliazione e la tolleranza tra le diverse comunità. Questo però gli valse l’ostilità dei settori induisti più intransigenti. Il 30 gennaio del 1948 fu assassinato da un fanatico indù.